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Tangentopoli. L'uomo del colpo di mano

di Gianni Petrosillo - 17/01/2010


Da quando siamo entrati a far parte della “blogosfera”, prima con “Ripensaremarx” e poi con il nuovo spazio “Conflitti e Strategie”, parlando delle vicende della Prima Repubblica (squassata da Tangentopoli e dalle indagini del pool di Milano) e di tutte le conseguenze nefaste che quei fatti hanno prodotto sul nostro presente, abbiamo avanzato l'ipotesi che il terremoto politico-giudiziario del '92 fu opera di una potente “manina” straniera, la quale dopo aver condizionato pesantemente il nostro passato vuole ora rovinare il nostro futuro.

Quella “manina”, ormai 18 anni fa, strinse saldamente, in un nequizioso accordo antinazionale, il “braccio secolare” del potere giudiziario che si mise “a disposizione”, con i propri mezzi e la propria influenza, per garantire la riuscita di un piano eversivo contro lo Stato italiano. I magistrati, protagonisti dello “show” a sfondo moralistico e forcaiolo di quella fase storica, osannati e sostenuti dalla sinistra quali nuovi paladini della lotta alla corruzione e al malaffare dei partiti, meriterebbero, se solo fosse confermata l'ipotesi della "congiura di palazzo" di cui ha parlato anche il socialista Rino Formica,  di subire la stessa onta mediatica e le limitazioni alla libertà personale dei loro perseguitati di allora, con l'aggravante dell'accusa di alto tradimento e attentato alla Costituzione repubblicana.

Per la verità, il merito di avere incanalato i sospetti in questa direzione va dato, innanzitutto e davanti a tutti, a La Grassa e Preve, i quali, in un testo del '94 (“Il teatro dell'assurdo”, ed. Punto Rosso) avevano intuito e tracciato le linee di tale disegno internazionale - partendo da valutazioni storiche di riconfigurazione dell'ordine geopolitico mondiale dopo la Guerra Fredda - che pose la parola fine su un sistema di governo e di gestione degli apparati statali a guida democristiano-socialista.

Adesso si apprende che quella congettura, inizialmente bollata da tutti come una bizzarra e arzigogolata fantasia complottista, non risulta così campata in aria. Anzi, anche in ambienti facenti parte del politically correct mediatico-giornalistico dominante la “teoria del complotto” straniero viene finalmente presa in considerazione (ovviamente, restano avulsi dalla ricerca della verità i quotidiani e le riviste di sinistra), laddove le cointeressenze e i collegamenti, a dir poco sospetti, tra il principale Pm di quelle indagini e ambienti dei servizi segreti (italiani e stranieri) tornano inesorabilmente a galla.

L'Italia è sempre stato un Paese a sovranità limitata, ma questa situazione di parziale dipendenza veniva bilanciata, nell'epoca dei blocchi geopolitici contrapposti, con le prerogative tipiche della  terra di frontiera la quale è sempre in grado di ricontrattare i suoi interessi, agitando il pericolo di un'attrazione verso il campo avverso. Era il gioco praticato dai democristiani quando rappresentavano agli americani che in Italia esisteva pur  sempre il più grande partito comunista d'Europa.
Questa situazione lasciava al nostro Stato margini di azione che una classe politica non completamente succube dell'alleato statunitense riusciva a trasformare in linee di condotta, soprattutto in politica estera, autonome e più aderenti all'interesse nazionale.

Con il disfacimento del blocco comunista questa “dote posizionale” è venuta a mancare mentre il paese uscito vincitore dalla fase bipolare già elaborava una politica egemonica più aggressiva che limitava al minimo la libertà di decisione delle nazioni facenti parte della sua sfera dominante.

Per non incontrare intoppi nella concretazione di questa "visione" unipolare la potenza predominante aveva la necessità di assicurarsi la presenza di classi dirigenti, all'interno di alcuni paesi europei, del tutto dipendenti dal suo volere e senza velleità indipendentiste. In Italia era impossibile far digerire la cosa a socialisti e democristiani e per tali ragioni si ordì una trama oscura al fine di sbarazzarsi di loro. Alle testa della sediziosa “orda barbara” antinazionale vennero posti gli ex comunisti (sdodanatisi in socialdemocratici dopo la svolta della bolognina) e i giudici, con la promessa che, dopo il repulisti generale, le sorti della patria sarebbero state lasciate nelle loro mani. Il progetto riuscì solo parzialmente perché venne fuori un certo Berlusconi a fermare la grande avanzata della “gioiosa macchina da guerra” di Occhetto.

Come si dice, però, le bugie hanno le gambe corte, soprattutto di fronte alla Storia i cui tempi sono certamente più lunghi di quelli giudiziari ma i cui verdetti sono sicuramente  molto meno parziali. Pare, infatti, che in alcune redazioni di quotidiani stia girando un dossier su Di Pietro che andrebbe a confermare quanto da noi riportato in questi anni.

L'ex PM, avendo avuto la notizia dell'esistenza di questo materiale (sempre ben informato quest'uomo!) ha subito messo le mani avanti annunciando sfracelli contro chiunque farà passare la “bufala” pre-elettorale di un suo coinvolgimento in una cospirazione americana contro l'ordine costituito dello Stato.

L'ex poliziotto si è anche difeso sostenendo che le foto in possesso dei giornali, dove egli è stato immortalato in compagnia del colonnello Mori (indagato per la faccenda delle agende rosse), di Contrada (condannato per fatti di mafia) e di agenti dei servizi, non contengono nulla di sospetto – perché riscaldarsi tanto allora! - e devono essere guardate nell'ottica dei normali rapporti che egli intratteneva con uomini delle autorità nella sua funzione di magistrato inquirente. Peccato per il giudice molisano che Mori abbia già smentito di aver mai collaborato con lui nelle richiamate indagini. Inoltre, proprio il leader dell'IDV fu tra i più accesi sostenitori della pubblicazione degli scatti che ritraevano Silvio Berlusconi, in atteggiamenti lascivi, nella sua villa in Sardegna. In quel frangente, "Don Tonino" si precipitò a denunciare il bavaglio antidemocratico che il premier imponeva alla stampa per nascondere le sue turbe e perversioni sessuali.
A questo punto, Di Pietro dovrebbe avere almeno il buon senso di non opporsi alla pubblicazione del dossier, in ottemperanza al sacrosanto diritto degli italiani di sapere se effettivamente, come dice lui, quella documentazione non contiene nulla di compromettente ed è del tutto "neutra". Se è davvero così non avrà nulla da temere, ma la sua reazione scomposta ingenera molte perplessità e fa aumentare la nostra curiosità.