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Cerca la verità, dovunque essa ti conduca

di Simeon Alev - 28/11/2007

 


La vita di molti scienziati fu influenzata dal grande insegnante spirituale J. Krishnamurti, ma nessuno di loro ebbe un rapporto intimo e duraturo con lui come lo ebbe David Bohm. In questa intervista, David Peat ci parla di Bohm, Krishnamurti e se stesso.

 

La vita di molti scienziati fu influenzata dal grande insegnante spirituale J. Krishnamurti, ma nessuno di loro ebbe un rapporto intimo e duraturo con lui come lo ebbe David Bohm.

Bohm e Krishnamurti si incontrarono la prima volta nel 1961 e la loro amicizia si protrasse fino alla morte di Krishnamurti, nel 1986 (anche se nel 1984 entrò in crisi).

Bohm iniziò la carriera come pupillo di J. Robert Oppenheimer, il direttore del Manhattan Project, il progetto finalizzato alla realizzazione della bomba atomica, durante la seconda guerra mondiale. All’epoca del suo primo incontro con Krishnamurti, Bohm si era già guadagnato una grande e discussa fama come uno dei più brillanti fisici teoretici della nostra era. Egli aveva sviluppato la teoria del plasma – il quarto stato conosciuto della materia, dopo quello solido, liquido e gassoso – e la sua analisi del comportamento plasmatico degli elettroni nei metalli aveva posto le fondamenta per gran parte della fisica degli stati solidi. Bohm, inoltre, esercitò un ruolo centrale nel dibattito sulla teoria dei quanti (ancora in corso ai giorni nostri), e fu l’autore di molte, provocatorie “interpretazioni” del quanto. Durante gli anni del suo insegnamento a Princeton, divenne amico di Albert Einstein, il quale, dopo aver trascorso vari anni cercando, senza successo, un’alternativa alla versione generalmente accettata della meccanica quantica, sembra aver indicato in Bohm il suo “successore intellettuale”, affermando: «Se qualcuno potrà riuscirci, questi è Bohm».

Ma David Bohm forse è più conosciuto, specialmente tra chi non è scienziato, per una teoria che è allo stesso tempo il frutto di una ricerca spirituale lunga una vita e il risultato di una profonda intuizione scientifica. Si tratta della teoria dell’ordine sottinteso, fondata su una visione globale, totale, nella quale la materia e la coscienza sono unite.

Bohm sembra essere stato ossessionato, sin da piccolo, dall’idea secondo cui viviamo in un universo nel quale la materia e il significato sono inseparabili; si dice che la parola “totalità”, da egli impiegata nel primo incontro con Krishnamurti per descrivere il suo lavoro scientifico, fece balzare quest’ultimo dalla sedia per dare un abbraccio a Bohm.

Leggendo Wholeness and the Implicate Order di David Bohm (in italiano Universo, mente, materia, RED edizioni), ho avuto spesso dei sentimenti simili. L’ampiezza e l’integrità della sua visione è efficacemente riflessa nella sua esposizione, che è allo stesso tempo lucida, ampia, precisa e profondamente, misteriosamente toccante. Leggendo Bohm, si rimane molto spesso sbalorditi dalla sua abilità nel connettere fenomeni di ordine radicalmente diverso, oltre che dalla sua passione per scoprire l’interrelazione e la coesione dinamica di un mondo generalmente considerato una forma di caos meccanizzato nel quale gli esseri umani sono destinati a svolgere una piccola parte. Una volta abbandonata la vantaggiosa posizione di isolamento e distacco, l’essere umano si scopre profondamente inserito in un universo indivisibile che è allo stesso tempo reale ed eternamente misterioso; un unico evento multidimensionale senza inizio o fine.

