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Lo scudo antimissile ed il suo obiettivo

di Daniele Scalea - 21/06/2007

 

Missili balistici, trattato ABM e “scudo spaziale”

 

Benché nelle ultime settimane si sia fatto un gran parlare dello scudo antimissilistico che gli USA vorrebbero installare in Europa, basta leggere o sentire i resoconti di certi giornalisti (che, in teoria, dovrebbero essere meglio informati della massa) per capire quanto su questo tema viga, almeno in Italia, una gran confusione. Si rende dunque necessario un breve capitoletto introduttivo, tanto per definire i termini fondamentali della questione che andremo ad analizzare.

La prima domanda: cos'è un missile balistico[1]? Si tratta d'un missile che, lanciato su un obiettivo ben preciso, segue un percorso suborbitale (cioè raggiunge lo spazio senza però entrare in un'orbita stabile, bensì ritornando nell'atmosfera terrestre). Si dice “balistico” perché manovrato soltanto durante la sua fase iniziale (tramite i razzi propulsori), dopo di che prosegue il proprio viaggio autonomamente seguendo, per l'appunto, le leggi della balistica. Il primo esempio di missile balistico fu il celeberrimo V-2 tedesco. Questo genere di missile può essere lanciato da una rampa fissa o mobile, così come da un sottomarino o da un aereo. La portata di tiro è varia: vi sono missili balistici a corto raggio (vedi appunto il V-2 o lo Scud), altri a raggio medio, intermedio, subcontinentale, fino ad arrivare (per quelli che superano i 5500 km) ai fatidici missili intercontinentali (spesso indicati con l'acronimo inglese “ICBM”, cioè “inter-continental ballistic missiles”)[2], quelli che più c'interessano. I missili a corto-medio raggio sono detti anche “missili balistici tattici”, mentre gli ICBM sono missili balistici strategici. Data l'opportunità offerta dal loro enorme raggio d'azione, nonché l'elevato costo che sconsiglia d'utilizzarli per azioni di poco conto, gli ICBM sono in genere armati con testate nucleari, e dunque destinati ad essere utilizzati come ultima ratio. Sono dotati di questo genere d'armamento tutti e cinque i paesi con seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza dell'ONU: USA, Russia, Cina, Francia ed Inghilterra. Tuttavia, mentre i due paesi europei hanno soltanto missili balistici sottomarini, le tre potenze di dimensioni continentali sono dotati anche d'ICBM dislocati in silos terresti. Si ritiene inoltre che altri tre paesi stiano lavorando allo sviluppo d'ICBM: India, Pakistan e Corea del Nord. Va infine ricordato che nel 1991 l'URSS e gli USA, che eccellono per quantità e qualità dei loro ICBM, siglarono il trattato START-1[3] per il disarmo parziale dei missili balistici intercontinentali. Nel 1993 Federazione Russa e USA conclusero anche un altro trattato, lo START-2[4], mai entrato però in vigore: in quel caso, sarebbero state messe al bando le testate multiple, o “MIRV” (“multiple indipendently targetable reentry vehicle”), che permettono di colpire più obiettivi con un solo missile, aumentandone dunque la capacità distruttiva.

