Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Hai 2 prodotti nel carrello Carrello
Home / Articoli / Camilo Guevara: "Con l’elezione di Barack Obama non è ancora cambiato nulla per Cuba"

Camilo Guevara: "Con l’elezione di Barack Obama non è ancora cambiato nulla per Cuba"

di Luca Morino* - 18/06/2010

Fonte: Il Fatto Quotidiano

“Con l’elezione di Barack Obama non è ancora cambiato nulla nell’atteggiamento americano verso di noi”


L’Avana. Camilo, il terzo figlio di Ernesto Che Guevara, è nel Centro Studi dedicato a suo padre e situato nella stessa casa, a L’Avana, abitata dal rivoluzionario argentino fino alla sua partenza per il Congo, nel 1965. “Abbiamo iniziato a lavorare agli archivi personali nel 1983 spiega Camilo Guevara e con il tempo abbiamo realizzato numerose pubblicazioni e lavori accademici che hanno reso sempre più complessa la nostra attività. Attualmente siamo in sette, ma con i collaboratori esterni arriviamo a oltre trecento persone che lavorano al progetto: quasi tutti compagni o amici del Che, persone che occuparono incarichi nel periodo in cui faceva parte del governo”. L’immagine di suo padre corrisponde al vero Che e al suo pensiero?
C’è sicuramente una commercializzazione eccessiva dell’immagine del Che.
Spesso viene associata a elementi che hanno poco a che vedere con lui, come una bottiglia di rum o un pacchetto di sigarette. A volte la gente cerca di arricchirsi attraverso il Che utilizzandolo per vendere un prodotto e quando succede questo, di solito, consapevoli o no che siano, in pratica separano l’immagine dell’uomo dalla sua storia, dalla sua ideologia. Pensa che anni fa in Italia, in una manifestazione dichiaratamente fascista, fu visto un tipo che sventolava l’immagine del Che. Non so se fosse lì per protestare contro la manifestazione, tutto può essere, ma la situazione era decisamente ambigua, no?
Che ricordi ha di suo padre? Ero molto piccolo quando partì per il Congo, nel 1965 avevo 3 anni. Quando tornò non poteva violare le norme della clandestinità e per questo ovviamente noi figli non potevamo vederlo. Il giorno in cui partì per la Bolivia era già calvo e venne a salutarci travestito. Quando morì nel ’67 io avevo solo 5 anni: era un uomo che aveva un’enorme responsabilità nel Paese, passava il tempo a lavorare e studiare, anche diciotto ore al giorno. Solo la domenica, dopo il lavoro volontario, veniva a casa e giocava con noi. Questa è stata le mia relazione con lui e non riesco a ricordarlo con chiarezza, non capisco neanche se sia stato parte di un sogno o una costruzione della mia fantasia. Quando girano un film sul Che consultano la sua famiglia?
A volte sì, ultimamente abbiamo lavorato con un regista argentino che si chiama Tristan Bauer e Walter Salles per esempio è venuto a consultarci per I diari della Motocicletta, così come Gianni Minà per un documentario. Per il film di Soderbergh con Benicio Del Toro abbiamo fornito una serie di informazioni storiche molto precise, poi ovviamente hanno fatto scelte artistiche in cui la realtà veniva anche alterata e a quel punto ci siamo fermati. A me sembra che il bilancio di questi ultimi film sia positivo, anche se non sono fatti per insegnare la Storia. Cosa rappresenta oggi il Che per i giovani cubani?
Mi sembra che il Che sia sempre una figura che i ragazzi proteggono e rispettano e funge tuttora come riferimento: quando per esempio una cosa non va bene o dovrebbe essere differente si dice “se ci fosse qui il Che questo non sarebbe successo”. Con questo non voglio dire che sarebbe stato esattamente così perché la vita è molto più complessa, ma questo sentimento, questa speranza, mi sembrano un grande omaggio alla sua vita di sacrifico, intoccabile e limpida. Il Che è sempre stato un uomo onesto.
Crede che i rapporti tra Cuba e Stati Uniti potranno cambiare? Non sono un esperto di politica, però personalmente penso di no. Negli Stati Uniti la vittoria di Obama, ormai quasi due anni fa, non una rivoluzione: è un presidente di colore, però ampiamente sostenuto dal denaro nordamericano. Credo che quello che è successo sia stato un cambio cosmetico. Nessuno ci crede veramente, bisogna cambiare, bisogna dimostrare che è cambiato qualcosa perché per ora non è ancora successo nulla.
Quindi, il giudizio su Obama è negativo? Claro! C’è l’Iraq, l’Afghanistan, c’è la IV Flotta che controlla i Caraibi e il Sudamerica. Perché la lasciano lì? Ci sono le basi militari in Colombia. Cos’è cambiato con Obama? Non è cambiato nulla. Possono cambiare alcuni aspetti all’interno degli Stati Uniti, bisogna vedere se succederà, ma in ultima istanza la cosa importante sarebbe cambiare le cose perché potessero durare nel tempo. Se suo padre fosse ancora vivo?
Io credo che una rondine non fa primavera, però credo anche che non si vedono rondini se non inizia la primavera! Il Che ha sempre fatto capire chiaramente la sua posizione e sapeva perfettamente che non esiste una società che non sia perfettibile, che non si possa migliorare. Di fatto si pensava, quando il Che era a Cuba, che la Rivoluzione cubana fosse una sommatoria risultante da più pensieri e mi sembra che ora il processo di sviluppo storico renda ancora molto più articolato il tema: la cosa certa è che c’è un progetto nazionale che risale a prima che nascessero Fidel Castro, il Che e tutti i rivoluzionari che nel ‘59 trionfarono nel Paese. Questo progetto-nazione antimperialista si è formato quasi naturalmente: a 90 miglia dalle nostre coste il padre della democrazia americana, Thomas Jefferson, già nell’Ottocento scriveva di suo pugno che bisognava conquistare Cuba e... Marx non aveva nessuna colpa di questo! La nostra esperienza si è messa in linea con un progetto che è in alternativa al capitalismo e ci ha mostrato che anche a Cuba possono esserci borghesi, ma non una borghesia nazionale. La borghesia nazionale era legata per forza agli interessi degli Usa. Posso affermare con certezza che il Che approverebbe il progetto-nazione cubano al cento per cento.
*voce e chitarra dei Mau Mau