Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Euroschiavi: il debito pubblico e i segreti del signoraggio (intervista a Marco Della Luna)

Euroschiavi: il debito pubblico e i segreti del signoraggio (intervista a Marco Della Luna)

di Marco Della Luna/Luigi Tedesci - 23/11/2007

1)      Il signoraggio ha la sua origine nella perdita della sovranità economico – monetaria degli stati.

R. : No, il signoraggio esisteva anche prima, solo che lo realizzava lo stato o il suo sovrano. Ossia il medesimo soggetto che si indebitava attraverso la spesa pubblica.

 

2)      Grazie della precisazione. Quindi ora gli stati sono soggetti alle banche centrali (prima Bankitalia, poi la BCE, altrove la Fed, la Bank of England, la Bank of Japan, etc.), quali enti finanziari di emissione controllati da privati. Lo stato e la collettività sono dunque succubi delle loro politiche monetarie che fatalmente, anzi programmaticamente, conducono ad un debito pubblico inestinguibile, alla accentuazione progressiva della pressione fiscale, ai rialzi dei tassi di interesse con relativa rarefazione monetaria e perdita del potere d’acquisto dei salari. L’alternativa proposta in “Euroschiavi”, consiste nel ripristino della sovranità monetaria degli stati, che dovrebbero essere unici detentori diretti del potere di emissione monetaria. Di una moneta cioè, “senza debito e senza riserva”.

R. Sì, in effetti quella che Lei ha menzionato è una parte importante della riforma, dettata da ragione, trasparenza e sostenibilità, che raccomando. Ma, se prende Euroschiavi e legge anche i capitoli Il Denaro come Motivatore Universale e La Liberazione, noterà che io reputo persino questa riforma inefficace, perché non va all’origine del problema, il quale è l’identificazione della realtà, del valore, del potere, con entità quantificabili e limitate; tale identificazione ex se motiva automaticamente e inevitabilmente l’uomo, e soprattutto le organizzazioni stabili, alla ricerca del profitto e della conquista, quindi alla lotta per la conquista della ricchezza limitata; il denaro, come simbolo puro della quantità, è l’espressione, l’essenza, la misura della riuscita di questa conquista, del successo.

3)      Codesti concetti meta-economici meritano sicuramente un approfondimento, ma vorrei riservarli per un’altra occasione. Limitandoci per ora al tema della auspicata riforma monetaria, noi concordiamo con Lei sulla necessità di restituire allo stato la sovranità economico – monetaria, mentre ci lascia perplessi la creazione di una moneta senza riserva (come del resto avviene oggi dopo la fine della convertibilità del dollaro in oro). Infatti, che il valore del denaro e la regolamentazione della sua circolazione possa essere garantita da riserve auree ci sembra essenziale. Se ormai il parametro aureo sembra superato, quale altra convenzione può rappresentare validamente una garanzia del valore del denaro? Altrimenti, anche in seno ad uno stato indipendente e sovrano si formerebbero poteri oligarchici i quali, esercitando il potere si emissione in nome e per conto dello stato ma perseguendo finalità lobbistiche, finirebbero per avere un ruolo egemone al pari della odierne banche centrali, a discapito della collettività che ne rimarrebbe succube.

R. Restituire allo stato la sovranità economico-monetaria non serve a nulla se lo stato rimane, esso stesso, gestione privata di una casta, di un’oligarchia. E gli stati sempre sono stati gestiti da oligarchie, e sempre lo saranno. Non è mai esistita una democrazia. Anche la democrazia ateniese era innanzitutto un sistema in cui solo una minoranza abbiente della popolazione aveva i diritti politici, inoltre solo una piccola minoranza di questa minoranza aveva conoscenze del mondo, della realtà geografica, economica, tecnologica sufficiente a permettere di comprendere ciò su cui doveva votare nell’Ecclesìa, ossia nell’Assemblea (era una democrazia prevalentemente diretta). Oggi che il mondo è enormemente più complicato di allora, solo una persona su migliaia, attraverso un continuo studio, raggiunge una certa comprensione delle cose su cui dovrebbe decidere - gli altri sono come ciechi che vivono e votano in una realtà di spiegazioni fasulle. Inoltre, le informazioni più importanti, come quelle sulla struttura del potere monetario globale o sui mezzi di manipolazione neuropsichici, è tenuta perlopiù segreta. La democrazia è la tecnica di portare le masse ad accettare o, meglio, a sentir proprie le decisioni del vertice. Tra gli studiosi di psicologia politica e sociale, o di geopolitica, o di economia,  nessuno, ribadisco nessuno, crede nella possibilità della democrazia – esattamente come tra i ginecologi nessuno crede alla cicogna. Il vero potere nel mondo è detenuto da poche centinaia di persone. Quindi l’oro come riserva monetaria non sarebbe alcuna reale garanzia di democrazia.

