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Le onorevoli baby pensioni costano 220 milioni l'anno

di Gianluca Roselli - 26/05/2010


 

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Con la manovra economica che il governo si appresta a varare, si torna a parlare dei tagli ai costi della politica, ma nessuno per ora ha avanzato la proposta di ridurre le pensioni dei parlamentari. Una nota dolente del sistema Italia, che agli occhi dei cittadini rappresenta uno dei privilegi più odiosi della casta.

Specialmente se si guarda al passato, visto che, fino a una decina d’anni fa, per ricevere l’assegno vitalizio bastava anche un solo giorno in Parlamento. Oggi le cose sono un po’ cambiate. Ma comunque le cifre che ogni anno escono dalle casse dello Stato per gli ex parlamentari sono ingenti. Se la manovra prevederà davvero la riduzione del 10 per cento dell’indennità parlamentare di ministri ed eletti, anche la pensione dei politici, calcolata sulla retribuzione, scenderà sensibilmente. Oggi a deputati e senatori per percepire la pensione occorre portare a termine almeno una legislatura: con 5 anni di contributi, a 65 anni percepiscono il 25 per cento dell’indennità, pari a circa 4 mila e 200 euro. Se invece portano a termine 2 legislature, si arriva al 38 per cento (6 mila e 400 euro), mentre per tre mandati l’assegno è pari al 53 per cento (circa 8 mila e 900 giuro).

Le cifre sono comunque esorbitanti. Lo scorso anno, il 2009, la Camera ha speso 138,2 milioni di euro per le pensioni dei deputati, mentre per quelli dei senatori si è arrivati a 81,2 milioni, per una cifra complessiva di 219,4 milioni. Due anni prima, nel 2007, lo Stato ha pagato la pensione a 1.377 ex deputati e a 861 ex senatori oppure, in caso di prematura scomparsa, ai loro familiari. Le cose sono migliorate solo negli ultimi tempi: prima del 2008, infatti, per maturare la pensione occorreva restare in Parlamento per metà legislatura più un giorno. A Montecitorio bastava aver conquistato uno scranno prima del 1996 per ottenere la pensione già all’età di cinquant’anni.

In Senato era ancora più facile: bastavano quindici anni di contributi se si era stati eletti prima del 2001. Baby pensionati e anche d’oro, visto che l’assegno più basso si aggira sui 2.400 euro e quelli più alti viaggiano intorno ai 9.900. Oggi, dopo la riforma del 2006, che ha visto la riduzione delle indennità parlamentari del 10 per cento, si va in pensione a 65 anni per chi ha fatto solo una legislatura. Per più mandati l’età scende, ma mai al di sotto dei 60 anni. Almeno questo evita le situazioni paradossali del passato. Come quella dell’ ex leader di Autonomia Operaia e oggi scrittore di successo, Toni Negri, per esempio, dal 1993, anno del suo sessantesimo compleanno, percepisce 3.108 euro mensili grazie alla sua elezione a Montecitorio nel 1983 nel partito radicale, anno in cui rimase in Parlamento per soli 64 giorni, durante i quali, causa ferie estive, furono convocate solo nove sedute. E che dire di Giuseppe Gambale, entrato in Parlamento nel 1992 con la Rete di Leoluca Orlando, baby pensionato di lusso a soli 42 anni? Oppure il banchiere varesino Giovanni Valcavi che, dopo solo nove settimane e mezzo in Parlamento, dal 1992 porta a casa 3.108 euro. Piove anche sul bagnato, visto che spesso la pensione da parlamentare si cumula con quella di altre prestigiose occupazioni.

L’imprenditore Luciano Benetton, per esempio, eletto in Senato per i repubblicani nel 1992, incassa un assegno mensile di 3 mila e 100 euro lordi. La sorella dell’Avvocato, Susanna Agnelli, scomparsa un paio d’anni fa, percepiva invece 8 mila e 455 euro. Altro baby pensionato è l’ex delfino di Bettino Craxi Claudio Martelli, che con 20 anni di contributi percepisce 8.455 euro. Il record, però, spetta a quattro exparlamentari del tutto sconosciuti ai cittadini, ma ben noti alle casse del Tesoro: Angelo Pezzana, Pietro Graveri, Luca Boneschi e Renè Andreani, tutti radicali: un solo giorno nel Palazzo, contributi volontari per 5 anni e un vitalizio di 3.108 euro mensile.

Che i cittadini percepiscano questi esborsi come privilegi inaccettabili lo si è visto il 25 febbraio scorso, quando una scritta intermittente che recitava "stop pensioni deputati" è stata proiettata addirittura sulla cupola di San Pietro. Ma tagliare le pensioni dei parlamentari non è facile, perché comunque, chi più e chi meno, si tratta di contributi regolarmente versati.

L’unica maniera, dunque, sembra essere quella della riduzione dello stipendio, che automaticamente abbassa anche il vitalizio. «Le pensioni dei parlamentari incidono lo 0,022 per cento sulla spesa pubblica, una riduzione anche cospicua non mi sembra un gran risparmio», osserva il senatore del PdL Lucio Malan. «E poi noi, a fronte spesso di maggiori responsabilità, percepiamo pensioni più basse rispetto a magistrati, star del giornalismo, grand commis di Stato, manager pubblici e direttori di banca. Se in Italia vogliamo fare un discorso serio sulla riduzione delle pensioni d’oro, allora deve valere per tutti e non solo per i politici».