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Scimpanzé: solo l'imbarazzo della scelta

di Joseph D’Agnese - 09/09/2010

   
   

Ho sentito questa storia per la prima volta un anno fa. Stavo intervistando uno scienziato quando ha iniziato a lamentarsi di quanto fosse difficile ottenere uno scimpanzè per scopi di ricerca medica. “Costano molto”, ha detto “e bisogna pagare tutti questi soldi per un programma di previdenza sociale per poterli accudire quando vanno in pensione”. Scimpanzé in pensione? Dove vanno per l’appunto in pensione – e che cosa fanno quando ci vanno? Mangiano banane? Giocano a carte? “Ho sentito dire che li mettono in un santuario in un’isola della Liberia”, ha detto il ricercatore. Non sapeva molto di più di questo, e certo non era il suo compito saperlo. Lui è lo scienziato. Usa gli scimpanzè per rispondere a domande scientifiche. Qualcun altro si occupa di quello che succede dopo.

Nella foto: Billy Jo. Come scimpanzè di laboratorio è stato sottoposto a 43 biopsie epatiche, a tre biopsie del midollo osseo, e a due biopsie dei linfonodi. Mentre finiva l’effetto allucinogeno del farmaco antidolorifico e tranquillante, si è anche staccato i pollici mordendoseli.



Per un po’ di tempo ho pensato di andare in Africa a cercare quell’isola degli scimpanzè. Mi ero immaginato un paradiso, dove gli scimpanzè americani rimpatriati vivessero lontani dall’uomo e lontano dalle gabbie dove un tempo erano stati imprigionati. Ma questa si è rivelata solo una piacevole finzione, una storiella raccontata ai tecnici di laboratorio abbastanza stupidi da fare domande. Da allora avevo osservato gli scimpanzè negli zoo, avevo letto la letteratura scientifica su di loro, e mi ero immerso nel mondo dei santuari di animali che è più strano, più interessante e più inquietante di quanto avessi potuto immaginare.

Diciotto scimpanzè vivono in un paio di isole in Liberia, e la maggior parte di questi sono stati cresciuti sul posto da un laboratorio di ricerca sull’epatite. E i santuari in tutta l’Africa proteggono gli scimpanzè selvatici dai cacciatori di frodo. Nessuno di questi posti accetterebbe gli scimpanzè di laboratorio cresciuti negli Stati Uniti dopo che hanno finito di lavorarci. È per questo motivo che c’è bisogno di santuari qui. Al momento, gli Stati Uniti di scimpanzè ne hanno fin sopra ai capelli. Durante gli anni ’80, le società che rifornivano i laboratori hanno allevato numeri pazzeschi di scimpanzè per far fronte alla richiesta della ricerca sull’AIDS e l’epatite. Non ha funzionato molto bene. Dalla fine degli anni ’90 i ricercatori hanno ammesso che anche se alcuni scimpanzè diventavano HIV positivi, quasi nessuno sviluppava l’AIDS. Almeno 200 scimpanzè sono stati esposti all’HIV, eppure solo in due possono essere morti di AIDS. La ricerca si è spostata sulle scimmie macache. Per un breve periodo il National Institutes of Health, che finanzia molta della ricerca biomedica in questo paese, ha preso in considerazione di sopprimere gli scimpanzè esposti all’HIV quando non servivano più. In seguito il NIH ha deciso di non farlo, in parte perché questi animali fanno parte delle specie in pericolo di estinzione. Ma il surplus è cresciuto – oggi oltre 1600 scimpanzè vivono in varie strutture per primati negli Stati Uniti – e gli uomini hanno incominciato a porsi una seria domanda: che ne facciamo di questi animali?