Per molti colleghi di Bohm, comunque, la sua insistenza sul fatto che l’universo fosse da un lato intrinsecamente ordinato, dall’altro impossibile da comprendere appieno, era irritante piuttosto che fonte di ispirazione. Rievocando una frustrante intervista con Bohm nel libro The End of Science: Facing the Limits of Knowledge in the Twilight of the Scientific Age (La fine della scienza: a tu per tu con i limiti della conoscenza nel crepuscolo dell’Era Scientifica), lo scrittore di scienza John Horgan scrive: “Bohm anelava a conoscere, a scoprire il segreto di ogni cosa, sia attraverso la fisica… sia attraverso la conoscenza mistica. Tuttavia, insisteva sul fatto che la realtà era inconoscibile, perché, credo, provava repulsione verso l’idea della finalità”. La premessa da cui parte Horgan, non insolita al giorno d’oggi, è che nel giro di venti anni la scienza avrà risposto a tutte le domande più importanti dell’uomo. Ma quello che Bohm riesce a comunicare in modo piuttosto chiaro durante quella intervista, è la sua concezione secondo cui le risposte finali non sono poi così importanti quanto il cercare di conoscere il mondo nel quale viviamo senza idee o conclusioni fisse. Fu caratteristico di Bohm insistere sul fatto che le idee fisse che sottintendono le ipotesi scientifiche non sono di aiuto, ma di ostacolo, e che una metodologia che unisca il rigore all’apertura mentale è la migliore per restare al passo della verità, man mano che essa si rivela nel corso dell’indagine scientifica.

Ma Bohm trovava ugualmente inadeguata la flessibilità senza il rigore, così comune nella vita spirituale. In un’intervista rilasciata per la rivista ReVision nel 1981, egli disse: “Dal momento in cui il mistico sceglie di parlare della sua esperienza… deve seguire le regole che governano il mondo ordinario, il che significa che deve essere ragionevole, logico e chiaro”. E questo Bohm non lo chiedeva solo ai mistici, ma soprattutto ai fisici quantici contemporanei, molti dei quali, alla luce delle paradossali scoperte sul regno subatomico, si erano sentiti dispensati dalla necessità di offrire spiegazioni concrete o avevano sviluppato teorie e persino cosmologie più mistificanti delle visioni di uomini religiosi o spirituali. Ironicamente, fu proprio la richiesta di Bohm di spiegazioni puramente fisiche dei fenomeni quantici che lo portò a essere evitato da molti suoi colleghi.

Tuttavia, coloro che approvavano questo invito nutrivano per Bohm una grande fedeltà. Uno di questi è lo scrittore e fisico F. David Peat, che da giovane ascoltò catturato le spiegazioni di Bohm sulla meccanica quantica alla radio “BBS”, senza sapere che diversi anni più tardi avrebbe incontrato il suo eroe, apparentemente per caso, che sarebbero diventati amici e colleghi, che avrebbero scritto un libro insieme (Science, Order and Creativity), e che lui stesso avrebbe scritto alla fine la biografia di Bohm, Infinite Potential: The Life and Times of David Bohm.

Autore di molti libri, Peat è un uomo dai molteplici interessi, che l’hanno portato a girare tutto il mondo: tra questi la fisica moderna, le arti visive, la psicologia junghiana e la spiritualità dei nativi americani. La nostra intervista è stata condotta telefonicamente da Pari, il paese vicino a Siena dove egli vive attualmente. E’ stato un piacere parlare di David Bohm con qualcuno che lo conobbe intimamente e i cui ricordi sono ancora vivi nella sua memoria. Come si intuisce dalla nostra conversazione, il pensiero di Peat è stato influenzato, sotto molti aspetti, da Bohm.

Infinite Potential è un ritratto completo e imparziale. La maggior parte del lavoro di Bohm è una straordinaria fonte di ispirazione, frutto di una grande integrità, ma Peat ha ben presenti anche i difetti del suo amico. “Bohm visse per il trascendente”, scrive Peat, “sognava una luce universale… Ma la sua vita fu caratterizzata da una grande sofferenza e da periodi di grave depressione. Durante la sua vita, non raggiunse mai la completezza; tutto ciò che conquistò, e di cui ancora avvertiamo i benefici, fu raggiunto solo al prezzo di grandi sacrifici”.