Esiste un modo per difendersi da quest'arma micidiale ch'è l'ICBM? In teoria sì: individuato in anticipo il lancio d'un missile balistico (grazie al sistema radar) si potrebbe tentare d'intercettarlo con un altro missile. Già negli anni '50 gli Statunitensi cominciarono a lavorarvi, presto seguiti dai Sovietici. Il 26 maggio 1972, però, Richard Nixon e Leonid Brežnev firmarono il cosiddetto Trattato AMB (“ABM” per gli anglofoni: “anti-ballistic missile”)[5] che, a dispetto del nome, non è rivolto a bandire i missili balistici, bensì le difese antimissile. L'uomo della strada potrebbe chiedersi: va bene proibire delle armi incredibilmente letali, ma perché mettere al bando il sistema per difendersi da quelle stesse armi? La risposta è semplice: l'equilibrio militare che, allora come oggi, garantisce la pace planetaria tra le grandi potenze, è fondato sul terrore. Il terrore della mutua distruzione che deriverebbe da una guerra nucleare. Se USA e URSS si fossero lanciati vicendevolmente i propri ICBM, un contendente sarebbe andato incontro alla distruzione totale e l'altro a quella quasi totale, sicché, di fatto, difficilmente si sarebbe potuto definire “il vincitore”. Un paese terzo avrebbe presto potuto scalzarlo dal ruolo di “sola superpotenza residua”, appena guadagnato a così caro prezzo. Creare un sistema in grado di difendere dagli ICBM, invece, avrebbe turbato questa “pace armata”. Infatti, nel momento in cui uno dei due contendenti avrebbe potuto annientare l'altro senza subire eccessivi contraccolpi, cosa l'avrebbe tenuto a freno? Forse una “moralità” che, se mai ha guidato le azioni dei potenti, certo non lo fa nella nostra epoca? Evidentemente, si sarebbe passati dalla “Guerra Fredda” alla conflagrazione atomica (semi)globale. Siccome il problema si ripropone ancor oggi, è fondamentale tenere a mente questo punto essenziale: lo “scudo antimissile” non è, come potrebbe far pensare il nome, un sistema difensivo, bensì un sistema offensivo. Tornando al nostro Trattato AMB, esso prevedeva che i due contraenti non potessero avere più di due sistemi difensivi, numero dimezzato nel protocollo del 1974, dato che nessuno aveva ancora creato il secondo. Rimasero dunque due soli sistemi di difesa missilistica, una per parte: negli USA il ramo del complesso Stanley R. Mickelsen Safeguard (che, nei progetti iniziali, doveva coprire tutti i punti strategici del paese)[6] a difesa della base aerea di Grand Forks (sistema chiuso nel 1976 dopo soli 4 mesi d'attività), nell'URSS l'A-35 a protezione di Mosca, ereditato dalla Federazione Russa che anzi l'ha ulteriormente migliorato (A-135)[7]. Come si può notare, in questo campo i Sovietici erano partiti in ritardo ma avevano non solo raggiunto, bensì persino superato i Nordamericani; tuttavia, le spese connesse allo sviluppo militare pesavano molto di più, in termini percentuali, sul PIL di Mosca che su quello di Washington, e perciò entrambi ebbero un buon motivo per porre fine a questa corsa agli armamenti: gli uni per non collassare economicamente, gli altri per non rischiare d'essere soperchiati militarmente. Nel marzo 1983, però, Ronald Reagan lanciò la sua “Strategic Defensive Initiative” (SDI)[8], passata alla storia come “scudo stellare” (o “scudo spaziale”). Di fatto si trattava d'una riproposizione del progettato sistema di difesa antimissile bandito dal Trattato AMB, benché il Presidente statunitense s'impegnasse a negarlo con tutte le proprie forze. Tuttavia, il completo fallimento della SDI (che assorbì cifre enormi a fronte di risultati pressoché nulli) ed il suo abbandono dopo la fine della presidenza Reagan fecero sì che non minacciasse l'esistenza del Trattato AMB. Più difficoltà le pose la disgregazione dell'Unione Sovietica. Caduto uno dei contraenti, la convenienza dell'accordo diveniva dubbia per quello ch'era rimasto in piedi. Ed infatti, dopo un decennio circa di dibattito interno, il 13 dicembre 2001 il presidente George W. Bush comunicò a Mosca che, rispettando le procedure previste nel protocollo stesso, di lì a sei mesi gli USA si sarebbero ritirati dal Trattato AMB. Ufficialmente, perché Washington si sentirebbe minacciata da quelli che definisce “Stati canaglia” (“rogue states”), cioè i paesi di rango inferiore che si rifiutano d'accettarne la supremazia planetaria. I piani per lo “scudo spaziale” sono affidati ad un organismo statale creato ad hoc, la Missile Defense Agency[9], dipendente dal Dipartimento della Difesa.

Dopo anni di esperimenti e centinaia (forse migliaia) di miliardi di dollari d'investimento, gli USA si sentono finalmente pronti a varare il proprio sistema di difesa antimissile. Così, pochi mesi fa Washington ha reso nota al mondo l'intenzione d'installare una stazione radar in Cèchia e batterie di missili intercettori in Polonia, ovviamente col consenso dei governi di Praga e Varsavia (sebbene, soprattutto in Repubblica Ceca, la popolazione locale non si sia mostrata troppo entusiasta della cosa). Secondo gli USA, il cosiddetto “scudo” servirebbe a difendere loro e l'Europa da attacchi nucleari che potrebbero essere condotti da Corea del Nord e Iràn; i Russi, però, ritengono che il sistema antimissile statunitense costituisca prima di tutto un atto offensivo verso di loro. Proviamo a vedere chi ha ragione, partendo dall'analisi della destinazione del progetto secondo quanto dichiarato da Washington.

 

Gli arsenali strategici di Iràn e Corea del Nord

 

Dei due paesi indicati quale potenziale “minaccia”, solo uno risulta possedere l'arma atomica: la Corea del Nord. Pyongyang ha aperto la prima struttura nucleare nel 1965, grazie all'aiuto sovietico; negli anni '90, non ostante l'adesione al Trattato di Non Proliferazione Nucleare (TNP)[10], decise d'avviare un programma nucleare clandestino a scopo bellico. Il 9 ottobre 2006 la Repubblica Popolare Democratica di Corea annunciò al mondo d'aver effettuato con successo l'esplosione controllata d'un ordigno atomico. Benché alcuni vociferino che, in realtà, si tratterebbe solo d'un bluff, gli effetti dell'esplosione sono stati registrati dai sismografi dei paesi vicini, sicché si può sostenere con una buona dose di certezza che davvero Pyongyang s'è unita all'esclusivo club dei paesi con la “Bomba”.

