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Che cosa sognano i bambini?

di Francesco Lamendola - 18/06/2010



Avete mai osservato un bambino di due, tre anni, o anche più grandicello, diciamo di cinque o sei anni, mentre è immerso nel sonno; allorché, vinto dalla stanchezza e sazio di corse e di giochi, ad esempio dopo una lunga giornata estiva, crolla nel suo lettino e piomba bruscamente nel paese dei sogni?
È uno spettacolo commovente; ma anche, in qualche sottile maniera che è difficile esprimere a parole, leggermente inquietante; il minimo che si possa dire è che, dietro quelle palpebre chiuse e quell’aria rapita, si cela un grande mistero.
Dov’è quel bambino, mentre dorme profondamente e sogna, come è attestato dai suoi movimenti, dalle parole che gli sfuggono inconsapevolmente dalle labbra; a volte delle frasi intere, ma prive di senso compiuto?
Si ha l’impressione che la distanza che ci separa da lui, anche se fisicamente è di pochi centimetri, in realtà corrisponda a degli autentici abissi dello spazio e del tempo; degli abissi così profondi, così smisurati, che mai potremmo riuscire a colmarli, neppure se vi dedicassimo gli sforzi consapevoli di una intera vita.
Personalmente, abbiamo sempre trovato affascinante questo mistero; abbiamo sempre avuto la netta sensazione che il bambino immerso nel sonno sia paragonabile ad un esploratore che avanza tutto solo, con pochi strumenti a sua disposizione, in una strana terra di nessuno, dove nessun conforto e nessun sostegno potranno mai giungergli dall’esterno.
In un articolo di alcuni anni fa («I bambini vedono cose che noi non vediamo», pubblicato sul sito di Arianna Editrice in data 28/05/07) avevamo sostenuto che i bambini piccoli, e comunque in età pre-scolare, hanno conservato la facoltà di percepire livelli di realtà ormai inaccessibili ai sensi dell’uomo adulto.
Ora vogliamo estendere questa riflessione alla sfera del mondo onirico e domandarci se, quando giacciono immersi nel sogno, ai bambini si manifestino dei contenuti paragonabili, in tutto e per tutto, a quelli degli adulti; o se, al contrario, il mondo onirico dei bambini differisca radicalmente da quello delle persone adulte.
Naturalmente, la domanda preliminare deve essere, per forza di cose, che cosa sia il sogno: e diciamo subito di non accettare l’interpretazione freudiana del sogno come custode del sonno, né come espressione mascherata delle pulsioni dell’inconscio; ma di considerare i sogni, o almeno una parte di essi, come delle finestre spalancate sulla dimensione “altra”, non solo del nostro stesso io, ma del mondo in generale. Una finestra ove cadono i limiti di spazio e di tempo, così come il principio di causa ed effetto: cosa che rende ragione di come, tante volte, i sogni possano essere rivelatori del futuro o di eventi lontani e nascosti che, altrimenti, non ci sarebbe stato mai concesso di conoscere.
Più in generale, crediamo che esistano numerosi piani di realtà, sia al di sopra che al di sotto del nostro abituale stato di coscienza; piani distinti che però, in particolari circostanze, possono divenire comunicanti e consentire - vuoi con apposite tecniche mentali, vuoi per un caso fortuito - di avere accesso a dimensioni parallele alla nostra, di ogni giorno.
Per quanto riguarda i bambini, essi hanno conservato la facoltà originaria dell’uomo antico, di muoversi con qualche consapevolezza su di un tale terreno e di percepire presenze che, all’adulto, rimangono irrimediabilmente precluse; facoltà che tuttora conservano gli animali, ivi compresi quelli domestici che vivono a più stretto contatto con l’uomo: valga per tutti la capacità di percepire l’avvicinarsi di un terremoto o di un maremoto, prima che gli strumenti scientifici più sofisticati abbiano dato alcun segnale di pericolo.
In questo quadro generale rientra anche il discorso sui cosiddetti “amici immaginari” o “compagni di giochi immaginari” dei bambini, o meglio di quei bambini che vivono, per svariate ragioni, in condizioni di relativo isolamento dai coetanei e che dicono di vedere, parlare e frequentare dei bambini che restano invisibili agli adulti, e che questi ultimi dichiarano senz’altro essere delle pure e semplici creazioni della loro fantasia.
