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Peròn e la rivoluzione cubana

di Nando de Angelis - 17/04/2007



La notte del 6 settembre del 1996 veniva assassinato Javier Iglesias. Trovò la morte mentre raccoglieva informazioni sui desaparecidos spagnoli durante la dittatura militare, cadde sotto i colpi d’arma da fuoco della polizia menemista. Un fatto oscuro di cui, ancora oggi, non sono stati rilevati i particolari.
Javier Iglesias, dopo aver militato nelle fila del falangismo autentico nella sua Spagna natìa, si era stabilito in Argentina all’alba degli anni 80. Entrato in contatto con esponenti del peronismo revolucionario creò la “Union de los Sin Techo”, lottò fianco a fianco con le famiglie più povere delle “ciudad miseria” di Buenos Aires per il diritto alla casa per tutti promuovendo una straordinaria catena di solidarietà sociale. In seguito, questa azione si concretizzò in attuazione politica. Fu tra i promotori e dirigenti del gruppo “Lucha Peronista” che, in accordo con i settori più popolari del paese, si proponeva il recupero dell’identità “peronista” contro il tradimento di Menem e del Partito Giustizialista ufficiale.
Il “Movimiento Peronista Autentico”, in un comunicato stampa, a dieci anni dalla sua morte così lo ricordava: “Javier Iglesias, il caro e indimenticato “Gallego”, nacque in Lugo, Galicia, España, il 4 aprile del 1960. Il suo nome completo era Emilio Javier Iglesias Perez ed era arrivato in Argentina nel giugno del 1982, dopo essere stato nel Nicaragua Sandinista, dove collaborò con il Ministero di Educazione. Venne in Argentina abbandonando la sua Spagna natìa alla ricerca di nuovi orizzonti e utopie, dopo aver militato durante tutta la sua giovinezza nella Falange Española Autentica, meglio conosciuta come la Falange “hedillista” o “antifranquista”, formazione politica spagnola che si definisce di sinistra rivoluzionaria e della quale fu un dirigente. In Argentina ebbe molti contatti con compagni di lotta di differente estrazione politica e con gruppi che avevano vissuto l’esperienza del Peronismo Montonero, per organizzare la UST (Union de los Sin Techo), organizzazione che negli anni 80 e a principio dei 90 contava nelle sue fila migliaia di famiglie senza casa, in particolare nella città di Buenos Aires. Questa organizzazione di solidarietà sociale si trasformò in una organizzazione politica, “Vanguardia del Pueblo”, poi “Lucha Peronista”, della quale il “Gallego” fu l’indiscusso leader. Successivamente, iniziò un cammino di unità del Peronismo Combattente e Rivoluzionario, si fece promotore con altri compagni di lotta della rivista ‘El Aviòn Negro’, rivista che fu edita in cinque numeri fino al suo assassinio, per mano della polizia menemista, il giorno 6 settembre del 1996. Javier ci insegnò che la solidarietà non ha limiti geografici, che la perseveranza ed il sacrificio non hanno prezzo e che l’eroismo era una delle sue migliori qualità. Oggi non c’è più e questo ci rattrista. Però è sempre presente nella memoria di tanti compagni di lotta che lo hanno conosciuto, che ricordano il suo sorriso vittorioso, la sua generosità, la sua disponibilità, i sogni e le illusioni che seguono vivi in noi, di costruire una Patria libera e una vita che valga la pena di essere vissuta. Compañero Javier Iglesias, !presente! !Hasta la victoria sempre!”.
Javier Iglesias, oltre a partecipare attivamente ed in prima persona alla battaglia politica, scrisse numerosi saggi di analisi. Spicca tra gli altri quello dedicato all’influenza che le teorie di Peròn ebbero rispetto alle forze che realizzarono la rivoluzione cubana nella decade 1940-1950 e in specie su Fidel Castro e sul nascente movimento insurrezionalista. Il tema trattato, apparentemente solo storico, è essenzialmente, politico: egli intende riscattare in tutta la sua integrità rivoluzionaria, anti-oligarchica e antimperialista quel gigante libertario che fu Juan Domingo Peròn il cui messaggio di liberazione e giustizia ha spaziato oltre le frontiere argentine per assumere una dimensione continentale, con rilevanti ricadute su tutte le lotte di liberazione del cosiddetto Terzo Mondo. Peròn - afferma - è storicamente un rivoluzionario, non certo il leone sdentato che pretendono di proporre i transfughi liberal-menemisti postisi al servizio dello stesso imperialismo contro il quale Peròn, senza soluzione di continuità, ha combattuto. Allo stesso modo poco e nulla vi è di peronista in certo neo-giustizialismo «rosa» e socialdemocratizzante che, sebbene critico delle innegabili devianze di Menem, coincide con le idee reazionarie di quanti sono intenti nella costruzione di uno pseudo-peronismo, piccolo borghese e intellettualoide spurgato di tutti i contenuti nazionali, proletari, popolari, terzomondisti e rivoluzionari.