Simeon Alev: Perché pensa che fosse importante scrivere una biografia di David Bohm, in questo momento?

David Peat: Penso che sia un libro utile perché aiuta a mettere la vita di Dave in prospettiva e perché riunisce tutta la sua opera, cosa che non è mai stata fatta prima. Dave aveva fatto cenno al proposito di scrivere un’autobiografia – da solo o con l’aiuto di qualcuno – e dopo la sua morte, nel 1992, ne parlai con le persone che gli erano state più vicini. Tutti eravamo preoccupati dal fatto che un’altra persona avrebbe potuto improvvisare una biografia, per cui decidemmo che forse avremmo dovuto farne una noi, e subito.

Vede, sembra che il lavoro di Dave abbia molti aspetti diversi: in esso troviamo, per esempio, le ricerche giovanili sul plasma, la teoria delle variabili nascoste, l’ordine sottinteso e la ricerca di nuovi ordini nella fisica; inoltre, la collaborazione con Krishnamurti e le ricerche sulla coscienza e sul significato del soma. Ma quando si considera la sua vita come un tutto, ci si accorge che questi sono aspetti dello stesso modo di vedere l’universo, e quindi non sono diversi. Ho pensato che sarebbe stata una buona cosa che la gente sapesse ciò, particolarmente coloro che, nel mondo della fisica, hanno cominciato a selezionare le idee di Dave, scegliendone alcune piuttosto di altre. Ho pensato che sarebbe stato utile presentarle tutte insieme, in modo che le persone possano rendersi conto del loro livello di integrazione, cosa che non comprendono del tutto nemmeno coloro che conobbero abbastanza bene Bohm.

Simeon Alev: La sua vita e il suo lavoro furono un tutt’uno coerente.

David Peat: Sì, mi sembra che ogni cosa sia legata al resto; semplicemente, non puoi estrarne una parte.

Simeon Alev: Dunque, sembra che la vita e il lavoro di Bohm contengano un messaggio globale per l’umanità?

David Peat: Beh, in un certo senso il messaggio è questa stessa visione dell’interezza… Che naturalmente non è nuova; è contenuta in molte altre filosofie e se ne parla da tempo. Ma credo che ogni volta che qualcuno ne parla, la rinnova o la reinventa, riportandola in vita per il tempo presente. E io penso che David lo abbia fatto per la nostra epoca. Egli, inoltre, evidenziò il fatto che la scienza si era scissa sia all’interno di se stessa sia dalle tematiche spirituali e dalla riflessione sulla coscienza e il sé. E nella biografia è possibile vedere come queste idee si esprimessero attraverso la sua lotta. La sua vita fu allo stesso tempo l’intuizione di qualcosa di trascendente e una lotta per raggiungere questa condizione di integrità. E oggi il suo lavoro appare sempre più rilevante.

Simeon Alev: In che modo, secondo lei, la scienza e la spiritualità si incontrano nel suo lavoro?

David Peat: E’ certo che nei primi tempi nutrì dei sospetti nei confronti delle religioni organizzate, in particolare durante il suo periodo marxista – ma anche dopo – perché si era reso conto che esse non stavano aiutando la razza umana. Allo stesso tempo, però, fu sempre presente in lui un senso del numinoso, del trascendente – dalle sue precoci fantasie adolescenziali di una dissoluzione nello spazio fino alle visioni di luce, dell’illuminazione – un’intensità mentale, come se la mente potesse raggiungere una qualche verità che si sempre trova oltre il limite, che al di là di qualche sorta di frontiera ci sia una verità più profonda da scoprire. Credo, quindi, che da questo punto di vista il suo lavoro fu una ricerca spirituale; qualcosa di più vicino, forse, alla ricerca dell’illuminazione, della luce, della verità. Diceva spesso che devi cercare la verità, ovunque essa ti porti; qualunque aspetto abbia, la dovrai affrontare. E a questo proposito penso che dovrei anche menzionare la sensazione che aveva durante la sua attività scientifica: egli sentiva spesso che l’universo era dentro il suo corpo, come se lui fosse un microcosmo all’interno del macrocosmo. Bohm intuiva che poteva raggiungere la verità all’interno del suo corpo, che era possibile rivolgere lo sguardo sia all’esterno che all’interno. Per tutta la sua vita fu presente questa sensazione di connessione diretta con il cosmo.

