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Il ruolo strategico dell'Italia, l'Iraq e i tabù del centrosinistra

di Manlio Dinucci - 25/11/2005

Fonte: www.ilmanifesto.it

 
Il duplice annuncio del governo Berlusconi sul ritiro delle truppe italiane dall'Iraq e dei sottomarini Usa dalla Maddalena «secondo tempi e modi che dovranno essere decisi più avanti» ha spiazzato il centrosinistra, confermando la debolezza del suo programma di politica estera. Il modo in cui esso pone la questione del ritiro dall'Iraq non si distingue infatti da quello del centrodestra. Ciò perché non vuole affrontare il vero nodo: quello dei reali rapporti tra Italia e Stati uniti. «Il ruolo dell'Europa sulla scena mondiale parte da un rapporto privilegiato e paritetico con gli Stati uniti», afferma Romano Prodi nel suo programma «Per far ripartire l'Italia sul serio». Che tale rapporto sia privilegiato non c'è dubbio. Il problema è che non è paritetico. Emblematico è il fatto che le forze e basi statunitensi in Italia, pur essendo sul nostro territorio, sono inserite nella catena di comando del Pentagono e quindi sottratte a qualsiasi meccanismo decisionale italiano. E' a Washington e non a Roma che si decide quando, dove e come usarle. Oltre alle basi statunitensi - al cui costo l'Italia contribuisce per il 34% (324 milioni di dollari nel 2001) - il Pentagono dispone in Italia di molteplici strutture Nato. Al primo posto il Joint Force Command di Napoli: lo comanda un ammiraglio statunitense, il quale è allo stesso tempo comandante delle Forze navali Usa in Europa e comandante della «Forza di risposta della Nato».

In tal modo Washington può usare l'Italia quale trampolino di lancio della «proiezione di potenza» statunitense verso sud e verso est. Tale ruolo dell'Italia è cresciuto d'importanza con la ridislocazione delle forze Usa dall'Europa settentrionale e centrale a quella meridionale e orientale. Lo conferma il fatto che il quartier generale delle Forze navali Usa in Europa è stato trasferito da Londra a Napoli: da qui dirige le operazioni militari in un'area che si estende da Capo Nord al Capo di Buona Speranza e, ad est, fino al Mar Nero.
Ciò rientra in una strategia non solo militare ma politica. Le basi Usa in Italia ed Europa - si sottolinea nel Rapporto presentato il 9 maggio 2005 al Presidente e al Congresso degli Stati uniti dalla Commission on Review of Overseas Military Facility Structure of the United States - servono a «mantenere l'influenza e la leadership statunitensi nella Nato: nella misura in cui rimangono in Europa significative forze statunitensi, la leadership può essere mantenuta». Importante, a tal fine, è «dissuadere la Germania e la Francia e potenzialmente altri a creare una forza militare alternativa alla Nato attraverso lo sviluppo di una forza militare sotto comando e controllo dell'Unione europea, bypassando così la leadership statunitense nella Nato».

«L'Europa - afferma Romano Prodi in "Europa: il sogno, le scelte" - sta dimostrando in modo tangibile quanto essa sia in grado di fare, come potenza regionale, per la sicurezza e la stabilità internazionali». In che modo? «Appresa la lezione del Kosovo, e dei massacri che solo l'intervento della Nato e dell'America riuscirono a fermare, possiamo con serenità e orgoglio affermare che l'Europa ha fatto la sua parte fino in fondo». Si capovolge così la realtà: è stato l'intervento della Nato e degli Stati uniti a gettare benzina sul fuoco facendo divampare nei Balcani una guerra che avrebbe potuto essere evitata e attaccando quindi la Iugoslavia. In tal modo gli Stati uniti hanno rafforzato la loro presenza e influenza in Europa, nel momento critico in cui se ne stavano ridisegnando gli assetti, e rivitalizzato la Nato attribuendole (col consenso degli alleati) il diritto di intervenire fuori area. E' a questo punto che la Nato ha cominciato a espandersi ad est fin dentro il territorio dell'ex Urss e a intervenire fino in Afghanistan e Iraq.

Ora - aggiunge Prodi - occorre rafforzare l'Alleanza atlantica, «l'arco che da più di cinquant'anni tiene insieme America ed Europa», rafforzando il «pilastro europeo». Ciò implica per l'Europa «accettare, anche sul piano strettamente militare, le crescenti responsabilità, comprese quelle di bilancio, che si collegano alla sua ambizione di essere un protagonista di primo piano della politica mondiale». Quindi anche l'Italia, al settimo posto mondiale come bilancio della difesa (28 miliardi di dollari nel 2004), dovrà accrescere la propria spesa militare. Le forze armate italiane potranno così, in base al Nuovo modello di difesa (mai discusso in quanto tale dal parlamento), continuare a «proiettarsi a lungo raggio» per difendere ovunque gli «interessi vitali» del paese, come prescrive lo stato maggiore della difesa.

Il nodo, quindi, è se l'Italia debba restare sulla scia della politica di guerra portata avanti da Washington o debba prendere le distanze. Per fare questo occorre affrontare la triplice questione (invece elusa) della presenza militare Usa in Italia, del nuovo ruolo della Nato e del nuovo modello di difesa. Romano Prodi, che si prepara a presiedere il prossimo governo di centrosinistra, ha chiaramente enunciato la sua visione senza che nessuno all'interno del suo schieramento l'abbia messa ufficialmente in discussione. Non solo egli ritiene «legittima e doverosa la partecipazione militare dell'Italia a importanti missioni di pace» tipo quella in Afghanistan, ma va oltre affermando (in «Europa: il sogno, le scelte») che «la pace, la libertà e la sicurezza non sono date una volta per tutte e in ogni parte del mondo: esse possono richiedere di essere difese anche con le armi». Così si dovrebbe «far ripartire l'Italia sul serio». Ma in quale direzione?