Ma non sarebbe nemmeno una garanzia economica – solo pochissimi economisti sono rimasti a credere in una sua funzione in tal senso.

Innanzitutto, il 92% circa del volume delle transazioni non avviene in moneta contante (quella cioè che sarebbe convertibile in oro) ma in moneta elettronica, ossia contabile, che costituisce il 90% circa del totale della liquidità, e la cui creazione sarebbe svincolata dalla copertura aurea, quindi scoperta – pertanto, la copertura aurea garantirebbe solo una piccola frazione della liquidità. Se voi allora proibiste la creazione e l’uso della moneta elettronica o contabile, dovreste sostituirla con denaro contante, banconote, coperto da oro; ma non c’è abbastanza oro al mondo per coprire tutta la moneta che serve!

Inoltre, un vincolo tra la quantità di denaro contante e l’oro avrebbe numerosi inconvenienti, storicamente verificati:

- limitando sia l’espansione che la riduzione della moneta, renderebbe rigido e poco adattabile ai mutevoli bisogni il money supply, con negative conseguenze macroeconomiche – anche disastrosamente recessive;

- renderebbe l’economia più dipendente dal credito, per il suo fabbisogno di liquidità, quindi creerebbe più debito;

- vi sarebbe, nonostante la riserva, una creazione di liquidità finanziaria;

- sottrarrebbe grandi quantità di oro dall’uso industriale, soprattutto in campo biomedico ed elettronico.

Ancora, faccio presente che lo stesso valore dell’oro dipende dal rapporto tra due fattori: la sua domanda, e la sua offerta. Ossia l’oro vale in quanto è richiesto e in quanto è scarso. Come tutti i beni e i servizi. Il valere di una cosa x è, all’atto pratico, quanto di quella cosa x devo dare per ottenere una data quantità di un’altra cosa y. Se, a parità di condizioni, raddoppia la disponibilità sul mercato di x, allora in linea di massima ci vorrà il doppio di x per avere altrettanto di y. Viceversa se si dimezza. Da ciò si dovrebbe capire che nessun bene di scambio ha un valore intrinseco, in sé – ma solo nel rapporto di scambio, che è mutevole. Ogni valore è determinato dal mercato, dalla legge della domanda e dell’offerta. Ciò vale per il denaro esattamente come per l’oro. Non vi è differenza. Il valore del denaro è dato dal fatto che è richiesto e accettato, da una parte; e che la sua disponibilità è limitata, dall’altra. Quindi non ha alcun bisogno di copertura per avere o conservare valore.

 

4)      Secondo la tesi del Prof. Giacinto Auriti, le Banche Centrali emettono moneta prestandola, quali proprietari originari della moneta stessa, addebitandola alla collettività. Egli poi afferma: “La moneta deve essere di proprietà del popolo non della banca, oggi la banca emette la moneta prestandola ai cittadini; siccome prestare è una prerogativa del proprietario, si appropria il valore monetario creato dai cittadini, quindi deve accreditare; e allora questo principio è talmente forte è talmente valido che nessuno lo può contestare. Sembra utopia ma non è utopia. Sul piano scientifico l'utopia non esiste. Se ti avessero detto un secolo fa che si andava sulla luna l'avresti preso per matto. La stessa cosa il principio della proprietà popolare della moneta”. Invece, secondo le teorie da Lei enunciate in “Euroschiavi”, il denaro non viene prestato dalle Banche Centrali, in quanto viene ceduto agli stati mediante operazioni di sconto, quale anticipazione di denaro a fronte di titoli di debito pubblico emessi dagli stati. Non avrebbe senso parlare di moneta – debito perché il debito viene ceduto allo stato che ne diviene proprietario in cambio di titoli di debito pubblico. Il fatto di “sostituire il denaro addebitato allo Stato, alla nazione, col denaro accreditato ad esso” è quindi una teoria che, secondo Lei, deriva da una erronea impostazione del problema. Ci troviamo dinanzi a teorie che, pur avendo in comune la loro origine, quella della critica del signoraggio bancario, si rivelano poi configgenti nelle soluzioni. Quali sono le conseguenze derivanti da questa diverse impostazioni, che conducono poi ad elaborare soluzioni diversificate, se non addirittura inconciliabili fra loro?