Durante le sue ultime settimane in carica, il presidente Clinton ha firmato il Chimpanzee Health Improvement, Maintenance, and Protection (CHIMP) Act, che impone un sistema nazionale di santuari per gli scimpanzè da riabilitare, ma ci potrebbero volere due anni prima che siano pronti dei nuovi rifugi. Nel frattempo molti animali dovranno rimanere nei laboratori. Finora, circa 200 scimpanzè sono stati messi in attesa di cessione. Quando gli scimpanzè infine entrano nei santuari, rimane un vincolo: se il proprietario di un santuario accetta denaro dal governo, deve essere preparato a rispedire lo scimpanzè al laboratorio per ulteriore ricerca, se richiesto – una clausola che fa infuriare tutti coloro che credono che strappare uno scimpanzè dal rifugio neghi il concetto stesso di santuario.

Nel 1997 la New York University ha deciso di uscire dal business degli scimpanzè ed ha chiuso il suo laboratorio di medicina sperimentale e chirurgia dei primati. È una storia comune. In tutto il mondo, i laboratori di scimpanzè stanno diminuendo: l’ultima struttura in Europa – nei Paesi Bassi, con 105 scimpanzè – sta per chiudere. La Nuova Zelanda ha bandito la ricerca sugli scimpanzè, e nel Regno Unito non vengono concesse nuove licenze per questo tipo di lavoro. Le uniche altre nazioni che usano ancora gli scimpanzè per la ricerca medica sono il Giappone (370 scimpanzè), la Liberia (18 scimpanzè) e il Gabon (72 scimpanzè).

Quando i laboratori chiudono, gli scimpanzè sono alla mercè di tutti. Dei 250 scimpanzè che hanno contribuito, come dicono in gergo di laboratorio, agli esperimenti nel laboratorio della New York University, 90 sono stati messi in santuari; i rimanenti sono stati trasferiti in altri laboratori. I più difficili da sistemare sono stati quelli che erano stati esposti all’HIV e all’epatite, entrambi [virus]contagiosi per l’uomo.

In seguito, nel 1997 il Fauna Foundation nei pressi di Montreal è diventato il primo santuario nordamericano ad ospitare scimpanzè da riabilitare [che erano stati] esposti all’HIV. Il Fauna era stato un rifugio per animali per quasi 10 anni, e gli scimpanzè si sono aggiunti ad una gruppo eterogeneo di capre, maiali, polli, conigli, cavalli, tacchini, anitre ed oche, cani e gatti, manzi delle Scottish Highland, mucche, lama, emù, rhea [nandù comune], scimmie cappuccine, un guanaco, una pecora di Jacob, un istrice e un asino. Finché Gloria Grow, 46 anni, proprietaria del santuario e suo marito Richard Allan, 49 anni, hanno annunciato la loro intenzione di ospitare 15 degli scimpanzè del laboratorio della New York University, otto dei quali infetti da HIV, il rifugio veniva considerato dai residenti di Chambly come una cosa bizzarra ma innocua. Tutto d’un tratto il comitato locale di progettazione si è opposto a qualsiasi autorizzazione che il Fauna richiedesse. Quando il comitato ha visto i progetti per la costruzione di una casa elaborata e sicura per gli scimpanzè, completa di gabbie, hanno acconsentito. Tuttavia gli insegnanti della scuola elementare hanno effettuato delle esercitazioni [di emergenza], dicendo ai bambini di nascondersi nell’armadio dell’aula qualora dovesse comparire nel bel mezzo uno scimpanzè; e la polizia ha preparato una scorta di tute in Tyvek e di fucili a tranquillanti.

Al Fauna gli scimpanzè vivono in un edificio di circa 2 750 metri quadri che assomiglia un po’ ad un centro di accoglienza diurna. Nonostante le gabbie, le condizioni di vita superano di gran lunga quelle della vita in laboratorio. L’area gioco esterna contiene tavolini da picnic, sedie e altalene; all’interno, le stanze per il gioco a due piani sono piene di giocattoli, coperte, e di altre altalene. Gli scimpanzè possono anche riposarsi in gabbie private che gli danno accesso allo spazio gioco interno, pur tenendoli separati dagli uomini. Possono mangiare frutta fresca e verdure, oppure sfogliare languidamente i cataloghi di Victoria’s Secret [cataloghi di biancheria intima]. La forma umana incuriosisce le scimmie grandi.