L'Iràn, dal canto suo, pur essendo un grande produttore d'idrocarburi (ha le seconde riserve mondiali di gas naturale, e le terze di petrolio), soffre di cronici problemi energetici, legati soprattutto all'inefficienza e scarsità d'infrastrutture. Non a caso, già dai tempi della Persia dello Scià, Tehran accarezza il sogno di dotarsi dell'energia atomica. Il programma nucleare persiano fu lanciato negli anni '50 con l'aiuto degli Stati Uniti. Dopo la Rivoluzione Islamica, il piano fu solo momentaneamente abbandonato, per poi essere ripreso anche dalla Repubblica con l'aiuto dei Russi. Com'è noto, le autorità iraniane affermano che il programma ha fini esclusivamente civili: in effetti, l'AIEA (agenzia dell'ONU che controlla le questioni connesse all'energia atomica) non ha finora mai trovato alcuna prova che suggerisca la volontà iraniana di sviluppare armi nucleari.[11] Non di meno, gl'ispettori dell'AIEA hanno ritenuto di denunciare una collaborazione “insoddisfacente” da parte di Tehran, offrendo quindi il destro a quei paesi – in primis USA e Israele – i quali accusano l'Iràn di voler clandestinamente dotarsi dell'arma atomica (in violazione del TNP di cui Tehran è firmataria). Fatto sta che, al momento, è certo che la Repubblica Islamica non possieda armi nucleari, è dubbio se anche solo abbia l'intenzione di svilupparle, ed anche se fosse necessiterebbe d'alcuni anni per farlo.

Se a livello d'arsenale atomici i due paesi risultano decisamente poco dotati (l'Iràn ne è completamente privo, la Corea del Nord è ancora nella fase iniziale di sviluppo), dal punto di vista della tecnologia missilistica se la cavano invece abbastanza bene. La Corea del Nord, fin dagli anni '80, ha riadattato l'SS-1 sovietico per creare il Rodong-1[12], un missile che la NATO classifica come Scud ed ha una portata di 1000-1300 km (missile balistico a medio raggio). Il Rodong-1 è stato (e parzialmente è ancora) un buona fonte di profitto grazie alla vendita all'estero (Libia, Siria e probabilmente anche Iràn e Pakistan).  Pyongyang negli anni '90 ha lavorato ad ulteriori miglioramenti del Rodong-1, da cui è nato il Rodong-2[13], che dovrebbe avere una portata superiore ai 2000 km (si tratta sempre di missile balistico a medio raggio), e la variante nota come Taep'odong. Il primo Taep'odong-1[14] fu lanciato nell'agosto 1998: si hanno poche informazioni riguardo questo missile, ma si ritiene che dovrebbe avere una portata compresa tra i 2200 ed i 2896 km (raggio medio-intermedio). Attualmente, i Nordcoreani stanno lavorando al Taep'odong-2[15]. Secondo gli esperti (poiché, ovviamente, mancano notizie ufficiali), la variante a due stadi dovrebbe avere una portata di 4000 km, quella a tre stadi di 4500 km: si tratta dunque d'un missile balistico subcontinentale che però, secondo documenti declassificati della Central Intelligence Agency statunitense, con ulteriori aggiustamenti potrebbe raggiungere i 9000 km di raggio d'azione, il che lo renderebbe un ICBM a tutti gli effetti.

L'Iràn ha cominciato a lavorare intensamente per sviluppare un arsenale missilistico subito dopo la fine della guerra contro l'Iràq, che aveva evidenziato questa lacuna delle forze armate islamiche. Dapprima con l'aiuto della Cina e della Corea del Nord (inizio anni '90), poi da sola, Tehran è giunta oggi a possedere un arsenale missilistico variegato, ben fornito e tecnologicamente avanzato. Trascurando i razzi anticarro, antiaerei ed antinave, nonché i missili balistici tattici, concentriamoci subito sull'arsenale strategico, quello che più c'interessa ai fini del presente articolo. Le fondamenta del progetto missilistico iraniano sono gettate sullo Shahab, variante dello Scud-B (classificazione NATO), alcuni esemplari dei quali furono acquistati da Libia e Siria tra il 1985 ed il 1986 per poter colpire Baghdad. Dopo la guerra, grazie anche all'assistenza della Corea del Nord, Tehran è giunta nei primi anni '90 a completare lo Shahab-1[16], il cui raggio (circa 300 km) è stato più che raddoppiato con lo Shahab-2[17]. Tra il 1998 ed il 2003 (anno in cui è entrato in servizio attivo) gl'Iraniani hanno lavorato sullo Shahab-3[18], versione strategica della famiglia (1300-2100 km il raggio), di cui esistono altre tre varianti. Lo Shahab-3B possiede un sistema di controllo dei razzi propulsori in virtù del quale il missile può modificare la propria traiettoria durante la fase di rientro (cioè quella discendente verso l'obiettivo), rendendo dunque assai più difficile il suo intercettamento. Dello Shahab-3C e di quello 3-D[19] non si sa praticamente nulla, se non che presentano ulteriori migliorie rispetto al 3-B, probabilmente in relazione al sistema di navigazione, alla precisione ed alla portata (2200 km). Inizialmente era in progetto anche uno Shahab-4[20], ma questo è stato rimpiazzato dal programma IRIS[21], che parte invece dallo Ghadr-110[22], altro missile balistico di produzione interamente iraniana (seppur partendo da tecnologia russa e cinese) la cui portata, una volta sviluppato completamente, dovrebbe essere di 2500-3000 km (missile intermedio, mentre gli Shahab sono medi). Tra gli altri missili a raggio medio o intermedio posseduti dall'Iràn, va infine ricordato lo Fajr-3, la cui peculiarità è quella di poter trasportare testate multiple (MIRV). Si vocifera, infine, che siano in cantiere anche uno Shahab-5 ed uno Shahab-6, i quali dovrebbero rappresentare, rispettivamente, un missile subcontinentale ed uno intercontinentale.[23] Tali informazioni, però, si fondano solo su voci non confermate, dunque sono da prendere con la massima cautela.