A fronte delle commistioni imperialiste e riformiste che caratterizzano i rappresentanti dal centrosinistra argentino e i falsi nazionalismi degli anti-peronisti oppone la ferma convinzione nei valori rivoluzionari del terzerismo anti-colonialista.
La bancarotta delle dittature burocratico-comuniste dissoltesi con l'Unione Sovietica e il trionfo del blocco imperialista guidato dai super-banditi statunitensi è la conferma della tesi, per lui fondamentale, che l'unico anticapitalismo possibile è rappresentato dal movimento nazionale e popolare della "Terza Posizione". Ricordare il messaggio rivoluzionario di Juan Domingo Peròn è, riaffermando la sua valenza attuale, rammentare anche l'influenza del Giustizialismo sulle prime fasi della rivoluzione castrista cubana come ha avuto modo di sottolineare in passato: «L'evolversi della situazione cubana può trovare il suo riscontro con la Grande Patria latino-americana se questa, prescindendo dalle vecchie formule marxiste, rialzerà di nuovo la bandiera del nazionalismo rivoluzionario terzerista del castrismo iniziale. La fine dell'impero comunista anticipa la crisi di quello capitalista. Ogni popolo deve lottare per la propria emancipazione nazionale e, al tempo stesso, stabilire relazioni solidaristiche con le altre nazioni oppresse dall'imperialismo, dall'ingiustizia e dalla reazione».
Grande è l'influenza esercitata dalla Rivoluzione peronista in America Latina, ma è soprattutto a Cuba che il fenomeno giustizialista dispiega tutta la sua forza suggestiva, tanto che nel '56 un articolo sulla rivoluzione castrista asserisce che «Cuba è il fuoco peronista che arde nel Caribe». Questa affermazione è l'eco della congiunzione nell'isola caraibica di due fattori: la presenza diretta del prepotente capitalismo statunitense ed il carattere apertamente controrivoluzionario del comunismo pre-castrista cubano.
Rispetto alla presenza statunitense ricorda che Cuba fu l'ultimo Paese latino-americano a raggiungere l'indipendenza, liberandosi dal dominio spagnolo (1898) grazie soprattutto alla presenza di truppe USA approdate nell'Isola in virtù del mai chiarito attentato alla nave Maine. Il carattere coloniale di questa Cuba, suppostamente “indipendente”, è confermato dalla «carta costituzionale» in cui viene incluso (giugno 1901) il famigerato «emendamento Platt» che afferma esplicitamente: «Cuba consente che gli Stati Uniti possano esercitare il diritto di intervenire per la difesa dell'indipendenza cubana e per il mantenimento di un governo adeguato per la protezione della vita, della proprietà e della libertà individuale». A fronte dell'espansionismo yanqui, già denunciato da patrioti come Josè Martì («Ho vissuto dentro il mostro e ne conosco le viscere») sorge un nazionalismo antimperialista intransigente. Quando per contenere le spinte antimperialiste gli USA utilizzeranno la sanguinosa dittatura del presidente del Partido Liberal, Gerardo Machado ('24-'33), l'opposizione patriottica e popolare sarà obbligata a far ricorso alla resistenza armata, al terrorismo individuale, al sabotaggio e alla cospirazione insurrezionalista. È in questa esperienza di nazionalismo rivoluzionario che va ricercata, a suo avviso, non certo nel marxismo, l'etica del castrismo.
L'influenza del peronismo storico non solo è decisiva nelle organizzazioni politiche del nazionalismo rivoluzionario pre-castrista. Ma in virtù della dimensione continentale di cui erano impregnate le tematiche nazionalproletarie e sindacaliste dell'Argentina peronista è logico che esse abbiano prodotto un grande influsso sul movimento operaio di tutta l'America latina.
