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Il genocidio degli Indiani del Nord America

di Raffaele D’Aniello - 09/03/2009




 

La distruzione, da parte dei coloni europei, della popolazione del Nuovo Mondo rappresenta una macchia indelebile. Tra il XVI e XIX secolo, spagnoli, portoghesi, francesi, inglesi e olandesi si macchiarono di molteplici, orribili crimini di massa, cancellando dalla faccia della terra non soltanto numerose etnie, ma un insieme di antiche culture.
La distruzione della popolazione indigena delle Americhe è stata senza ombra di dubbio la più massiccia, intenzionale e reiterata azione di genocidio di massa della storia del genere umano. In termini quantitativi, il numero di indiani morti a causa della conquista europea dell’America settentrionale, centrale e meridionale, risulta notevolmente superiore a qualsiasi altro grande massacro della storia, comprese le grandi stragi del XX secolo. Entro una generazione dall’arrivo di Cristoforo Colombo, ad esempio, l’intera popolazione di Hispaniola, composta da 8.000.000 di indiani, fu completamente sterminata e l’impero degli aztechi venne sottomesso con l’uccisione di milioni di persone.
Il “conquistador” Herman Cortez a colloquio con un ambasciatore dell’imperatore azteco Montezuma. I primi contatti con i conquistatori spagnoli saranno destanti, per la superiorità tecnica e militare degli iberici, ma soprattutto per l’introduzione in America di epidemie di vaiolo, morbillo e colera.
Indios malati di vaiolo. Le malattie endemiche nei due mondi si mescolarono, diventando epidemiche: il vaiolo colpì le Americhe, mentre la sifilide infuriò il Europa. Tuttavia il diverso livello di vita e di sviluppo scientifico, oltre ad un più provato sistema immunitario, diede agli europei un decisivo vantaggio sugli amerindi.

Alcune delle atrocità attribuite agli europei: conquistadores che sfracellano bambini contro un muro, mentre ardono degli indios impiccati.
Un indio bruciato sul rogo dall’Inquisizione.


Alla fine del XVII secolo, l’America centrale e meridionale avevano perso circa il 95% della loro popolazione autoctona, con circa 80.000.000 di individui scomparsi e sostituiti da alcune centinaia di migliaia di iberici. All’inizio del XVI secolo, a nord del Messico, la popolazione autoctona contava circa 8.000.000 di unità, anche se molti studiosi elevano questa cifra a 1.2.000.000. Sta di fatto che, dopo 350 anni di dominio europeo, di questa popolazione non restavano che 400.000 superstiti, suddivisi tra Canada e Stati Uniti d’America.

Uno sterminio scientifico, giustificato e poi rimosso

Come fu possibile un genocidio di queste proporzioni? Spiegarlo dettagliatamente risulterebbe impossibile, almeno in questa sede. Ci limiteremo dunque ad elencare soltanto alcuni degli strumenti dell’immane sterminio, come le epidemie e le guerre, seguiti dalla rimozione forzata delle popolazioni e dalla distruzione del modello di vita, delle risorse ambientali e dell’ecosistema delle nazioni indigene. Il genocidio degli indiani dell’America centrale e meridionale compiuto soprattutto dagli spagnoli, ma anche dai portoghesi, non ha forse eguali per crudeltà e spietatezza. Le malattie, importate o indotte dai conquistadores iberici, uccisero milioni di indiani, ed altrettanto forse ne uccisero con la spada gli spagnoli nella loro folle ricerca dell’oro e attraverso lo sfruttamento del lavoro schiavistico. Circa un secolo dopo, in America settentrionale, gli inglesi e i francesi, non si comportarono in maniera migliore. Sia a settentrione che a meridione del Nuovo Continente, l’eliminazione e l’assoggettamento delle popolazioni indiane fu sempre premeditato, studiato ed eseguito razionalmente; filosoficamente e religiosamente giustificato, moralmente accettato e poi rimosso dalla coscienza degli sterminatori. A parte qualche rara eccezione, i religiosi cristiani di ogni confessione al seguito dei conquistatori europei, assistettero al massacro con perfetta adesione e cristiana compassione. In questo contesto, nella Nouvelle France (comprendente l’attuale Canada centro-occidentale e la “Grande Louisiana”), i francesi non si comportarono meglio degli spagnoli e dei portoghesi, anche se con qualche eccezione. E, tra il XVII e XVIII secolo, essi sterminarono intere tribù, come quella dei Natchez e dei Mesquakie (Fox). Sorte ben peggiore la patirono però le popolazioni indiane a contatto con i coloni inglesi (ma anche olandesi) che nel corso di svariate guerre annientarono moltissime tribù.

Epidemie e malattie: guerra biologica ante litteram


Una delle ragioni, o meglio dei mezzi, che portarono alla distruzione la maggior parte delle comunità indigene americane, fu l’introduzione presso popolazioni prive di difese immunitarie, di patologie micidiali come vaiolo, colera, scarlattina, tosse cattiva, difterite, dissenteria, meningite, tifo, malaria, febbre gialla, influenza, morbillo, peste bubbonica, tubercolosi, pleurite, orecchioni. Tra l’inizio del XVI e la fine del XIX secolo, nei territori a settentrione del Messico, si verificarono 93 gravi epidemie e pandemie, una ogni 4 anni e due mesi, che portarono all’annientamento di centinaia di migliaia di indigeni. Le malattie si diffusero attraverso i contatti iniziali tra nativi e bianchi, esploratori e mercanti prima, e coloni e soldati in seguito. Probabilmente, in Nord America, le perdite più elevate si verificarono durante i primi cento anni di contatti, grosso modo dai primi anni del XVI secolo, sino alla sua fine. Nella fattispecie. le epidemie di vaiolo che colpirono l’America settentrionale uccisero dal 60 al 90 per cento delle popolazioni colpite. Nel 1528, la tribù texana dei Karankawa venne decimata dal colera, ed anche le popolazioni Timucuan della Florida furono colpite e devastate da epidemie che, in meno di settant’anni, ne ridussero il numero da 770.000 a 36.450 unità. Con l’insediamento dei coloni europei lungo le coste settentrionali americane, le malattie si diffusero con grande rapidità. Nel corso del XVII secolo, dodici epidemie di vaiolo, quattro di morbillo, tre di influenza, due di difterite, una di peste bubbonica, una di scarlattina e una di tifo provocarono la scomparsa di un numero impressionante di indigeni. Per fare un esempio, l’epidemia di vaiolo del 1616-19, ridusse la tribù dei Massachussett da 10.000 a 1.000 unità. Tra il 1612 e il 1612 [così nel testo: evidente refuso che non posso correggere io], la peste bubbonica fece strage dei Wampanoag, degli Abenaki e dei Pawtucket. E, tra il 1634 e il 1640, la potente confederazione degli Uroni, composta da 28 villaggi e circa 30.000 persone ne perse circa 20.000 a causa del vaiolo. Nella seconda metà del XVII secolo, alcune terribili epidemie ridussero i Winnebago del Wisconsin da circa 20.000 a meno di 600 unità (1670). E tra il 1613-17. 1649-50, e nel 1672, le epidemie di morbillo, colera, tubercolosi ed altre malattie fecero stragi tra le tribù Timucuan della Georgia e della Florida. E nel 1699, nel South Carolina, il vaiolo spazzò via “un’intera nazione mentrealtre cinque o sei fuggirono lasciando i loro morti insepolti agli avvoltoi”.

*(in Storia Verità, Anno XII, n. 47,
maggio/giugno 2007, pp. 28-34)