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Alta tensione, per la guerra di Nassiryia. La fiction Fininvest

di Norma Rangeri - 16/03/2007

 
Per pagare il mutuo, per ritardare il matrimonio, per cancellare una macchia dal proprio passato. Sono molte, e, come si vede, non hanno nulla di eroico, le motivazione che spingono i diciannove carabinieri italiani a partire per la missione di Nassiryia. Che, oltretutto, ha poco a che fare con la fine della guerra.

Appena scesi dall'aereo, agli uomini della squadra, viene chiesto di firmare una dichiarazione in cui accettano di assoggettarsi «al codice militare di guerra». Uno di loro chiede spiegazioni («perché guerra?»), e il capo gli risponde che si tratta di una «formalità». Ma non hanno nulla di formale le pallottole di benvenuto che una sventagliata di mitraglia conficca sul muro della palazzina che li ospita da qualche ora. Né è un'allucinazione il suono dei colpi che, appena fa buio, arriva da lontano («altro che finita, qui la guerra continua pure di notte»).

Fin dalle prime sequenze la fiction in due puntate, Nassiryia, per non dimenticare (lunedì e martedì, Canale5) non lascia dubbi sulla situazione che i carabinieri trovano al loro arrivo nella città irachena. La sceneggiatura di Donato Carrisi e Paolo Marchesini, scritta con la consulenza di Stefano Rulli, sottolinea quel che in molti hanno sempre negato: i carabinieri italiani sono stati mandati in una situazione di aperti combattimenti.

Pietro Valsecchi, produttore e autore del film insieme a Carlo Mazzotta e Claudio Corbucci, racconta di aver a lungo parlato con le madri e le vedove dei diciannove militari uccisi dal tritolo nel novembre del 2003. I loro racconti, le telefonate, le lettere di figli, fratelli, mariti sono una parte non secondaria del soggetto.

Il regista, Michele Soavi (già con Valsecchi nella realizzazione di Ultimo e la Uno Bianca) costruisce una fiction ad alta la tensione. Nonostante all'inizio della prima puntata una scena al ralenty mostri la tragica fine (l'attentato con i tremila chili di tritolo ammassati in un camion), il ritmo è incalzante, la drammatica quotidianità dell'intervento (acqua, viveri, elezioni) costantemente intrecciata al retroscena della preparazione della strage. Il grande camion è l'altro protagonista, presenza-killer che appare e scompare fino al botto dell'epilogo.

L'altro protagonista è Raoul Bova, nei panni di un maresciallo siciliano. A lui il compito di esportare la democrazia («pensavamo di stare in una missione di pace, ma senza acqua non c'è dignità, e senza dignità non c'è democrazia»). I carabinieri sono missionari perfetti, contrapposti ai marines, tanti rambo, complici degli iracheni corrotti.