Ma siamo proprio sicuri che sia sempre così? Benché ci rendiamo conto di sfiorare un terreno estremamente delicato, vorremmo richiamare l’attenzione del lettore su fenomeni come le apparizioni mariane a dei bambini, per esempio quella di Bernadette Soubirous a Lourdes, nel 1858, o quella dei tre pastorelli portoghesi di Fatima, nel 1917: solo per citare due casi tra i più universalmente noti. Ebbene: la prima reazione degli adulti, ai quali essi riferirono le loro visioni (anche se poi finirono per ricredersi), non fu precisamente quella di liquidare  tali esperienze come delle pure e semplici fantasticherie?
Certo, le visioni e le apparizioni di carattere religioso rientrano in una categoria particolare di fenomeni supernormali (o, se si preferisce, soprannaturali); e in esse rientrano, sia detto per inciso, anche le brutte e pericolose esperienze con entità moralmente non superiori all’uomo, ma inferiori, vale a dire gli spiriti elementali e le creature diaboliche.
Tuttavia, all’origine, il meccanismo è lo stesso: perché se noi ammettiamo, almeno come ipotesi di lavoro, che ai bambini sia consentito di gettare uno sguardo oltre la porta socchiusa delle altre dimensioni, allora dobbiamo essere intellettualmente coerenti e riconoscere che i “compagni di gioco” dei bambini, che nessun adulto riesce a scorgere, potrebbero anche essere realmente gli abitatori di una dimensione parallela alla nostra, ma essenzialmente diversa: con tutte le conseguenze che ne derivano.
Ed ecco che ci stiamo avvicinando al nocciolo del problema. Se il sogno è una via d’accesso alle dimensioni “altre” della realtà, e non semplicemente un gioco - più o meno civettuolo - del nostro inconscio; se nel sogno noi possiamo viaggiare, come gli sciamani siberiani, in luoghi remoti sia di questo, che di altri mondi, fino ai più lontani pianeti spirituali: che cosa ci impedisce di pensare che i bambini, non ancora condizionati dal paradigma mentale proprio degli adulti, basato sui concetti di spazio, tempo e causalità, possano accedere molto più facilmente di noi a tali livelli di esistenza, tanto più che alcuni di essi riescono a farlo anche da svegli?
Certo, sono solamente ipotesi: non stiamo commettendo l’errore di dare per acquisito ciò che è ancora tutto da dimostrare. Ma la parola “dimostrare”, nel nostro universo concettuale impregnato di materialismo, riduzionismo e meccanicismo, ha un significato decisamente troppo limitativo: come negare che la nostra consapevolezza sia molto più estesa del nostro Logos razionale, calcolante e strumentale; e che essa sappia e conosca, per vie diverse da quelle del pensiero logico-matematico, tutta una serie di cose che quello, da parte sua, non sarà mai in grado di “dimostrare”, per il semplice fatto che non riesce a vederle e nemmeno a concepirle?
Dunque: i bambini vivono sul limitare di una consapevolezza diversa da quella dell’adulto. Per essi il prima e il poi, la causa e l’effetto, il qui e il laggiù, non hanno lo stesso significato che rivestono nella mente degli adulti. Per essi tutto è possibile, anche ritornare dal paese della morte: anzi, secondo molti indizi, il vero confine tra l’universo degli adulti e quello dei bambini è dato proprio dall’idea della irreversibilità della morte.
Questo stato di apertura concettuale sul mondo, questa condizione di assoluta disponibilità a credere, a credere con forza e con fiducia incondizionata, fa del bambino quello che è, in confronto all’adulto: un essere qualitativamente diverso, un essere di fede piuttosto che un essere di ragione; mentre le stesse caratteristiche, in un adulto, sarebbero immediatamente bollate come “credulità” e “semplicioneria”.
Ciò significa che, fra il mondo del bambino e quello dell’adulto, non vi è continuità, come vorrebbe una ormai consolidata concezione biologista ed evoluzionista, ma, al contrario, salto, rottura: addirittura una mutazione antropologica. Il bambino e l’adulto non sono i rappresentanti di uno stesso fenomeno esistenziale, colto in due fasi temporalmente diverse: sono due creature differenti in se stesse, con pochi punti di contatto reciproco.
Ma torniamo ai sogni dei bambini.
In virtù della loro disponibilità, della loro apertura nei confronti del reale e del possibile (concetto, quest’ultimo, che essi estendono oltre ogni limite accettabile per l’adulto), del loro atteggiamento non-giudicante nei confronti della realtà, i bambini si trovano nelle migliori condizioni per penetrare con naturalezza nelle dimensioni “altre”, specialmente nel sonno, quando la mente raziocinante entra in uno stato di sospensione e di temporanea paralisi.
