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Per favore, sequestrate Ferrara

di Marco Travaglio - 28/03/2007

Fonte: linus

 
Con questo articolo, intendiamo segnalare all’intelligence americana e italiana un tipo sospetto che da troppo tempo si aggira in ambienti politico-giornalistici italiani seminando notizie false e tendenziose atte a turbare l’ordine e la quiete pubblica. Da anni l’individuo, sulla cinquantina inoltrata, corporatura imponente e minacciosa, occhio spiritato, una folta barba che gli contorna il volto, compare ogni sera su un’emittente televisiva semiclandestina dalla quale pronuncia i suoi proclami sconnessi.

Il suo nome è Giuliano Ferrara e la sua specialità è quella di sparare cazzate a raffica, l’una in contraddizione con l’altra, voltando continuamente gabbana e seminando dunque il panico e il disorientamento nell’opinione pubblica più impressionabile, o almeno in quella minuscola porzione che ancora gli dà retta. Basti pensare che quattro anni fa sostenne di aver avvistato a occhio nudo, dal suo ufficio in Roma, le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein, mentre sul posto gli osservatori dell’Onu e poi le truppe americane non trovarono nemmeno una fiala. Basti ricordare che fu lo stesso Ferrara a qualificare l’Unità come “testata omicida” e ad additare due tra i più illustri intellettuali italiani, Antonio Tabucchi e Furio Colombo, come “responsabili del mio prossimo assassinio” (frutto, naturalmente, della sua fantasia malata).

Basti rammentare che un giorno, polemizzando con un politico a lui ostile, minacciò di mettergli le mani addosso (“te corco con le mani”). Basti sapere che fu ancora lui a vantarsi pubblicamente, sul suo giornale, in un articolo a sua firma, di aver fatto la spia per la Cia, ovviamente a pagamento, in cambio di spesse buste piene di dollari, salvo poi negare tutto dinanzi al Tribunale di Parigi in una causa intentatagli da Tabucchi. Insomma, un personaggio tanto inaffidabile quanto pericoloso. Nella sua lunga e disonorata carriera, d’altronde, egli ha sposato tutte le cause peggiori che si siano manifestate sul suolo nazionale e internazionale nell’ultimo sessantennio: dallo stalinismo al craxismo, dal berlusconismo al previtismo, dal dellutrismo al bushismo, dal guantanamismo al ruinismo.

Costituendo, a nostro avviso, una pesante e permanente minaccia alla sicurezza nazionale e, per di più, attirando quotidianamente sull’Italia le attenzioni dell’islamismo radicale, sarebbe opportuno farlo sparire per un po’, prima che sia troppo tardi, con una “extraordinary rendition” che egli stesso, peraltro, ha applaudito con entusiasmo. Dunque, non potrà lamentarsi più di tanto. La sua rendition, diversamente dalle altre, sarà la prima a svolgersi con il consenso della vittima: il Ferrara, infatti, non fa che inneggiare ogni giorno al sequestro dell’imam di Milano Abu Omar, rapito all’inizio del 2003 da un commando di agenti della Cia, del Sismi e del Ros.

In uno dei suoi ultimi, deliranti comunicati strategici, pubblicato su un samizdat finanziato dai contribuenti denominato Il Foglio, il Platinette barbuto così argomentava il 15 febbraio 2007 a proposito della rendition di Abu Omar e dell’inchiesta della Procura di Milano: “Si vede che i magistrati inquirenti di Milano sono convinti che il segreto di Stato sia come quello istruttorio, che è diventato un colabrodo selettivo al servizio del circuito mediatico-giudiziario. Nell’inchiesta su Abu Omar hanno tranquillamente dato ordine di mettere sotto controllo gli agenti dei servizi di sicurezza, violando quindi apertamente il segreto di Stato che vigeva sulla vicenda in questione”. Tutto falso: il segreto istruttorio è stato abolito con il nuovo codice di procedura del 1989; il segreto di Stato è previsto soltanto quando qualche pubblico ufficiale lo oppone, al momento del sequestro di un documento o dell’acquisizione di un’informazione top secret, e nell’inchiesta sul caso Abu Omar nessuno dei 26 imputati ha mai opposto il segreto di Stato nemmeno su un francobollo.