 

Uno “scudo” contro attacchi iraniani o nordcoreani?

 

Partendo da questi dati, possiamo cominciare a valutare se sia credibile che, come sostengono gli Statunitensi, il loro scudo missilistico sia rivolto esclusivamente contro Iràn e Corea del Nord. Innanzi tutto vi sarebbero due questioni preliminari di per sé già sufficienti quantomeno a far dubitare della veridicità di tale affermazione. La prima riguarda i tempi ed i modi del programma “scudo spaziale”. Washington cominciò a lavorarvi negli anni '50, quando l'Iràn si chiamava ancora Persia ed era alleata degli USA, mentre la Corea del Nord era appena nata (ufficialmente nel 1948, mentre la guerra civile coreana – che vide l'intervento anche degli Stati Uniti, terminò soltanto nel 1953). Il primo grande ciclo d'investimenti massicci nel programma fu fatto durante la presidenza Reagan (1981-1989), quando la Repubblica Islamica lottava per la propria sopravvivenza contro l'Iràq ba'athista, mentre l'economia pianificata della Corea del Nord – che fino agli anni '70 aveva fatto registrare migliori risultati di quella liberista del Meridione – si preparava alla crisi sopraggiunta negli anni '90. Pare dunque strano che i primi progetti ed i primi investimenti miliardari siano precedenti al momento in cui Iràn e Corea del Nord cominciano ad essere percepiti quali minacce  dalla potenza nordamericana. Gli Statunitensi potrebbero rispondere, però, che il loro programma, inizialmente rivolto contro l'Unione Sovietica, è stato poi riconvertito in corsa in funzione anti-iraniana ed anti-coreana. Ricostruzione accettabile sul piano logico. Vediamo allora il secondo argomento preliminare che mette in dubbio le affermazioni statunitensi. Gli USA stanno costruendo uno scudo missilistico multi-miliardario rivolto contro un paese che s'è appena dotato della bomba atomica e contro un altro che addirittura tale bomba non ce l'ha. Apriamo una parentesi: gli Stati Uniti d'America, che sono il paese inventore della bomba atomica nonché primi ed unici ad utilizzarla (e per ben due volte, entrambe su obiettivi civili), possiedono oggi 9960 testate nucleari, di cui 5735 armate (cioè pronte all'uso); i loro ICBM possono portarle fino a 13000 km di distanza dal punto di lancio che, varrà bene ricordarlo, non è solo il territorio statunitense (numerose testate atomiche si trovano anche in Italia). La Corea del Nord può possedere tutt'al più una manciata di testate nucleari (considerando che il primo - ed ufficialmente unico - esperimento atomico, tra l'altro non del tutto riuscito, è dell'ottobre 2006), con missili che non sono neppure in grado di portarle a 3000 km di distanza; l'Iràn non ha alcuna testata nucleare (né una deliberata volontà di dotarsene), ed il raggio massimo d'azione dei suoi missili è di 2200 km. Chiunque può farsi un'idea dell'assoluta disparità di forze in campo. Posto pure che gli USA, a partire da oggi, proseguano sulla strada d'una graduale smobilitazione delle armi nucleari e rinuncino a migliorare i propri ICBM, Corea del Nord e Iràn impiegherebbero innumerevoli decenni, forse addirittura qualche secolo, per portare i propri arsenali strategici al livello di quello statunitense. E ciò a patto che le loro economie continuino a sostenere lo sforzo di modernizzazione bellica. Se poi consideriamo che gli USA non rimarranno affatto fermi (anzi!), dobbiamo considerare quali cifre possano mettere in campo i tre paesi per finanziare le rispettive corse agli armamenti: nel 2006 il PIL degli USA è stato di 13.246,6 miliardi di dollari[24], quello dell'Iràn di 599,2 miliardi[25], quello della Corea del Nord di 40 miliardi[26] (i tassi di crescita: USA 3,2%; Iràn 4,3%; RPDC 1,8%). Le spese militari dei tre paesi in percentuale sul PIL: USA 4,06%[27]; Iràn 2,5%[28]; Corea del Nord ignoto. Ma a questo punto poco importa quale percentuale del PIL Pyongyang abbia destinato alle spese militari: infatti, il 4,06% del PIL statunitense significa, in valore assoluto, una spesa bellica pari a circa 538 miliardi, cioè tredici volte e mezzo l'intero PIL nordcoreano! Posto che il gap nucleare e missilistico appare incolmabile (se non in futuro assai remoto), se Tehran o Pyongyang facessero uso della bomba atomica sarebbero immediatamente annichiliti (nel vero senso della parola: distruzione totale della propria capacità militare, quasi completo annientamento della nazione stessa) dalla rappresaglia nemica: sembra piuttosto ovvio come sia la Corea del Nord sia (ammessa la veridicità delle accuse israelo-nordamericane) l'Iràn intendano il proprio arsenale atomico in funzione esclusivamente difensiva (la famosa “deterrenza nucleare”). Seppure, ragionando per assurdo, i due paesi riuscissero miracolosamente a colmare quel gap in termini sufficientemente rapidi da giustificare l'enfasi che gli USA pongono sul proprio “scudo”, raggiungendo la parità nucleare con Washington, la situazione non muterebbe di molto: in questo caso, si tornerebbe al “equilibrio del terrore” già citato nel caso USA-URSS (ed oggi USA-Russia), fondato sulla sicura “mutua distruzione” in caso di conflitto atomico.

