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La strategia americana

di Gianfranco La Grassa - 20/02/2007

 

Sono del tutto contento che la manifestazione di Vicenza sia riuscita, prescindendo dal numero dei partecipanti che, com’è ben noto, viene diviso per due dagli organi ufficiali e moltiplicato per tre dagli organizzatori. Ero convinto (al 99%) che non ci sarebbero stati incidenti e sono lieto che così sia stato. Vi era “l’ignobile” (secondo i nostri benpensanti governativi e di opposizione) scritta a favore delle BR. In TV ho visto solo delle parole di “solidarietà con gli arrestati”; a me sembra che solo due di questi si sono dichiarati “prigionieri politici”, per gli altri dovrebbe vigere ancora il principio della semplice presunzione di colpa fino al processo ed eventuale condanna. Faccio il facile profeta: almeno i 2/3 degli arrestati e indagati saranno alla fine prosciolti e lasciati in pace (solo fino alla prossima occasione utile per creare tensione).

Non sono rimasto invece per nulla soddisfatto delle immagini da “sagra paesana” trasmesse dalla TV; mi auguro che esse svisassero il vero senso della manifestazione. Va bene essere pacifisti e non violenti, ma cantare, ridere, far rullare tamburi, vestirsi e truccarsi in modo variopinto e arlecchinesco, non dà il senso della serietà degli intenti. C’è un tempo per la festa e un altro per gli impegni veri e soprattutto consapevoli. Mi piacerebbe sapere se, a parte i dirigenti di una sinistra che cerca un po’ di consenso per meglio mantenere i propri cadreghini (governativi e sottogovernativi), ci fosse tra “i 100.000” almeno una decina di persone consapevoli di chi “mena la mastella” nel mondo, ma anche qui in Italia (sia pure da subdominanti). Ho letto che erano vendute magliette con la scritta (in 10 lingue): “io non ho votato Berlusconi”. Ho l’impressione che la stragrande maggioranza dei partecipanti (credo la totalità, salvo i fottuti dirigenti di cui sopra) non abbia nemmeno il minimo sentore che tutte le battaglie di potere (quello reale e pesante come l’intero Mondo) sono combattute nel nostro paese – al seguito degli interessi predominanti statunitensi – da grandi concentrazioni finanziarie (e industriali; quelle “pubblicamente”, cioè statalmente, assistite), i cui giochi contrapposti si svolgono tutti, senza eccezione, con la rappresentanza politica delle varie fazioni del centrosinistra; con semmai qualche puntata verso l’UDC di Casini.

 No, non lo sa nessuno del “popolo di sinistra”, il prodotto di una degradazione culturale verificatasi nell’ultimo trentennio ad un livello tale da dare il capogiro. Una manifestazione, cui partecipasse anche mezzo milione di appartenenti a questo “popolo” di inconsistenti, non muterebbe nemmeno dello 0,000000……1% i “destini del mondo”. Per fortuna, in altre parti del globo c’è qualcuno con un poco più di testa sulle spalle. Questa nostra sinistra ignorante e senza voglia di pensare (ma solo di “partecipare”) finirà, non dico in tempi brevi ma nemmeno eterni, in un “gran falò”; e sarà un gran giorno, il giorno della rinascita di una prospettiva, dell’inversione di tendenza.

 

Il Congresso americano ha votato contro l’invio di nuove truppe in Irak voluto da Bush; al Senato ci sono stati 56 voti a favore su 100, ma ne occorrevano 60 per dichiarare approvata la stessa mozione. Non si tratta di votazioni vincolanti per il Presidente, ma è un ulteriore indizio che sono in corso discussioni per un mutamento di strategia; pur sempre imperiale. Tali discussioni investono perfino il Pentagono, a quanto se ne sa. Alcuni importanti uomini politici, non “colombe”, hanno dichiarato recentemente la loro contrarietà ad un attacco all’Iran. Insomma, i sintomi di possibile revisione strategica non mancano. Sono sciocchi quelli che pensano ad una svolta pacifista degli USA. Nessun paese di quella forza, oggi unica al mondo dopo il crollo dell’URSS, rinuncerà mai ai propositi di mantenere una supremazia globale; oggi contestata, ma ben lungi ancora dall’essere seriamente intaccata, soprattutto perché il vantaggio americano, non solo in campo militare ma in tutti i settori d’avanguardia della scienza e della tecnica, è assai considerevole.

Resta il fatto che la politica aggressiva condotta per oltre dieci anni dagli USA, e particolarmente accentuatasi dopo l’11 settembre 2001, non ha conseguito quei successi che gli ambienti più “focosi” speravano. Se non erro, manca un anno e mezzo alle nuove elezioni presidenziali. Questi ambienti tentano il tutto per tutto alla guisa di un pokerista che gioca al rialzo. Vogliono accentuare lo sforzo bellico in Irak, scatenare l’offensiva di primavera in Afghanistan, hanno una voglia matta di almeno bombardare i siti atomici in Iran (non abbandonando nemmeno i tentativi di alimentare “quinte colonne” interne a questo paese). Nel contempo – qui brandendo già ora bastone e carota, e sfruttando la presenza di forti correnti opportuniste – accelerano la pressione in Palestina per sistemare gli affari in quella zona a completo favore di Israele. Il tempo a disposizione è poco, non so francamente quante probabilità abbiano di modificare radicalmente situazioni non brillanti; comunque è chiara l’intenzione di provarci.