Edmund Husserl sosteneva che, attraverso l’esperienza della “epoché”, l’uomo può mettere tra parentesi il mondo empirico e concentrarsi sull’io; ebbene, questo è proprio ciò che facciamo noi tutti nel sogno, e particolarmente ciò che fanno i bambini, per i quali il mondo empirico non è stretto e limitato così come appare a noi, ma infinitamente più ricco di possibilità inusitate e meravigliose.
Il gioco, l’attività fondamentale del bambino e il suo principale strumento di conoscenza del mondo, è il fattore che lo predispone appunto a quello stato di disponibilità psicologica che, nei regni del sogno, dischiude la rivelazione di realtà “altre” e affascinanti, ove mai riuscirà a spingersi l’adulto, corazzato nelle proprie certezze e nei propri pregiudizi razionalisti. Che altro è il gioco, infatti, se non lo sbizzarrirsi dell’anima nei territori che stanno oltre lo spazio, il tempo ed il principio di causa ed effetto; dove tutto è possibile: anche volare su di un tappeto magico al di sopra del mondo e fin sulla Luna, o su qualunque altro corpo celeste?
Una cosa va sempre tenuta presente: noi viviamo in un universo mentale; non solo le cose che vediamo e che tocchiamo con i sensi fisici, ma anche le cose che vediamo e che popolano i nostri pensieri, la nostra immaginazione, i nostri ricordi (e che non sono mai le stesse che vedemmo e che sperimentammo a suo tempo), esistono PER SEMPRE, in qualche piega dello spazio e del tempo parallela a quella in cui si colloca la nostra vita ordinaria.
Ebbene, la stessa cosa avviene nel mondo dei sogni: le cose che vi sperimentiamo non svaniscono al momento del risveglio, ma continuano ad esistere; anzi, per meglio dire, sono sempre esistite fin dal principio, come un sentiero che taglia attraverso il bosco e che era già lì, ben prima che i nostri passi vi stampassero le loro impronte.
Tutto il mondo, in tutte le sue infinte possibilità, è già presente in ogni singolo istante e in ogni singolo atomo di materia/energia; per cui, quando si sogna, non ci si “inventa” delle cose immaginarie, ma si fa esperienza di cose che esistono in una dimensione diversa dalla nostra, eppure ad essa contigua.
I bambini, in questa prospettiva, non fanno altro che esplorare più a fondo, con più sicurezza e con maggiore continuità, lo stesso misterioso territorio che si trova oltre la frontiera della nostra coscienza ordinaria: un mondo che già esisteva e che esisterà per sempre, anche se noi adulti non lo vediamo; proprio come gli elementi di un paesaggio esistono anche se la vista di un osservatore, che spazia dall’alto di una montagna, non riesce a discernerli tutti.
Sarà forse per questo che, mentre sono profondamente immersi nel sonno, i bambini assumono un’espressione indefinibilmente intenta, come se stessero vivendo delle esperienze inesprimibili, delle quali essi medesimi, al risveglio, difficilmente serbano il ricordo? Sarà per questo che sui loro visi passano tutte le ombre e tutte le luci di un’anima che sta sperimentando l’ineffabile, l’indicibile e l’incommensurabile?
Predisposti dalla loro vita da svegli a non dare niente per scontato, nemmeno la “saggezza” degli adulti, e a guardare allo spettacolo del mondo con occhi infinitamente stupiti e ammirati, che meraviglia se, nel sogno, essi balzano audacemente al di là di quelli che noi riteniamo essere i limiti invalicabili fra il possibile e l’impossibile, superando d’un balzo e senza sforzo quelle distanze che noi non riusciremmo a percorrere neppure in tutto l’arco della vita terrena che abbiamo ancora davanti?
No: essi non ricordano più, da svegli, quasi nulla di ciò che hanno visto e sperimentato nel sogno; e, se anche lo ricordassero, non disporrebbero di concetti per comprenderlo, né di parole per esprimerlo. E dunque?
Niente.
Ma cerchiamo di ricordarci di come eravamo noi, un tempo: quando, vinti dalla stanchezza di una lunga giornata estiva fatta di giochi, di sogni, di cavalcate in groppa a uno splendido destriero e di danze di guerra attorno ai fuochi degli indiani, scivolavamo senza alcuna resistenza nel dolce, misterioso, affascinante mondo dei sogni.
Facciamo almeno uno sforzo per ricordare.
Forse, allora, riusciremo a capire meglio perché sul viso dei nostri bambini, mentre li osserviamo dormire immersi nei loro sogni, aleggi quella strana espressione, simile al sorriso enigmatico di chi vede ciò che nessuna lingua al mondo potrebbe mai dire.