Tuttavia, esistono due argomenti con cui i difensori della tesi statunitense potrebbero controbattere a questo ragionamento: uno ideologico ed inattendibile, l'altro poco lusinghiero per gli USA stessi ma degno di fede. Il primo argomento è la sincera ed atavica convinzione nutrita dagli Statunitensi (quanto meno, dalla classe dirigente e dalla cultura ufficiale) di rappresentare un popolo “eletto da Dio” destinato a «liberare il mondo dal Diavolo», secondo le parole pronunciate – non nel '600, ma appena sei anni fa- dal presidente George W. Bush[29]. In un siffatto schema ideologico-mentale, il nemico si trasforma in “Male assoluto”: infatti, Iràn e Corea del Nord sarebbero, secondo le autorità statunitensi, parte d'un “Axis of Evil” (“Asse del Male”), nonché “rogue-states” (“Stati canaglia”), antropologicamente diversi dal resto del mondo. Il timore di chi condivide questa visione paranoica del mondo è che i governanti di Tehran e Pyongyang, mal ispirati da “Satana”, potrebbero decidere di sacrificare se stessi ed i propri popoli per il solo gusto di fare del male agli USA: dunque, potrebbero anche lanciare un attacco militare kamikaze, pur sapendo che la rappresaglia sarebbe per loro letale. Dacché, lo scudo missilistico potrebbe essere la risposta statunitense ad una propria paura irrazionale o, semmai avessero ragione, alla diabolicità altrui... Più convincente è il secondo argomento.

Come scritto poco sopra, a rigor di logica il costituendo arsenale strategico nordcoreano ed il supposto futuro arsenale strategico iraniano avranno finalità puramente difensiva: costituiranno la deterrenza nucleare ad un attacco straniero, plausibilmente dell'unico Stato che sarebbe interessato ed in grado di farlo, cioè gli Stati Uniti d'America. L'enorme preponderanza nucleare degli USA rende remotissima l'eventualità che subiscano un attacco iraniano o nordcoreano, almeno che non si voglia ragionare secondo gli schemi manichei poco sopra descritti. Ma se fossero gli Statunitensi ad invadere l'Iràn o la Corea del Nord? Allora entrerebbe in gioco il problema della “deterrenza”. In quel caso, se ne avessero i mezzi tecnologici, Tehran o Pyongyang potrebbero decidere di difendersi reagendo con un attacco nucleare (potrebbero, perché di fronte ad un'aggressione effettuata con mezzi convenzionali è molto più probabile che reagiscano con misure proporzionali). In questo caso, davvero Washington potrebbe desiderare di dotarsi d'uno scudo missilistico contro Iràn o Corea del Nord: perché ha deciso d'attaccarli essa stessa, evidentemente per motivi che esulano dai rispettivi programmi missilistici e nucleari. Di tutti gli argomenti a sostegno della tesi statunitense, che abbiamo finora esposti, è certo il meno lusinghiero per gli USA ma l'unico seriamente credibile. Ma, per ora, siamo rimasti nel campo delle “intenzioni”: è venuto il momento di vedere non più perché, ma se tecnicamente è possibile, che lo scudo missilistico sia rivolto contro Iràn e Corea del Nord.

 

Lo “scudo” e la Russia

 

Come noto, lo scudo antimissilistico statunitense dovrebbe essere dislocato in Cèchia ed in Polonia. La posizione geografica è importante per determinarne la reale destinazione. Il pugile, per parare un pugno, pone la propria “guardia” sulla traiettoria del colpo dell'avversario; un generale che voglia impedire al nemico d'avanzare, para le proprie forze sul probabile tragitto che verrà seguito dall'attaccante; analogamente, un sistema ABM sarà con tutta probabilità posizionato tra l'obiettivo che deve difendere e quello di cui deve parare i colpi.

