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Il caso Sarrazin è emblematico della Germania di oggi

di Sergio Romano - 06/09/2010

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All’età di 65 anni e dopo un’onorata carriera nella pubblica finanza nazionale e internazionale, Thilo Sarrazin rivela una doppia personalità. È membro del consiglio direttivo della Bundesbank (la banca centrale della Repubblica federale tedesca) ed è stato, fra l’altro, responsabile della politica finanziaria di Berlino, una delle più indebitate capitali del pianeta (50 miliardi di euro). Al Fondo monetario internazionale, al ministero federale delle Finanze e nel governo del Land Renania-Palatinato Sarrazin si è distinto per la serietà della sua preparazione economica e finanziaria. E nel Partito socialdemocratico, di cui è membro, godeva infine di una eccellente reputazione. Ma ecco che improvvisamente Sarrazin pubblica un libro intitolato Deutschland schafft sich ab (la Germania si autoelimina) in cui denuncia i pericoli dell’immigrazione e rilascia interviste nelle quali dichiara fra l’altro che «tutti gli ebrei hanno in comune un gene particolare». Sono affermazioni che abbiamo udito in questi ultimi anni sulla bocca di molte persone in paesi impeccabilmente democratici. Il dibattito sul problema dell’assimilazione o integrazione di vaste comunità provenienti dall’Africa o dall’Asia comincia in Gran Bretagna negli anni Sessanta e investe progressivamente tutti i paesi europei. Gli ammonimenti contro l’Islam non sono una prerogativa della vita pubblica tedesca e i Paesi Bassi potrebbero avere presto un governo sostenuto dal partito di Geert Wilders, il biondo tribuno antimusulmano per cui il Corano è il Mein Kampf dell’Islam.

Il fatto che alcuni gruppi umani siano distinti da un comune dna è un dato indiscusso su cui molti biologi, antropologi e demografi fondano da molto tempo le loro ricerche. È vero che certe affermazioni, soprattutto se concernono gli ebrei, sprigionano uno sgradevole odore di razzismo e di eugenetica. Ma Sarrazin ha anche detto che Berlino non riuscirà mai a risollevarsi dalle perdite politiche, artistiche ed economiche provocate dalla scomparsa dei 160 mila ebrei che abitavano la capitale prima di Adolf Hitler. È giusto processarlo di fronte alla pubblica opinione e cacciarlo dal consiglio d’amministrazione della Bundesbank?

Il caso Sarrazin ci parla della Germania moderna molto più di quanto non ci parli del suo protagonista. La Repubblica federale ha inequivocabilmente condannato il passato nazista. Lo ha fatto perché molti dei suoi cittadini erano consapevoli dei delitti commessi e della macchia che Hitler aveva lasciato sul volto del loro paese. Ma lo ha fatto anche perché qualsiasi rigurgito di nazismo o razzismo avrebbe suscitato dubbi, sospetti e accuse da cui il paese sarebbe stato profondamente danneggiato. Il ripudio del nazismo e dell’antisemitismo è diventato la nuova ideologia nazionale, professata e praticata con lo stesso zelo collettivocon cui i tedeschi, un popolo naturalmente obbediente, hanno praticato in passato altre ideologie. Trasgredire viene considerato antipatriottico. Ne abbiamo avuto una dimostrazione nel 1998 quando uno dei maggiori scrittori tedeschi, Martin Walser, pronunciò nella Paulskirche di Francoforte un discorso in cui si disse contrario alla costruzione, nel centro di Berlino, di un monumento in memoria del genocidio ebraico. Ne abbiamo ora nuova dimostrazione nel caso Sarrazin. Peccato. Francesco Cossiga ci ha insegnato che la trasgressione, la provocazione e l’eterodossia sono il sale di un regime liberale.