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Petrolio: venti di guerra su Teheran

di Marzio Paolo Rotondò - 30/03/2007




Il prezzo del greggio si impenna sui massimi di quest’anno. L’oro nero, dopo sette giorni consecutivi di rialzi, ha infatti toccato quota 69 dollari in seguito a fortissime spinte che hanno fatto lievitare il prezzo sul Nymex dell’8% in poche ore. Si tratta del rialzo più sostenuto dal 2001, ovvero in occasione dei forti rialzi che hanno caratterizzato l’ascesa di questi anni dei costi della materia prima. Alla base dei forti rincari le crescenti tensioni geopolitiche fra la coalizione anglo-americana e l’Iran; una questione che diventa sempre più incandescente e che fornisce tutte le premesse per un intervento armato.
“È sufficiente che ci sia una notizia su un incidente militare a far salire le quotazioni del petrolio di cinque dollari al barile o anche di più. La posta in gioco è alta”, ha affermato John Kilduff, vice presidente senior della gestione del rischio presso la società di brokeraggio Fimat USA. A questo si aggiungono ovviamente le forti speculazioni che portano ogni giorno allo scambio di oltre 400 milioni di barili sulle piazze finanziarie internazionali al cospetto di un fabbisogno mondiale di soli 82 milioni di barili.
Il rischio di forti ricadute sulla disponibilità di petrolio dei mercati internazionali è molto elevata. L’Iran è infatti fra i primi 6 più grandi produttori di greggio al mondo, con una produzione che rappresenta circa il 5% di quella mondiale, ma è secondo solo all’Arabia saudita in quanto a riserve. Questa percentuale, anche se può sembrare esigua, ha un impatto non indifferente sul mercato mondiale. L’Iran è però anche fra i primi 6 produttori di gas, secondo per giacimenti. Teheran è dunque un grande interlocutore dal punto di vista energetico, con grandi ambizioni anche dal punto di vista geopolitico nell’area mediorientale.
In caso di guerra, l’Iran è disposto a chiudere i suoi rubinetti. È ben probabile, inoltre, che le forze armate iraniane potrebbe decidere di bloccare lo stretto di Hormuz, attraverso il quale circola ogni giorno il 20% dell’offerta globale di petrolio; una situazione che sarebbe catastrofica per l’intera economia mondiale e soprattutto per più industrializzate e con grandi importazioni di petrolio. Fra queste l’Italia, che per la produzione elettrica è dipendente dalle importazioni petrolio e gas per circa il 90%. Per questo motivo, il nostro Paese sarebbe tenuto a fare importanti scelte di emancipazione energetica che oltre all’utilizzo di fonti energetiche alternative e biocarburanti dovrebbe prendere seriamente in considerazione un nuovo utilizzo dell’energia nucleare.
Fra i Paesi più dipendenti dall’oro nero figurano anche gli Stati Uniti. La recente politica di taglio dei consumi di petrolio e gli incentivi alla conversione ai biocombustibili nell’ottica di una riduzione delle emissioni ad effetto serra, ha evidentemente altre prerogative. Washington per più di un secolo ha fatto del petrolio, ma anche dell’automobile, uno dei suoi più grandi business. Oggi, però, si pensa ad abbandonarlo progressivamente. È poco probabile che un petroliere come il Bush che ha fatto molto per l’industria del petrolio fin dai suoi primi mesi da presidente degli Stati Uniti e nulla nella ratifica del Protocollo di Kyoto, sia ora ossessionato dai problemi ambientali.
All’inizio dell’anno Bush si è posto l’ambizioso obiettivo di tagliare circa il 20% dei consumi di greggio in dieci anni, così come l’Unione europea che non ha però ancora ratificato nulla sui biocarburanti.
Il presidente ha inoltre incontrato alla Casa Bianca i vertici di General Motors, Ford e Chrysler: con questi ha convenuto il riconoscimento dell’importanza di un maggiore utilizzo dei carburanti alternativi ed ecologici riuscendo inoltre a farli impegnare nella costruzione di metà dei loro veicoli alimentabili all’85% da etilene e biodiesel entro 2012. Bush ha inoltre incontrato qualche settimana fa in Brasile, il maggior produttore mondiale di carburanti all’etanolo, il presidente brasiliano Lula per stipulare contratti sulla produzione congiunta di biocarburanti.
Il drastico piano di azione per ridurre la dipendenza dal petrolio ha un solo vero motivo: quello di diminuire drasticamente la dipendenza di greggio per non essere più incatenato su possibili scenari di guerra futuri.
Si prevede dunque che il prezzo del petrolio, ancora più che negli scorsi anni, subirà forti rialzi sia per gli scenari geopolitici globali che per le enormi speculazioni che ne fanno lievitare i prezzi.
A soffrirne saranno non sole le economie mondiali ma anche, e soprattutto, i cittadini.