I territori nazionali di Polonia e Repubblica Ceca sono compresi tra il 55o ed il 49o parallelo nord; gli USA stanno, grosso modo, tra il 49o ed il 25o; i paesi NATO dell'Europa Occidentale tra il 59o ed il 36o; l'Iràn tra il 40o ed il 25o; la piccola Corea del Nord intorno al 40o; il confine occidentale della Federazione Russa (escludendo le due appendici della Carelia e del Caucaso) tra il 60o ed il 45o. La prima conclusione possibile, che si ricava tanto da questi dati quanto dalla semplice osservazione d'un planisfero, è che il posizionamento in Cèchia e Polonia appare del tutto inadatta a difendere gli USA e l'Europa Occidentale dai missili iraniani, mentre è perfettamente in linea rispetto alla Russia. Per quanto riguarda un ipotetico attacco nordcoreano, non ci si dovrebbe dimenticare che il mondo non è piatto, bensì tondo.  Il 40o  parallelo lungo cui è abbarbicata la Repubblica Popolare Democratica taglia quasi perfettamente a metà il territorio metropolitano statunitense: vale a dire che i due paesi sono in linea e, dato che i missili ABM hanno una certa gittata, quelli sparati dalle batterie in Polonia potrebbero benissimo intercettare un ICBM nordcoreano rivolto contro l'Europa Occidentale o gli USA. Tuttavia, non si capisce perché mai Pyongyang potrebbe desiderare di colpire Parigi o Berlino; dunque l'unico obiettivo possibile restano gli USA. Ma un missile che, sparato dalla Corea del Nord, viaggiasse verso ovest attraversando tutto il continente eurasiatico più l'Oceano Atlantico, si troverebbe a dover percorrere qualcosa come 16-17000 km prima di raggiungere gli Stati Uniti! Ricordiamo che il miglior missile nordcoreano, oggi, non raggiunge i 3000 km di gittata, e pure quelli allo studio restano al di sotto dei 5000 km. Ciò significa che, anche solo per raggiungere l'Europa Occidentale (che si trova a 10000 km circa da Pyongyang), i Nordcoreani potrebbero aver bisogno di numerosi decenni di sviluppo tecnologico. La logica vuole che, semmai i Coreani dovessero decidere d'attaccare gli USA, certo non farebbero attraversare tutto il globo ai loro ICBM, bensì li lancerebbero in direzione est ove, trasvolando il Pacifico, sono meno di 9000 i km che li separano dalla costa nordamericana (non poco, ma quasi la metà del tragitto occidentale, e 1000 km in meno rispetto alla distanza di Berlino). Credo che tutte queste considerazioni, unite a quelle effettuate nei paragrafi precedenti, siano più che sufficienti per scartare l'idea che lo “scudo” possa essere rivolto contro la Corea del Nord.

Rimangono in gioco solo l'Iràn e la Federazione Russa. Per quanto riguarda la Repubblica Islamica, varrà la pena ricordare che ancora non possiede testate atomiche e che il suo miglior missile balistico ha un raggio di 2200 km. Tra Tehran e Berlino, in linea d'aria, ci sono 3500 km; Roma è più vicina solo d'un centinaio di chilometri ma, in quest'ultimo caso, la stessa posizione del paventato scudo missilistico fa fortemente dubitare che sarebbe efficace in caso d'attacco iraniano al nostro paese. In occasione del recente convegno del G-8, tenutosi ad Heiligendamm tra il 6 e l'8 giugno u.s., il presidente russo Vladimir Putin, preoccupato che uno scudo missilistico statunitense in Polonia e Cèchia possa essere utilizzato a detrimento del suo paese, ha offerto al suo omologo statunitense George W. Bush di realizzarlo in Azerbaigian, per la precisione riadattando allo scopo la base di Gabala.[30] La base in questione è un nodo autonomo di rilevamento radar, divenuto operativo nel 1985 dopo nove anni di lavori: da qui è possibile rintracciare e seguire i missili, così come gli oggetti orbitanti, entro un raggio di 6000 km (che dunque copre ampiamente l'Iràn, arrivando a sud fino al Corno d'Africa). Dopo la dissoluzione dell'Unione Sovietica, la base rimase in mano ai Russi pur in assenza d'un accordo formale, ch'è giunto soltanto il 25 gennaio 2002: Mosca ne ha riconosciuto la proprietà a Bakù, ottenendola però in affitto fino al 2012 in cambio di 7 milioni di dollari all'anno (più 31 milioni d'arretrati per il periodo 1997-2001). Nella base sono impiegati 900 soldati e 200 specialisti civili russi. Benché l'offerta di collaborazione di Putin sia giunta inaspettata tanto a Bush quanto ai media occidentali, già in maggio l'Ambasciatore russo in Azerbaigian aveva ventilato una simile possibilità. Per capire come e perché sia maturata questa proposta, facciamo un passo indietro ed andiamo a vedere come Mosca prese ed interpretò la decisione statunitense di costruirsi uno scudo missilistico in Polonia e Cèchia.

Il 10 febbraio scorso il presidente Vladimir Putin tenne, in occasione della XLIII Conferenza di Monaco, un discorso franco e strategicamente rilevante come al giorno d'oggi accade di rado, almeno nei consessi nella diplomazia mondiale.[31] In esso, il presidente della Federazione Russa criticò apertamente le velleità di dominio universale coltivate da Washington e la continua violazione del diritto internazionale da parte degli USA. Bastino questi brevi passaggi che estrapoliamo:

 

«(...) Tuttavia, cos'è un mondo unipolare? Comunque s'imbelletti questo termine (...) è un mondo con un solo padrone, con un solo sovrano.

«Azioni unilaterali e spesso illegittime non hanno risolto alcun problema. (...) Ed in questi conflitti non sono morte certo meno persone, anzi ne stanno morendo di più: decisamente di più, decisamente di più! [“snačitel'no bol'še, snačitel'no bol'še!”]