Simeon Alev: Sembra anche che abbia avuto la sensazione che gruppi più vasti di persone avrebbero potuto sperimentare la vita insieme in quel modo.

David Peat: Sì, parlava spesso delle diverse dimensioni dell’essere umano – l’individuale, la cosmica e la sociale – e, soprattutto verso la fine della sua vita, sentiva che esse dovevano integrarsi, e che forse ciò avrebbe potuto dar vita a una coscienza collettiva di qualche tipo. Talvolta faceva l’esempio di un fiume inquinato. Puoi cercare di eliminare l’inquinamento intorno alla città, ma la cosa importante è trovare la fonte dell’inquinamento, e in questo processo puoi scoprire un ordine di nuovo tipo. Sentiva che parte di quell’inquinamento era dovuto al linguaggio e che avremmo dovuto andare alle radici, alle origini del linguaggio, cosa possibile solo nell’ambito di un gruppo, attraverso una sorta di dialogo.

Bohm e Krishnamurti

Simeon Alev: Nonostante il fatto che Bohm era profondamente interessato a collaborare con gli altri, sembra che molti dei suoi rapporti di lavoro si siano conclusi tra i malintesi. Il suo rapporto con Krishnamurti è uno di questi. Come descriverebbe il ruolo di Krishnamurti nella vita di Bohm? Fu una delle sue relazioni più importanti?

DavidPeat: Credo che David Bohn avrebbe risposto di sì. Di certo, ha detto che i due incontri più importanti della sua vita furono con Einstein e Krishnamurti. Avvertiva qualcosa di simile tra i due: l’intensità, l’onestà e l’enorme energia che entrambi possedevano. Con entrambi instaurò una relazione di profonda amicizia , ma a un livello impersonale piuttosto che personale. Penso che ambedue furono molto importanti per lui, ma certamente i dialoghi che intrattenne con Krishnamurti si spinsero molto, molto in profondità.

D’altra parte, ho incontrato persone secondo le quali il pensiero di Bohm non fu profondamente influenzato da Krishnamurti, che le sue idee e il suo lavoro furono sempre dello stesso genere, che la frequentazione di Krishnamurti gli dava semplicemente incoraggiamento e ispirazione, e lo aiutò ad attraversare un periodo molto oscuro, in cui dubitava del valore in generale della scienza. Secondo queste persone, in quel periodo Krishnamurti fu importante per Dave, ma i gruppi di dialogo di quest’ultimo, tutto ciò che è a essi collegato, e le sue idee sulla coscienza collettiva non provenivano da Krishnamurti.

Si tratta di un argomento molto difficile e forse solo il tempo sarà in grado di dirci di più, quando vedremo le cose in prospettiva. Infatti, così come molte persone discutono di David Bohm, molte altre lo fanno a proposito di Krishnamurti, fuori e dentro la Krishnamurti Foundation. È in atto una rivalutazione di Krishnamurti, ci si incomincia a chiedere chi fosse e quale fu il significato della sua vita. E’ stato difficile per me, quindi, ricevere delle risposte chiare su Krishnamurti e Bohm.

Simeon Alev:Lei ha mai incontrato Krishnamurti di persona?

David Peat: Sì. Dave organizzò due incontri di scienziati con Krishnamurti e partecipai a entrambi.

