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Le Pasque di Umberto Eco. In margine al caso di Ariel Toaff

di Carlo Gambescia - 27/02/2007

 

Forse è meglio iniziare con un sorriso. Come diceva il grande Marcello Marchesi: “Che bella età/ la mezza età”. Perché si può dire e fare quel che si vuole. Se poi sei Umberto Eco, uno che i cinquanta li ha passati da un pezzo, allora è proprio fatta… E invece no, perché come diceva Umberto Jannacci, ci vuole il “pacco”… Infatti, nel suo articolo, apparso sull’Espresso del 22 febbraio, Umberto Eco si è occupato del caso Ariel Toaff. Finalmente. Ma in modo tutt’altro che coraggioso. Non ne fa il nome ( lo liquida come “ un israeliano”). Evidentemente non gli era ed è simpatico (altra congrega…). E così dice e non dice. Ma soprattutto, sposta la questione sul piano “tuttologico”. Nel quale è assai versato, ma probabilmente anche per evitare eventuali scomuniche della Anti-Defamation League. Nell’insieme l’esito è piuttosto penoso.
Procediamo con ordine.
Eco dichiara subito la sua “non competenza storiografica per appurare se le fonti usate dall’autore [Toaff] siano attendibili”. E così, con un colpo solo, si eleva al di sopra della mischia e conquista quel tocco di olimpica serenità accademica, per guadagnare la simpatia del lettore e mettersi al riparo da eventuali strali politici e religiosi. Inoltre, nell’ asserita “non competenza” c’è un messaggio cifrato per l’autore delle Pasque di sangue che, come si faceva a scuola, proviamo a riassumere con parole nostre: “Caro Ariel Toaff, lei può far uscire tutte le edizioni rivedute e corrette che vuole, ma qui non è in gioco la verità storica ”. E qui cade subito l’asino. Perché come vedremo Eco in realtà offre una sua personale versione delle verità storica da dopo Festival di San Remo. Ma ecco l’affondo da blasé che ha letto e visto tutto: “La questione [dell’uccisione dei bambini cristiani] non mi sconvolge particolarmente perché sono sempre esistiti nel corso dei secoli personaggi che riguardano più che la storia delle religioni, quella della psichiatria, i quali si sono dedicati a culti più o meno satanici”.
Ed ecco pure, puntali, i primi svarioni argomentativi.
“Non ho competenze storiografiche”. Si tratta del classico argumentum ad populum, che Eco usa per far finta di mettersi sullo stesso piano del lettore, che non è storico di professione, e così guadagnarne la simpatia a buon mercato… Dopo di che fa capire, che comunque sia, si tratta di atrocità sempre esistite nella storia “psichiatrica” dell’ intera umanità. E qui siamo davantii all’ argumentum ad verecundiam, che Eco impiega per appellarsi al sentimento di rispetto che la gente comune nutre verso le definizioni di tipo medico…
Però il vero punto di contraddizione è nel fatto che se gli eventi storici sostenuti da Toaff non sono veri né falsi dal punto di vista storiografico (Eco non vuole giudicare per incompetenza), allora non si deve neppure inferire circa la follia degli attori storici che li avrebbero, per così dire, interpretati (come fa Eco quando inferisce di casi psichiatrici). Per farla breve: se una premessa non è vera né falsa, anche le conclusione devono essere tali. Insomma, nella follia, che si vuole provare, deve esserci del metodo (storico)… Anche se ci si chiama Umberto Eco.
Non completamente soddisfatto, a supporto delle sue tesi, e con un brusca virata di centottanta gradi, Eco tira in ballo il concetto sociologico di “luogo comune”. E che fa? Cerca di conferirgli un fondamento storico, pur avendo dichiarato, come visto, di non avere competenze storiografiche. Altra contraddizione… Di più: incorre in una fallacia di composizione: attribuisce le proprietà di un singolo concetto (sociologico), quello di “luogo comune” a una classe, tra l’altro di pseudoeventi (storici). Quale? Quella rappresentata dalle più varie e fantastiche informazioni sulle uccisioni di bambini, da lui messe insieme confusamente e di fretta, in un’oretta di lavoro. Ma che cosa si vuole provare? Che la storia degli esseri cattivi che “mangiano i bambini” ricorre in fonte letterarie e storiche di tutti i popoli, come già accennato. E qui Eco, frugando nelle sue “memorie di lettura” cita, assemblando alla Cesare Cantù, la Cronica di Norimberga, Orazio, Ovidio, un Editto di Liutiprando di condanna delle streghe (727 d.C.), una novella antisemita di Chaucer, un documento di Psello (XI secolo) sull’ influenza dei demoni, e la Cronaca di Rodolfo il Glabro. Un centone che non prova un bel niente: né a favore né contro. Ma che gli è sufficiente per la sciabolata finale: “L’accusa a eretici, giudei, e nemici è un luogo comune nella storia dell’intolleranza razziale e religiosa, e da tempo nessuno ci fa più caso”.
Ma se nessuno ci fa più caso, perché Ariel Toaff è stato intellettualmente linciato? Si attende la riposta di Umberto Eco. Che probabilmente mai verrà
Eh, no: “Che brutta età/ la mezza età…”.