«Stiamo vedendo una sempre più grande noncuranza nei riguardi dei princìpi basilari del diritto internazionale. Quel ch'è peggio, una serie di norme indipendenti stanno, in sostanza, avvicinandosi al sistema giuridico d'un singolo Stato; in primis senza dubbio gli Stati Uniti, che hanno oltrepassato i propri confini in ogni ambito: nell'economia, nella politica, in campo umanitario – ovunque stanno imponendo la propria volontà agli altri. Ebbene: a chi piace questa situazione? Chi ne è contento?»

 

Nel suo discorso, Putin non ha ignorato la questione dello “scudo spaziale”, descrivendolo come  un'arma «nuova e destabilizzante». Secondo il Presidente russo, lo scudo nordamericano non può trovar la propria ragion d'essere nell'opposizione ai «cosiddetti “paesi problematici”», in quanto quest'ultimi non possiedono ora (né le possiederanno nel futuro prossimo) le relative armi offensive contro cui un simile sistema difensivo sarebbe rivolto. Come già da noi sottolineato in quest'articolo, anche Putin ha scartato l'idea che la Corea del Nord possa attaccare gli USA facendo sorvolare ai propri missili l'Europa Occidentale, in quanto ciò «ovviamente contravverrebbe ai princìpi della balistica». Al termine del discorso, rispondendo alle domande del pubblico, ha chiarito in qual modo lo scudo statunitense minaccia la Federazione Russa:

 

«A cosa dobbiamo il fatto che, nei decenni scorsi, benché fosse in corso una sfida tra due superpotenze e due sistemi, non si giunse mai ad una grande guerra? Lo dobbiamo al controbilanciarsi delle forze di queste due superpotenze. V'era un equilibrio e la paura di mutua distruzione. Ed in quei giorni ciascuna delle due parti si guardava bene dal compiere un passo avanti senza consultarsi con l'altra. Certo: si trattava d'una pace fragile e spaventosa; ma – oggi lo possiamo dire – abbastanza affidabile. Adesso sembra che la pace non sia più così sicura.

«È vero: apparentemente, gli Stati Uniti non stanno sviluppando armi offensive. In ogni caso, l'opinione pubblica non ne è a conoscenza. Benché essi stiano certamente sviluppandole. (...) Sappiamo che questo sviluppo sta procedendo. Ma fingiamo di non saperlo, così possiamo dire che non stanno sviluppando nuovo armi. Ma che cosa sappiamo? Che gli Stati Uniti stanno attivamente sviluppando e già rafforzando un sistema di difesa antimissile. Oggi, tale sistema è inefficace; ma non sappiamo esattamente se un giorno lo sarà: in teoria, è stato creato a quello scopo! Così, ipoteticamente, ci rendiamo conto che quando arriverà quel momento, il nostro deterrente nucleare sarà completamente neutralizzato. Cioè l'attuale forza nucleare della Russia. L'equilibrio delle forze sarà assolutamente distrutto ed una delle due parti potrà sentirsi completamente al sicuro. Ciò significa che avrà le mani libere non solo in occasione di conflitti locali, ma anche in quelli globali.»

 

Incredibilmente, tale discorso ha avuto pochissimo eco in Italia: eppure, chiarisce alla perfezione tutte le rimostranze del Cremlino nei confronti dello scudo antimissile di Washington. Molti chiarimenti sui reali intenti della Casa Bianca, invece, li abbiamo ottenuti dall'affaire Azerbaigian.

La base di Gabala, per la sua posizione geografica, appare evidentemente più adatta di Polonia e Cèchia a difendere l'Europa da un ipotetico attacco missilistico iraniano (trovandosi esattamente in traiettoria). I Russi l'hanno offerta per tre motivi:

a) la base, pur appartenendo all'Azerbaigian, è affittata da Mosca; dunque, la Russia avrebbe quanto meno una “quota” nel sistema antimissile europeo. E questa sarebbe senz'altro la miglior garanzia affinché tale sistema non venga utilizzato contro la Federazione Russa;

b) la base di Gabala non si trova posizionata tra la Russia e gli USA, né tra la Russia e l'Europa Occidentale (che, ricordiamo, ospita centinaia di basi militari nordamericane con un quantitativo imprecisato di testate nucleari ivi stipate). Perciò, in alcun caso potrebbe essere sfruttata in funzione antirussa;

c) la natura stessa dell'offerta costringe Washington ad esporsi e rivelare le sue vere intenzioni. Infatti, in caso di rifiuto, Mosca ottiene la prova che il sistema antimissile è realmente rivolto contro di lei.