Quanto alle intercettazioni telefoniche, che hanno riguardato solo 6 agenti del Sismi (escluso il generale Nicolò Pollari, mai intercettato), non esiste in Italia alcuna legge che vieti di intercettare agenti segreti. Dunque nell’inchiesta sul sequestro di Abu Omar non c’è alcuna prova coperta da segreto di Stato, dunque nessun magistrato ha violato alcunché (dunque il vicepremier Francesco Rutelli, sostenendo il contrario alla Camera, ha mentito al Parlamento italiano). Ma il Ferrara, impermeabile ai fatti e alla verità, così prosegue: “Si dovrà decidere se anche i magistrati milanesi debbono applicare le norme che valgono per tutti i cittadini o se per loro vale un particolare e inspiegabile privilegio”.

In realtà, in questa vicenda, si deve decidere se anche gli agenti della Cia e del Sismi debbano (congiuntivo) applicare le norme che valgono per tutti i cittadini, soprattutto quelle del Codice penale che vietano i sequestri di persona, o se per loro valga (sempre congiuntivo) un particolare e inspiegabile privilegio: per questo il gup Caterina Interlandi ha rinviato a giudizio tutti gli imputati, italiani e americani, per aver prelevato illegalmente Abu Omar e averlo deportato in Egitto tramite la base di Aviano perché fosse torturato per sei o sette mesi. Ma il Ferrara, impermeabile anche alla decenza, aggiunge: “Quello che veniva difeso dal governo Berlusconi, e oggi viene difeso da quello di Romano Prodi, è un interesse nazionale, messo in pericolo dai metodi spericolati di settori della magistratura che non accettano di rispettare il segreto di Stato o finiscono con l’aggirarlo, mettendo peraltro in pericolo gli agenti che dovrebbero essere protetti da quel meccanismo”.

In realtà, quei settori della magistratura, con metodi per nulla spericolati ma perfettamente legali, stavano indagando sui possibili legami di Abu Omar con esponenti dell’estremismo jihadista dediti ad attentati o ad altre attività eversive: per questo lo stavano facendo pedinare dalla Digos per stroncare la presunta cellula e individuare gli eventuali complici e sventarne le possibili azioni contro civili. Ma, sul più bello, si videro portar via l’esca, e l’inchiesta fu irrimediabilmente rovinata. Il sequestro di Abu Omar, dunque, lungi dal contribuire alla lotta al terrorismo, ha contribuito al terrorismo tout court. Mettendo in pericolo la sicurezza e l’interesse nazionale delle potenziali vittime della cellula rimasta impunita.

Ma il Ferrara, impermeabile anche alla logica e al principio di non contraddizione, ribalta completamente la questione e conclude il suo delirante articolo: “Tutte le persone di buon senso si rendono conto che la lotta al terrorismo sanguinario non si può combattere con i guanti bianchi, tutti chiedono da sempre che l’intelligence sia in grado di prevenire i pericoli mortali, ma quando poi si cerca di farlo si trova sempre un pm di mezzo”. I pm in questione sarebbero Armando Spataro e Ferdinando Pomarici. Purtroppo per Giuliano Ferrara e per fortuna nostra, Spataro è lo stesso che negli stessi giorni, insieme a Ilda Boccassini, ha sventato in tempo reale alcuni attentati progettati dalle nuove Br, con la stessa preparazione professionale con cui negli anni 70 e 80, insieme a Pomarici, sgominò a Milano le vecchie Brigate rosse e Prima linea.

Resta da capire per quale motivo, da anni, Ferrara scarichi fango e veleno proprio su Spataro, Pomarici (anche per l’inchiesta che portò all’arresto e alla condanna di mandanti ed esecutori del delitto Calabresi) e Boccassini (anche per le inchieste sulla corruzione al palazzo di giustizia di Roma): usando le stesse categorie mentali di Ferrara, che individua in chiunque persegua i metodi illegali della Cia e del Sismi dei sicuri complici del terrorismo sanguinario, bisognerebbe concludere che il Ferrara è oggettivamente complice di tutti i delinquenti assicurati alla giustizia, nel corso degli anni, da Spataro, Boccassini e Pomarici. Basti ricordare le sue commosse difese di Renato Squillante (“un uomo probo”), di Cesare Previti e dei responsabili del delitto Calabresi, uno dei quali tiene addirittura una rubrica fissa sul Foglio.

Il che, se non giustifica l’arresto immediato del Ferrara, è sufficiente a rendere auspicabile almeno una sua immediata rendition. I servizi di sicurezza nazionali e alleati lo prelevino dunque di peso dalla sua poltrona in largo Corsia dei Servi (mai toponomastica fu più azzeccata), lo conducano a Guantanamo (dove potrà toccare con mano il balsamico trattamento riservato a persone un po’ meno estremiste di lui) e lo sottopongano alla peggiore delle sevizie: la lettura ininterrotta, diurna e notturna, dei suoi articoli del periodo comunista. Crollerà subito.