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"Qui ormai è guerra, già la combattiamo"

di Giuseppe Zaccaria - 22/03/2007

 
Un ufficiale: «Ci sono quelli di Enduring Freedom. Poi ci siamo noi dell’Isaf, un caos»

Siamo in guerra? Certo che sì, anche se appena appena. I soldati della Brigata Taurinense che alla periferia della città sono di guardia a «Camp Invicta» si comportano normalmente e ti perquisiscono mentre continuano a mandar via i soliti ragazzini petulanti che domandano «uno euro pè mangià». Tutto sembra scorrere come al solito però è inutile nascondersi dietro a un dito, la situazione si sta facendo sempre più seria, il nostro contingente in Afghanistan galleggia con rotta sempre più incerta ai margini di un conflitto non dichiarato nè ammesso che però continua a svilupparsi e circonda i nostri reparti.

Chiamamola guerra, controguerriglia o come vi pare però questa non è più semplice operazione di pace. Il conflitto monta in maniera strisciante, si sviluppa intorno ad azioni singole, i nostri soldati continuano ad essere chiamati a titolo di emergenza e appoggio e certo non possono rifiutarsi di farlo. In termini tecnici tutto questo si definisce «Cimic», cooperazione fra missioni civili e militari, però i contorni della collaborazione sono sempre più labili, in altri casi bande misteriose ci sparano addosso e bisogna reagire. Oramai comunque la natura dell'incarico sembra cambiata.

«Apparteniamo a una missione Onu a comando Nato sostenuta anche da nazioni che non appartengono all'Alleanza, come Macedonia o Albania», sintetizza con qualche difficoltà uno dei nostri ufficiali. «Questo vuol dire essere parte di un corpo con due teste, in questo momento nelle province del Sud soldati americani, inglesi e canadesi continuano a combattere per la missione Enduring Freedom mentre noi dovremmo occuparci di ospedali e scuole per la missione Isaf. In teoria va tutto bene, ma se quegli altri soldati ci chiedono aiuto dovremmo rifiutarci?». E' chiaro che no, e tutta la storia si racchiude esattamente nella zona grigia fra passività e collaborazione, azione e reazione, non siamo venuti qui per cercare la guerra però la guerra ci sta inseguendo, saremo in grado di combatterla se vi fossimo costretti?

Non aspettatevi conferme o dichiarazioni formali, in attesa di tempi migliori nel contingente italiano è scattata l'applicazione del «comma Nassiriya», legge non scritta entrata in vigore dai tempi dell'attentato che in Iraq uccise diciannove dei nostri. Si tratta dell'ordine silenzioso e intelligente che rinserra i soldati negli acquartieramenti in attesa che giungano tempi migliori. Da qui al 27 di marzo, data del dibattito al Senato sul rifinanziamento della missione, se appena un militare della missione afghana s'incrinasse un alluce si scatenerebbero polemiche senza fine. L'altro pomeriggio a Herat è bastato il leggero ferimento del caporale degli incursori Davide Bernardin da Padova per scatenare fra il «Camp Invicta» di Kabul e il «Camp Arena» di Herat un affollamento di telecamere che non si vedeva dai tempi dell'ultima visita ministeriale.

«Noi siamo perfettamente in grado di reagire a ogni genere di attacco - continua la nostra fonte - anzi forse non siamo mai stati così bene equipaggiati. Non parlo soltanto dei nuovi trasporti Puma, dei blindati leggeri o degli elicotteri della Marina ma anche dell'armamento indivuale e di attrezzature come i visori notturni o i nuovi giubbetti antiproiettile in grado di resistere alla raffica di un Kalashnikov. Soprattutto però le due brigate del nostro contingente - Taurinense a Kabul e Sassari ad Herat - questa volta hanno potuto avere un addestramento lungo e intenso. Insomma, se scoppia la guerra siamo in grado di combatterla anche se non la vogliamo».

Tanto per non eludere ancora la realtà delle cose sarà meglio non nascondersi dietro le definizioni. Qualche tempo fa, prima della reprimenda anglo-americana che ieri ci è caduta fra capo e collo, il Washington Post aveva già ironizzato sulla «pacifica guerra degli italiani». Nella provincia di Herat abbiano verniciato di bianco i nostri blindati sperando di differenziarli da quelli del reparti aggressori, però la cosa sta funzionando sempre meno: scacciati dall' «operazione Achilles» i talebani cercano di riparare a Nord e rompono i provvisori equilibri dell' «isola latina», provincia fino a ieri protetta dalle truppe italiane e spagnole.

Le disposizioni militari che tutti conosciamo affermano che «i nostri soldati hanno il diritto di rispondere ad attacchi ingiustificati applicando il principio della proporzionalità», ovvero evitando di reagire a cannonate contro colpi di fucile. Le vere e proprie regole d'ingaggio però sono «classificate», dunque segrete e l'ultima garanzia che ci separa da un formale stato di guerra è il «caveat» che ci consente 72 ore di tempo prima di decidere se partecipare o meno a un'offensiva. «Fra guerra formale e guerra sostanziale le sfumature sono infinite - continua la nostra fonte - e dunque non credete alle smentite del sottosegretario alla Difesa, qui ormai i nostri soldati, sia pure episodicamente, combattono».