Cuba non è un eccezione e il suo Movimento Obrero è la prova lampante delle convergenze esistenti tra il tercerismo rivoluzionario e il nazionalismo antimperialista e socialista non-marxista del nascente movimento dei Barbudos.
Nella sintesi di questo accurato saggio si interroga su come una Rivoluzione nazionale e «tercerista» strettamente imparentata col peronismo storico si sia potuta convertire in un sistema marxista-leninista a partito unico. E con grande lucidità afferma che sicuramente la Rivoluzione cubana ancora il 2 dicembre '61 non può essere definita comunista ma giustizialista! Gli stessi dirigenti cubani, rispondendo alle preoccupazioni statunitensi, dichiaravano: «la nostra Rivoluzione non è né capitalista né comunista». Fidel Castro, sul quotidiano "Revoluciòn", affermava: «Di fronte alle ideologie che si disputano l'egemonia mondiale sorge la Rivoluzione Cubana, con nuove idee e nuovi contenuti. Non vogliamo essere confusi con i popoli che si sono fatti abbindolare dal comunismo». Ernesto Che Guevara sosteneva in un documento titolato «Bohemia» pubblicato il 14 giugno '59: «Si fuera comunista no dudarìa pregonarlo a voces». Era, la Rivoluzione Cubana, una Rivoluzione nazionale che solo l'embargo imposto dagli Stati Uniti obbligò a radicalizzare le sue posizioni. Quando i cubani, ad esempio decisero di importare petrolio russo, le tre raffinerie gestite dalle multinazionali americane presenti a Cuba si rifiutarono di raffinarlo. Come risposta Fidel Castro nazionalizza le proprietà statunitensi e per rappresaglia gli USA sospendono l’importazione dello zucchero. Castro contrattacca sospendendo le relazioni diplomatiche ed ottenendo un primo credito sovietico e gli Stati Uniti finanziano e organizzano lo sbarco di Bahìa Cochinos nell'aprile '61. Solo a questo punto Fidel si proclama marxista-leninista. Si tratta di una radicalizzazione in gran parte provocata dagli USA come riconosce Ernesto Guevara in un'intervista a L. Bergquit, "Look" novembre '61: «Eccezion fatta per la nostra riforma agraria, che tutto il popolo reclamava, tanto da iniziarla spontaneamente, tutte le iniziative radicali che abbiamo adottato sono la risposta ad atti d'aggressione da parte dei potenti monopoli del vostro paese e dei suoi massimi esponenti politici. Per sapere quale sarà il futuro di Cuba bisogna prima chiedere al governo USA quali siano le sue intenzioni, quali scelte ci verranno imposte».
La strategia di appoggiarsi ai russi per non cedere ai ricatti yanquis non è accettata dalla totalità del Movimento castrista. Al suo interno almeno quattro le correnti: «i filo-USA, che si confermano per una democratizzazione anti-Batista; i nazionalisti democratici; una corrente proletario-rivoluzionaria socialista ma non filo-sovietica (che comprendeva essenzialmente i sindacati castristi) e, finalmente, la "piccolo-borghese" autoritaria alleata dei comunisti che alla fine fu quella che si affermò».
I simpatizzanti peronisti «nazionalisti democratici» e «socialisti rivoluzionari» finirono in esilio o incarcerati, essi non vollero scegliere tra «democrazia» USA e comunismo filo-sovietico. Il definitivo passaggio della ex-Unione Sovietica nel blocco imperialista occidentale, ricorda, ha portato al quasi totale isolamento di Cuba che conta solo sull'aiuto dei paesi latino-americani meno compromessi con gli Stati Uniti e ripropone in tutto il suo vigore la questione: potrà la Rivoluzione cubana sopravvivere con la propria forza? Potrà il castrismo evolvere verso una forma di «terzerismo» rivoluzionario che è parte importante delle sue caratteristiche originarie?
Se la storia e la libera volontà del popolo cubano, conclude, andranno in quella direzione la Grande Isola del Caribe sarà la prima vera trincea dalla quale si combatterà per l'emancipazione dell'America Latina e per un giustizia sociale rispettosa della libertà e della dignità dell'uomo e, per questo, lontana tanto dal capitalismo come dal comunismo.