Se però, come penso e spero, i risultati saranno assai parziali per non dire addirittura scarsi, una qualche revisione strategica si imporrà; non credo ad una vera ritirata, ma comunque a “correzioni di tiro” non marginali. Ci si dovrà rassegnare, da parte statunitense, all’affermazione di un minimo di policentrismo: contrattare quindi di più con Russia e Cina, fare maggiori concessioni alla possibile alleanza con l’India e stringere patti più stringenti con il Giappone. Critica sarà la situazione in Pakistan, dove le varie spinte e controspinte saranno forti e produrranno nuovi equilibri complessivi, difficili da prevedere nei loro esatti contorni. Ci si potrebbe attendere una maggiore spigolosità in Sud America, forse in Africa, ma pur sempre con cautela; in Europa, si produrranno nuove spinte per un rafforzamento della Nato, magari con una accentuazione del lato “economico” (dove le politiche dei predominanti hanno maggiori possibilità di affermarsi in modo più nascosto e sotterraneo; si pensi alle manovre finanziarie già in pieno svolgimento) rispetto al lato più scopertamente militare (anche se non credo che questo verrà realmente depotenziato, al massimo solo “riqualificato” e reso un po’ meno scoperto e ingombrante). Si potranno perciò manifestare concessioni di pura forma ai “fedeli alleati” al fine di non farli sentire troppo sudditi, quali invece sono (e continueranno ad essere pur se in forme diverse). In fondo, il nostro centrosinistra si sta preparando a questa eventualità, mentre il centrodestra continua stupidamente, e perché non sa come differenziarsi altrimenti, a puntare sulla politica “bushiana” al tramonto.

Sono dunque possibili revisioni anche riguardo alla politica delle basi militari americane in Europa; rendendole ad es. meno visibili, apparentemente ristrette perché più agili e flessibili, non meno minacciose ma meno appariscenti. Del resto, perfino nella immediatamente prossima fase, di bushiano “gioco al rialzo”, si potrebbero fare concessioni su questioni attinenti alle basi in cambio di più sostanziosi apporti nelle varie aree di crisi (come in Afghanistan). E se ciò dovesse per caso verificarsi, è facile prevedere che i pacifisti, le “anime belle”, ecc. grideranno di aver compiuto il miracolo; crederanno di aver rinnovato le “gesta” di Gandhi, che del resto “vinse” quando ormai l’Inghilterra era una potenza coloniale in rovinosa decadenza e sostituita in toto dagli USA; i quali, certamente, ancora per molti decenni non si troveranno nella stessa condizione inglese di declino, per cui gli imbecilli avranno in tempi brevi risvegli comunque poco piacevoli. L’unica “speranza” – e non è certo una bella prospettiva – va riposta nella crescente potenza di Russia e Cina, cioè nell’effettivo perfezionarsi di una nuova fase di policentrismo. A meno che…..; a meno che non sorga in alcuni paesi europei una forza politica estremamente dura contro destra e sinistra, contro gli imbelli pacifisti; una forza che rimetta questa parte del mondo in gioco nella nuova epoca in via di divenire, entro i “giusti tempi storici”,  policentrica (o imperialistica).

Diceva Mao: “O la rivoluzione metterà termine alla guerra o nascerà dalla guerra”. A occhio e croce, non credo si verificheranno nuovi scontri mondiali dello stesso genere degli eventi bellici della prima epoca dell’imperialismo. Tuttavia, la conflittualità sarà aspra come sempre avviene quando si apre in modo radicale la resa dei conti tra le diverse frazioni capitalistiche – in quanto siano anche partizioni (finora sempre paesi) della formazione capitalistica mondiale – nella loro lotta per la supremazia. Allora mutiamo adeguatamente la frase di Mao: “O la rivoluzione metterà termine alla lotta per la supremazia [cioè muterà la struttura dei rapporti sociali secondo forme che, sconfiggendo l’oppressione, depotenziano anche il conflitto tra oppressori] o nascerà da tale lotta”. Considerando che le vecchie cariatidi del comunismo sono interamente confluite nella sinistra, e quest’ultima è la cloaca massima di tutte le cloache, mi permetto la convinzione che la seconda opportunità sia l’unica realistica. La prima fa parte delle “belle favole”, che ci raccontiamo per restare aperti a tutte le possibilità (e ai “sogni”); ma credo resterà solo tale. I “grandi movimenti” di questi ultimi anni non fanno che confermare questa certo sconsolante conclusione.