Simeon Alev: Nella biografia lei approfondisce alcuni dettagli sulla loro relazione in generale, affrontandone anche la conclusione. Potrebbe riassumerci come e perché la loro relazione si ruppe?

David Peat: Nella biografia dovevo soltanto riferire ciò che la gente mi aveva raccontato, ma anche io avevo parlato molto con Dave di questo argomento. Penso che i loro incontri fossero molto intensi. Quando si sedevano insieme, in modo aperto e onesto, c’era una profonda intensità tra di loro, e Dave disse che riusciva a vedere alcune delle cose di cui Krishnamurti parlava; cioè, le sperimentava direttamente, non si trattava di una conoscenza di seconda mano.

D’altra parte, era disturbato dall’immagine di Krishnamurti creata dalle persone intorno a quest’ultimo. Sebbene Krishnamurti dicesse: «La verità è un territorio senza sentieri. Non ascoltate i guru, compreso colui che parla in questo momento», le persone lo trattavano e si comportavano come se lui fosse un guru. E credo che questo infastidì Dave. Sentì che c’era qualcosa di incompatibile in questo, di paradossale. Cominciò a chiedersi in che misura Krishnamurti fosse stato condizionato dalla sua stessa educazione e pose delle domande su questo argomento.

Penso che avesse anche dei dubbi sul modo in cui operavano le scuole di Krishnamurti, perché all’interno di queste ultime sembravano esserci molti conflitti. Se si riteneva che le persone potessero lavorare senza tutti questi condizionamenti, perché c’erano tanti problemi? Quindi, aveva molte domande dentro di sé. Penso che almeno durante un incontro con Krishnamurti si trovasse in questo stato d’animo. Allo stesso tempo, credo che avesse delle domande sulla propria vita e il proprio lavoro; forse si stava avvicinando uno dei suoi periodi di depressione.

Krishnamurti, dal canto suo, cominciò a chiedere perché David Bohm, se aveva capito tanto profondamente le cose di cui parlava Krishnamurti, fosse ancora tanto dipendente dagli altri; infatti, sembrava molto attaccato alla moglie e a Krishnamurti stesso.

Dunque, in realtà, si trattò di un confronto; Krishnamurti chiedeva a Dave di guardare la totalità della sua natura, mentre Dave aveva a sua volta dei dubbi su Krishnamurti. Alla fine, sembrò crearsi una rottura tra i due; per Dave essa fu, secondo me, dolorosa. Egli non riuscì a comprendere chiaramente cosa fosse successo, e perché. Anche se in seguito continuarono a vedersi, non discussero più con la profondità del passato.

Simeon Alev: Pensa che i loro incontri, fino a quel momento, fossero stati soprattutto intellettuali, o tra i due c’era una certa profondità spirituale, simile a quella che si può riscontrare tra un guru e un discepolo?

David Peat: Ho parlato con molte persone presenti a quegli incontri, e ho il massimo rispetto delle loro parole. Alcune di loro non avrebbero mai usato l’immagine del guru e del discepolo, ma quella di due persone impegnate in un’esplorazione comune, a un livello paritario. Dave contribuiva con un intelletto molto brillante e con profonde intuizioni provenienti dalla fisica, Krishnamurti interveniva dal suo punto di vista. In definitiva, si trattava di due uomini che discutevano dello stesso argomento. In molti casi, David Bohm aiutava Krishnamurti a chiarire non tanto le sue intuizioni – cosa che non avrebbe potuto fare – quanto il modo in cui Krishnamurti le presentava, il linguaggio che usava e l’andamento della discussione. Talvolta Krishnamurti faceva delle generalizzazioni su cui Dave balzava subito, sollecitandolo ad affinarle. Ma non erano soltanto incontri tra due menti energeticamente elevate; secondo Dave, almeno, c’erano anche molto calore e affetto. Questo avvertì in Krishnamurti: il calore. Non si trattava, quindi, della tradizionale relazione tra guru e discepolo, ma della relazione tra due amici o colleghi. Dave disse di aver provato la stessa sensazione con Einstein: entrambi conducevano una ricerca comune, senza che qualcuno sembrasse superiore all’altro. Credo che la stessa cosa sia stata avvertita anche da molte persone che hanno lavorato con Dave. Naturalmente, eri consapevole che Dave era molto più intelligente di te – ti batteva su tutta la linea – ma quando lavoravi con lui, non avevi la sensazione che Dave fosse il capo, bensì che stavate indagando qualcosa in comune. Suppongo che la relazione con Krishnamurti fosse qualcosa di simile.

