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Vicenza e la crisi del potere

di Francesco Lauria - 01/03/2007

Fonte: europaplurale.org

 

Era mia intenzione, con questo editoriale spiegare la

partecipazione di Europa Plurale alla manifestazione

per la Pace e contro il raddoppio della Base militare Dal

Molin a Vicenza.

La situazione politica è in queste ore precipitata, ma

credo che alcune letture possano essere rafforzate dagli ultimi eventi e non confutate.

La manifestazione, come ha ben scritto il vicentino Ilvo Diamanti, è passata: affollata,

festosa, tranquilla, io aggiungerei, plurale e molteplice.

No, non erano le bandiere della sinistra radicale o della Cgil, o la presenza di

amministratori e deputati locali di Ds e Margherita in dissenso con i rispettivi partiti, a

rendere particolarmente significativa la manifestazione: non erano quelli i settori in cui

trovare pienamente l’anima di questo corteo.

Le rivendicazioni semplici e dirette dei cittadini di Vicenza parlano un linguaggio

universale: in nome della difesa dell'ambiente e della qualità della vita, della richiesta di

democrazia reale e del rifiuto della guerra globale.

Ai cittadini di Vicenza si affiancavano le bandiere (tantissime) delle comunità della Val di

Susa e di molti altri luoghi che hanno saputo attivare mobilitazioni consapevoli, non

localistico-corporative al fine di salvaguardare e promuovere quella che il sociologo Aldo

Bonomi definisce nei suoi scritti: “la coscienza di luogo”.

Per questo la manifestazione di Vicenza con la sua identità comunitaria, aperta ad una

rete di comunità, fa paura.

Fa paura perché parla ai Poteri cardine di una democrazia più formale che sostanziale per

cui il rapporto con i territori e con la vita delle persone è un impaccio, un orpello.

E’ la politica della rappresentazione che si scontra con il suo scollamento dal concetto di

rappresentanza, dalla sua lontananza ormai antropologica con i territori e le relazioni;

con la sua interessata e colpevole rinuncia ad una dinamica di mediazione comunitaria.

Il messaggio positivamente sovversivo della manifestazione

di Vicenza sta nello slogan che l’ha accompagnata: “Il futuro

è nelle nostre mani”.

Poco prima della caduta del Governo Prodi il Presidente della

Repubblica Napolitano pronunciava frasi molto dure,

negando il valore aggiunto democratico di questa e di altre

mobilitazioni (che non si esauriscono in un corteo, ma, ad

esempio nel caso della Val di Susa, hanno una complessa e

affascinante storia più che decennale) rifugiandosi in un

perentorio: “a decidere sono comunque le istituzioni”.

Le ore successive ci hanno dimostrato che sono proprio

quelle istituzioni che devono “comunque decidere” ad

essere fragili come un castello illusorio, come un miraggio evanescente.

E’ la Politica delle Istituzioni e dei partiti nelle ore della “crisi del potere” a doversi

interrogare.

Non può più usare la mobilitazione di Vicenza come un’alibi per le proprie contraddizioni

irrisolte ma deve prendere atto della propria inesorabile e autodistruttiva

autoreferenzialità ed incapacità di ascolto.

La posta in gioco è alta: la democrazia reale si rigenererà solo se rincontrerà la

partecipazione; la società dei flussi e dell’insicurezza ritroverà un’anima ed un orizzonte

di senso solo se reincontrerà i luoghi e le relazioni comunitarie.