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Karzai, re d’Afghanistan su mandato Usa

di Matteo Bernabei - 27/07/2009

 

 
Karzai, re d’Afghanistan su mandato Usa
 



Se a sfidare Hamid Karzai (foto), alle prossime elezioni di agosto, fosse un solo candidato, probabilmente l’attuale presidente dell’Afghanistan sarebbe costretto ad abbandonare il trono consegnatogli dagli Stati Uniti. Purtroppo, invece, gli avversari del capo di Stato afghano sono ben 38, tutti con una piccola percentuale di fedeli, insufficienti, però, per mettere in pericolo la sua quasi certa rielezione. Due gli sfidanti maggiori: Ashraf Ghani, ex ministro delle finanze sotto lo stesso Karzai e alto funzionario della Banca mondiale, e l’ex ministro degli Esteri Abdullah. In un recente sondaggio entrambi hanno ottenuto una percentuale di consensi ad una sola cifra, mentre al presidente uscente il rilevamento demoscopico ha attribuito ben il 31 per cento delle preferenze. Eppure di errori, il capo di Stato voluto da Washington, ne ha commessi molti, sia in campagna elettorale, che durante il suo mandato. A cominciare dall’abbandono, alcune sere fa, di un dibattito politico con alcuni suoi avversari nel bel mezzo della discussione, a dimostrazione della scarsità di argomentazioni a sua disposizione. Cosa che si è fatta ancora più evidente ieri, quando ha presentato il suo manifesto ufficiale, nel quale promette di limitare l’operato delle truppe straniere nel Paese e di progettare una ricostruzione insieme ai capi talebani. Esattamente le stesse promesse fatte da Ashraf Ghani in un comizio qualche giorno prima. La cosa più importante per Karzai, infatti, è riconquistare la fiducia dei cittadini afghani per quanto riguarda la loro sicurezza. Molti imputano al presidente, e a ragione veduta, la responsabilità delle morti civili fatte dalle truppe di occupazione all’interno del Paese. Come ad esempio la strage di Bala Buluk, sulla quale il governo di Kabul ha preferito sposare la tesi del centro di comando Isaf, elaborata per difendere l’operato dei militari piuttosto che fare luce sulla vicenda, punire i responsabili e dare cosi un segnale forte alla popolazione. E proprio a questo serve la nuova operazione, in pieno stile Vietnam, lanciata dagli Stati Uniti nella valle dell’Helmand, una dimostrazione di forza contro i talibani cui la popolazione si affida ormai sempre più, vista la palese incapacità dell’esecutivo di proteggere la propria gente. Inoltre a sostenere le promesse fatte dal presidente Karzai, è arrivato anche il generale Stanley Mc Chrystal, nuovo comandante delle forze Usa e Nato in Afghanistan, impartendo una nuova direttiva tattica alle truppe per questo mese che manca alle elezioni: limitare i bombardamenti aerei contro zone residenziali, facendo particolare attenzione per evitare vittime civili. Intanto, però, l’invasione dei soldati stranieri continua.
La nuova amministrazione Usa ha ulteriormente incrementato il proprio contingente sul territorio, portandolo da 38mila unità a circa 58mila, oltre ovviamente ai 39mila militari degli altri paesi della Nato, e ai quali si aggiungeranno quelli destinati al mantenimento della sicurezza durante le elezioni, che potrebbe restare anche in via definitiva, e gli oltre diecimila addestratori in arrivo da Washington. “Dobbiamo fare un accordo per contenere i movimenti delle truppe straniere in una legittima cornice afghana. La Nato e l’America sono nostri alleati nella guerra contro il terrorismo, ma dai nostri amici vogliamo protezione, onore, dignità e rispetto per la nostra religione”, sono state le parole di Karzai durante un raduno elettorale a Kabul. Le sue azioni però dimostrano una volontà del tutto differente.