Allo stesso tempo, altre persone avevano la sensazione che, quando loro due erano insieme, si avvertiva una certa atmosfera spirituale; di fatto, la gente spesso diceva che si sentiva di qualcosa di potente nella stanza. E certamente questi dialoghi pubblici furono di grande aiuto a molti occidentali per riuscire ad avvicinare Krishnamurti: infatti, David Bohm li affrontava in maniera più occidentale di Krishnamurti.

Simeon Alev: Ho accennato alla relazione guru-discepolo a causa di un passaggio della biografia nel quale lei racconta come Krishnamurti, dopo quindici anni, avesse cominciato a esercitare su Bohm una certa pressione affinché egli cominciasse a cambiare: cosa che, normalmente, sarebbe sembrata consona al suo ruolo di maestro spirituale. Ma, poiché anche lei suggerisce che Bohm nutrì delle riserve per ciò che vedeva accadere intorno a Krishnamurti, forse si trattò più che altro di uno scambio di accuse.

David Peat: Di nuovo, è difficile da dire. Ho parlato con persone che erano nella cerchia intima di Krishnamurti, secondo le quali questo tipo di rottura si era verificata più volte. È come se le persone frequentassero Krishnamurti per molti anni, fino a quando lui sembrava quasi attaccarle e provocarle. A un certo punto, Krishnamurti sentiva il bisogno di provocare anche persone con cui si sentiva a suo agio e cui permetteva di stargli vicino. In questo senso, quando sfidò Dave su se stesso e i suoi condizionamenti, la cosa probabilmente assomigliò molto a una relazione guru-discepolo; all’improvviso tutto era cambiato.

Simeon Alev: Questo deve essere stato piuttosto sconvolgente per David Bohm.

David Peat: Secondo le informazioni raccolte, sì. Ma sono cose difficile da determinare con certezza, perché tutti coloro che li circondavano avevano dei forti interessi. Secondo alcuni, Dave era molto importante per Krishnamurti; altri, invece, sarebbero stati più felici se Dave non avesse avuto nulla a che fare con lui. Questi ultimi avevano la sensazione che egli stesse in un certo senso contaminando l’immagine di Krishnamurti, che lo stava spingendo a parlare in maniera troppo occidentale, intellettuale e razionale, a scapito della poesia. Alcuni sentirono questo: che la poesia si stava perdendo. Ma forse non vedevano la poesia insita in David Bohm.

La scienza di Bohm

Simeon Alev: Quali erano alcune delle principali idee di Bohm che lo resero una figura di primo piano nel processo di avvicinamento tra la scienza e la spiritualità?