R La differenza è nei termini e nelle spiegazioni tecniche, non nella sostanza economica. Ma in diritto, nella formulazione delle leggi, la forma è sostanza, perciò quando ci si mette a progettare riforme o si è concettualmente esatti, o si sballa. Quella che Lei cita è una formulazione che il prof. Auriti aveva preso, come altre, da pensatori canadesi, dalla scuola del crédit social (molte delle cose che diceva Auriti venivano da altri studiosi; egli ha il grande merito di avere importato molte idee, molta conoscenza). La mia correzione di quella formulazione si basa su un dato tecnico elementare: la stessa legge configura lo scambio di titoli di stato contro moneta come uno sconto. Che la moneta diventi, attraverso questo sconto, tecnicamente, giuridicamente, proprietà dello stato, è ovvio, perché altrimenti lo stato non potrebbe cedere la moneta, supponiamo, quando paga lo stipendio a un suo dipendente; e il dipendente non potrebbe cederla, a sua volta, quando paga il pane. Egualmente, se la banca centrale di emissione non divenisse proprietaria del titolo di stato, non potrebbe a sua volta cederlo o riscattarlo, ossia  riscuoterlo, alla scadenza. È verissimo, peraltro, che, all’atto pratico, lo stato, con questo meccanismo, si ritrova debitore di denaro verso i portatori dei titoli di stato, per capitale e interesse.

Fin qua, quindi, le conseguenze sono modeste. Ma diventano serie quando si passa a formulare proposte. Lo stesso Auriti, giustamente, diceva che la moneta deve nascere di proprietà del popolo. Ma “proprietà” esclude “accredito.” Quindi la moneta non può essere “accreditata” al popolo – deve essere “intestata” al popolo. Le proprietà si intestano, non si accreditano. Mi spiego: In Euroschiavi indico l’origine di quella erronea tesi nella terminologia contabile della partita doppia, che ha solo le due categorie di “addebiti” e di “accrediti”, e non di “acquisti di proprietà a titolo originario” – come è il caso di chi crea moneta. Questa mancanza terminologica induce la gente a pensare che la moneta nasca come accredito, e poi venga prestata mediante un addebito. Dimentica che esistono attivi patrimoniali diversi dai crediti, ossia le proprietà, che non sono crediti. E dimentica che le proprietà possono essere acquisite gratis, a titolo originario, come la moneta. Infatti questi acquisti non vengono segnati in contabilità. Queste dimenticanze portano a conseguenze insostenibili chiunque sostenga che si tratti di passare dalla “moneta-debito” alla “moneta credito”, accreditando la moneta al popolo, anziché addebitandogliela: infatti, se io accredito la moneta al popolo, a chi la addebito? Perché non può esistere un accredito senza un addebito, né un credito senza un debito. In realtà, nella riforma che sia io che gli auritiani abbiamo in mente, sostanzialmente, si ha che lo stato crea la sua moneta e, al momento della sua creazione, ne è proprietario, non… creditore. Creditore verso chi, del resto? Essendone proprietario, poi, può prestarla, usarla per pagare i suoi debiti, le sue spese, etc. - senza bisogno di tassare la popolazione.

La banca che ora emette moneta (contante o contabile) non se la accredita, ossia non diventa creditore del suo valore, bensì proprietaria, perché la crea dal nulla a costo zero per sé, sottraendo, quando la mette in circolazione, potere d’acquisto dalla società, con un’operazione che, macroeconomicamente, è una sorta di importa indiretta, e che, giuridicamente, può configurarsi a volte come prestito, a volte come sconto o compravendita. E, in base alle regole contabili vigenti, non segna questo incremento patrimoniale nella contabilità né paga su esso le tasse.

In effetti il discorso dovrebbe essere completato da alcune precisazioni contabili, ma non è questa la sede opportuna.

 

5)      La fine del signoraggio bancario non implica il perpetuarsi dell’accumulazione dei capitali da parte di oligarchie finanziarie che, in virtù della loro preponderanza sui mercati, generano inevitabilmente situazioni di oligopolio destinate a condizionare il mercato a discapito della democrazia economica, di una crescita diffusa della ricchezza. Le tesi del Prof. De Simone, ne “L’altra moneta”, riguardanti la moneta a tasso di interesse negativo ed il reddito di cittadinanza, da Lei criticate in quanto utopistiche, meriterebbero, a nostro avviso, di essere riconsiderate in questa prospettiva. L’accumulazione di capitali nelle mani degli oligopoli finanziari producono l’indebitamento della collettività, il decremento della produzione, la perdita del potere d’acquisto generalizzata dei redditi. La moneta a tasso di interesse negativo eliminerebbe invece alla radice l’accumulazione finanziaria e favorirebbe la crescita produttiva. E’ vero che il reddito di cittadinanza potrebbe favorire il disincentivo al lavoro e processi inflazionistici, ma potrebbe altresì dimostrarsi un valido ammortizzatore sociale nelle fasi di crisi occupazionale e potrebbe sostituirsi alle strutture previdenziali e assistenziali sia pubbliche che private, che costituiscono un onere assai gravoso per lo stato. Tra l’altro, le prestazioni di tali enti si rivelano spesso assai deludenti riguardo alle aspettative della comunità.