Ad oggi non è ancora pervenuta una risposta ufficiale a Mosca, anche perché i burocrati statunitensi sono stati colti di sorpresa dalla mossa del Cremlino. Tuttavia, al di là dei “possibilismi” di rito[32], la situazione è già chiarissima. Gli Statunitensi non hanno interrotto il dispiegamento in Polonia e Cèchia. Il tenente generale Henry Obering[33], direttore della già citata Missile Defense Agency, ha dichiarato al giornale giapponese “Yomiuri” che, accettando l'offerta russa, gli USA non si metterebbero al sicuro dalla pretesa minaccia iraniana. Secondo Obering, quella ceco-polacca è la migliore soluzione possibile. I Russi possono dare a Washington le informazioni raccolte a Gabala, ma le batterie di missili debbono rimanere in Polonia, ed il nodo radar centrale in Cèchia.[34] Perché la base di Gabala non vada bene, il ten.gen. Obering non ce lo spiega. Forse che l'Azerbaigian è troppo vicino all'Iràn? Questa è la tesi del segretario generale della NATO, Jaap de Hoop Scheffer.[35] Strano. Strano, perch'è proprio nel sito della Missile Defense Agency, l'agenzia governativa diretta da Obering e responsabile del programma ABM, che si spiega come «intercettare un missile nella fase iniziale del volo è la soluzione ideale».[36] Ed un missile iraniano compie la sua fase di volo iniziale nei pressi dell'Azerbaigian, non certo della Polonia o della Cèchia. Ma ammettiamo pure che Gabala sia davvero troppo vicina all'Iràn. Vladimir Putin ha proposto allora di disporre lo scudo in Iràq o in Turchia, che si trovano sull'ipotetica traiettoria d'attacco dei missili iraniani, non costituiscono una minaccia strategica alla Russia e sono meno vicini all'Iràn di quanto lo sia l'Azerbaigian.[37] Di fronte a quest'ultima proposta russa, avendo forse esaurito i pretesti, gli USA si sono limitati semplicemente a fare orecchie da mercante.

Quanto fin qui scritto, dovrebbe avere ormai convinto di come gli argomenti statunitensi, che vorrebbero spacciare lo scudo antimissile come strumento anti-nordcoreano o anti-iraniano, siano assolutamente inconsistenti. Pare oramai evidente come l'unico obiettivo possibile e credibile sia proprio la Federazione Russa. Esiste però un ultimo argomento che i sostenitori della posizione statunitense potrebbero utilizzare per negare la funzione anti-russa dello scudo. Sia le autorità russe, sia quelle statunitensi, sia la grande maggioranza degli esperti, concordano sul fatto che lo scudo degli USA non sarebbe tecnicamente in grado d'intercettare tutti gl'ICBM russi. Oltre ai missili a testata multipla (MIRV), che rendono assai problematico intercettarli quando sono in fase di volo già avanzata (e cioè quando rilasciano le diverse testate ognuna sul proprio obiettivo), si può ricordare il nuovo gioiello dell'industria bellica russa, l'RT-2UTTH Topol'-M (classificazione NATO: SS-27; nome per esteso: “Raketa Tverdotoplinvnaja - 2 Ulučšennye Taktiko-Techničeskie Charakteristiki Topol'-M” che, tradotto in italiano, suona come “missile a propellente solido – 2 caratteristiche tecnico-tattiche migliorate Pioppo-M”), il cui pregio principale è la possibilità di modificare la propria rotta in qualsiasi momento del volo.[38] Dunque, la domanda è questa: che senso avrebbe costruire uno scudo antimissile che si sa benissimo essere inefficace contro i razzi di nuova generazione?

La risposta ci giunge da un articolo[39] di Kier Lieber e Daryl Press, pubblicato nel numero di marzo/aprile 2006 di “Foreign Affairs”, intitolato “The rise of US nuclear primacy”.[40] Apriamo una parentesi che aiuterà il lettore meno esperto a capire la rilevanza del saggio che stiamo segnalando. “Foreign Affairs[41] non è una qualsiasi rivista di geopolitica. Dal 1922 viene pubblicata da un'organizzazione che si chiama Council on Foreign Relations[42], che annovera tra i suoi membri passati e presenti presidenti degli USA, segretari di Stato, alla Difesa o al Tesoro, burocrati minori, grandi uomini d'affari, rinomati giornalisti. Oggi a presiederlo c'è Richard N. Haas, già consigliere di George H. W. Bush ed ex direttore della sezione “Pianificazione politica” presso il Dipartimento di Stato[43]. Nel Consiglio Direttivo siedono, tra gli altri, Madeleine Albright, Richard Holbrooke, Colin Powell, David Rubenstein (fondatore del Carlyle Group) e Fareed Zakaria (direttore di “Newsweek International”). Tra i consiglieri stranieri troviamo anche Franco Bernabè, Jacob Frenkel (ex governatore della banca centrale israeliana), Michail Fridman (oligarca russo), Ana Palacio (Banca Mondiale), ed alcuni ex diplomatici o ministri nei rispettivi paesi. Stiamo, insomma, parlando d'una delle organizzazioni più influenti di tutti gli Stati Uniti, e la sua creatura, “Foreign Affairs”, è spesso ispiratrice della politica estera ufficiale. Precisato ciò, possiamo vedere cosa scrivono nel loro articolo Kier Liber (professore di scienze politiche alla Università di Notre Dame) e Daryl Press (docente di scienze politiche all'Università della Pennsylvania).

 

«Per quasi mezzo secolo, i più potenti Stati nucleari del mondo si sono ritrovati in una situazione di stallo nucleare nota come “mutua distruzione assicurata” (MDA). Dall'inizio degli anni '60, gli arsenali atomici degli Stati Uniti e dell'Unione Sovietica crebbero a tal punto in quantità e sofisticatezza che nessuno dei due paesi, anche attaccando per primo, poteva distruggere interame