David Peat: Dave avvertiva che la scienza non doveva staccarsi dalla vita di tutti i giorni, diventando qualcosa di astratto che aveva a che fare soltanto con la meccanica. Sentiva, piuttosto, che l’universo stesso è in certo senso uno specchio delle nostre strutture basilari come esseri umani e della nostra relazione con il trascendente. Questa fu la chiave di tutto il suo pensiero. Così, quando cominciò a sviluppare la sua teoria dell’ordine sottinteso, sentì che essa non riguardava soltanto la struttura della materia, ma anche quella della coscienza, perché ogni cosa riflette se stessa. Persino il suo primo lavoro sul plasma sopraggiunse non tanto attraverso lo studio degli atomi e degli elettroni – cosa che naturalmente fece – quanto grazie al dilemma fondamentale dell’individuo e della collettività: può un individuo essere libero all’interno una società, portandovi allo stesso tempo il suo contributo? Anche qui, vide che i dilemmi di base degli esseri umani riguardo il libero arbitrio e gli obblighi verso la società sono, in qualche modo, riflessi nella struttura stessa dell’universo. A questo proposito, egli ebbe una visione (credo mentre viveva in Brasile): l’universo era un insieme di sfere di argento, ognuna delle quali rifletteva le altre, inclusa se stessa; una sorta di infinita riflessività dell’universo nella quale ogni parte era contenuta in tutte le altre.

Simeon Alev: A partire dal lavoro sul plasma, sembra che il pensiero di Bohm acquisisse una dimensione sempre più cosmica.

David Peat: Sì, anche se possiamo dire che fu sempre così. Persino quando frequentava ancora la scuola, tentò di sviluppare una teoria sul cosmo che comprendesse la coscienza; quindi, fin dall’inizio intuì che ogni teoria dell’universo doveva comprendere l’essere umano; l’osservatore umano doveva essere parte della teoria. Non avrebbe potuto essere una teoria obiettiva nel senso convenzionale del termine, cioè qualcosa di esterno ai fenomeni, che non tiene conto di noi, non considera la realtà esistenziale del nostro essere. Il suo pensiero fu sempre cosmico e onnicomprensivo.

Simeon Alev: Perché sembra che ancora oggi tanti scienziati hanno problemi ad accettare o rifiutare le sue idee?

David Peat: Beh, suppongo che in alcuni casi sia perché alla gente piacciono i lavori di dimensioni limitate: i “risultatini”, come li chiamava David; non i risultati, ma i “risultatini”. Quando Dave lavorava, affrontava idee e concetti molto generali; al contrario, la moda attuale nella fisica contemporanea è che tutto deve essere iper-matematico, mentre lui non ebbe mai fiducia nella matematica. Per lui, la matematica era un buono strumento, ma niente di più. Il problema della matematica, anche di quella più bella ed elegante, è che da qualche parte nasconde molti presupposti. Quando parliamo insieme, usando il linguaggio comune, è più semplice scoprire quali siano questi presupposti. La matematica tende a nascondere molte cose. Bohm aveva dubbi anche su altri aspetti della fisica: per esempio, sulla tendenza della fisica delle particelle a frammentare, piuttosto che a unire. Vede, Dave si era reso conto che, in questo secolo, si era verificata una rivoluzione fondamentale nella fisica e nella meccanica quantica, ma che il nostro pensiero non ne aveva tenuto il passo. Nel vecchio ordine, potevi frammentare le cose e definirle secondo una griglia cartesiana di spazio e tempo. Ora, avevamo bisogno di un ordine interamente nuovo, e l’ordine sottinteso, che è intrinsecamente infinito, era uno degli elementi su cui Bohm lavorò. Questo, però, equivale certamente a chiedere troppo dai fisici. A loro piace vedere le cose piccole e finite, mentre Dave fu un pensatore troppo globale, credo, per molti di loro… A parte i migliori, che simpatizzarono con Dave perché si resero conto che era necessario qualcosa di nuovo.

Simeon Alev: Ma alla maggior parte degli scienziati non sembrava che egli si fosse spinto oltre i confini della scienza?

David Peat: Sì. E appare ironico che ora, dopo la sua morte, il suo lavoro sulle variabili nascoste – quello che causò più controversie – è stato adottato dai fisici come un modello di calcolo. Per Dave, si trattava di un modo completamente nuovo di considerare la meccanica quantistica, ma ora viene usato solamente come un modello di calcolo. Hanno messo da parte il contorno, mantenendo l’essenziale.

Simeon Alev: La chiamano “la meccanica Bohmiana”?