R Guardate che quei capitali delle oligarchie finanziarie, che sempre si accumulano, non sono in banconote, in denari contanti, quindi non sono raggiungibili con la moneta a tasso negativo, che è in effetti una moneta gravata da un’imposta annua – il bollino facilmente falsificabile da applicare ogni 12 mesi -  ossia dal signoraggio – di nuovo. Quei capitali e la loro capacità di crescita consistono in posizioni di oligopolio scientifico, tecnologico, di materie prime, di servizi, di informazioni. Mai sentito parlare di cose come Echelon? Consistono di potere. Ammesso che lascino passare una riforma monetaria, essi resteranno al di sopra di essa. Peraltro, la moneta è già a tasso negativo – il tasso negativo è la sua svalutazione.

 

6)      La voragine incolmabile del debito pubblico italiano ha origine nelle politiche economiche degli anni ‘80/’90, che sembrano prescindere sia dal signoraggio che dalle teorie liberiste dominanti, secondo cui il debito pubblico sarebbe sorto dal tenore di vita italiano, troppo elevato rispetto alle risorse. Secondo le tesi di Giorgio Vitangeli, esposte nel libro – intervista “Dove va la finanza?”, il debito pubblico italiano sino al 1973 (anno della prima crisi petrolifera), ammontava al 55% del Pil, per salire al 62% del ’78 e al 58,9% dell’ ’80. Solo nel 1990 supera il 100% del Pil. Dal 1980 al 1992 il suo ammontare si è moltiplicato per sei volte. Dal 1980 al 1992 l’Italia è stata costretta ad impiegare quote sempre crescenti del Pil per il pagamento di interessi sul debito. In realtà, il debito pubblico italiano era collocato in massima parte nel mercato interno ed i tassi erano controllati dal Tesoro d’intesa con la Banca d’Italia, non essendoci ancora la libera circolazione dei capitali. All’inizio degli anni ’80, Bankitalia si rifiutò di finanziare il Tesoro. L’entrata nello SME costituì un ulteriore fattore di aggravamento del debito: fu possibile sostenere questo artificioso sistema di cambio mediante alti tassi di interesse e l’impiego di risorse finanziarie per 40.000 miliardi di lire. La liberalizzazione dei mercati finanziari comportò il collocamento del debito pubblico italiano nei marcati internazionali, rendendolo esposto alle loro continue tempeste finanziarie e privando di fatto l’Italia della sua indipendenza e sovranità economica ancor prima dell’euro. Ci sorge allora il dubbio se la voragine del debito pubblico abbia veramente origine nel signoraggio, oppure, molto più semplicemente, nelle scelte di una classe politica incompetente e servile nei confronti del potere della finanza dell’occidente capitalista.

R. Le due ipotesi non sono tra loro in conflitto, ma in sintonia. E sono entrambe esatte. Il signoraggio è uno degli strumenti di dominazione delle genti, sinora il più potente. Esso ha contribuito a indebitare lo stato e il popolo verso il sistema bancario, senza che questo desse in cambio alcun bene o ricchezza reale. Ora i cittadini lavorano perlopiù per pagare, con le tasse, interessi su questo debito pubblico, per pagare i prestiti delle banche che in realtà non hanno prestato nulla (non hanno nemmeno i soldi che figurano prestare), per pagare tariffe altissime in cambio di servizi scadenti erogati da aziende monopolistiche private cui lo stato ha regalato le loro posizioni di monopolio, o le ha svendute col pretesto di realizzare introiti con cui pagare il debito pubblico contratto in cambio di niente. Questo è il sistema globale: una rete di soggetti finanziari privati che sono divenuti, senza nulla dare in termini di ricchezza reale, ma giocando solo sulle apparenze e l’ignoranza e la corruzione, proprietari di mezzo mondo da una parte, e creditori di un credito inestinguibile dall’altro; e la popolazione sempre più deve lavorare non per acquisire beni e servizi reali, ma per pagar loro gli interessi. Una schiavitù senza prospettiva di uscita. Come vi dicevo, le radici del problema sono altrove. Molto più profonde. Metaeconomiche. Buonanotte.