Tutti i giorni Gloria Grow e il suo staff preparano tre pasti. Il menu comprende frutta, avena, spaghetti, patate, minestre, verdure cotte al vapore, e riso, e occasionalmente anche la pizza vegetariana e un dolce di compleanno. Il personale mescola ogni giorno litri di succo d’arancia concentrato versandolo con cura in bottiglie d’acqua vuote con il tappo di plastica. “la maggior parte degli scimpanzè sa come svitare [il tappo]” spiega un dipendente, “ma certe volte preferiscono addentare il tappo per staccarlo”.

Un giorno lo scorso ottobre, gli scimpanzè gironzolavano dopo il pranzo, spizzicando il cibo, ripulendosi e giocando con i giocattoli. Alcuni afferravano delle tazze di plastica di tè caldo Tetley dai carrelli posti di fronte alle loro gabbie, sorseggiandolo con attenzione, e ripassavano le tazze attraverso le sbarre senza far cadere nemmeno una goccia di tè. La Grow spazzola la schiena di Tom con una spazzolina. “Fammi vedere le unghie,” gli dice. Tom gliele mostra per l’ispezione. Un altro scimpanzè, Annie che ha 42 anni, la più vecchia ed una madre surrogato per gli altri scimpanzè, vede le spazzole e fa dei cenni attraverso la gabbia per chiederle. “Vuoi la spazzola?” chiede la Grow mentre gliela porge. Annie passa un paio di beati minuti a spazzolarsi delicatamente il pelo.

Alcuni minuti trascorsi ad osservare gli scimpanzè mentre manipolano gli oggetti come le tazze, le bottiglie e le spazzole dimostra subito perché i biologi li considerino i migliori del regno animale ad usare gli strumenti, dopo l’uomo. Oltre ad essere destri, sono intelligenti, forti e spesso aggressivi, specialmente quando invecchiano. Gli scimpanzè sembrano inoltre possedere il senso dell’umorismo, che qualsiasi visitatore del Fauna nota immediatamente: si divertono sia a prendersi in giro vicendevolmente, che a prendere in giro gli uomini. Sputano regolarmente l’acqua a chi li accudisce, cambiando intelligentemente la tecnica per confonderli. Sembrano inoltre comprendere e rispettare le gerarchie sociali: un maschio beta accetta la sua sorte se un maschio alfa gli ruba un’arancia, ma si arrabbia se una femmina di rango inferiore fa lo stesso.

La capacità che hanno gli scimpanzè di imparare può essere umiliante. Nel 1967 lo psicologo Roger Fouts ha insegnato agli scimpanzè come usare il linguaggio dei segni americano, di cui si sono impadroniti per poi insegnarlo ad altri scimpanzè. Dal 1983 la psicologa Sarah Boysen insegna aritmetica semplice agli scimpanzè presso la Ohio State University; nel 1991 ha trovato un modo per insegnargli le frazioni. Nel 1999 il saggio storico scritto da Jane Goodall e da altri otto importanti primatologi ha determinato che gli scimpanzè usano la loro intelligenza per dominare il loro ambiente. Gli scimpanzè sono in grado di codificare il comportamento culturale – come cacciare, come mangiare le formiche, come pulire se stessi e gli altri – e sanno tramandare la loro conoscenza ai loro piccoli. Gli scimpanzè che vivono nelle foreste del Gombe in Tanzania sono stati osservati danzare, a quanto pare per far smettere la pioggia.

Allo stato brado, le bande di scimpanzè vagano nella giungla per 9 fino a 11 chilometri al giorno, unendosi insieme per dare la caccia alle scimmie, che mangiano con gusto, di solito dopo aver fracassato il cervello di queste piccole creature. Questo è il lato degli scimpanzè che l’uomo raramente vede, o che sceglie di non vedere. Ma sanno essere anche gentili. Una volta uno scimpanzè è stato osservato mentre cercava di aiutare un uccello ferito a volare in uno zoo in Inghilterra.


Gloria Grow e Petra di 9 anni .Petra è uno dei 15 scimpanzè sottoposti a test sull'epatite C e HIV alla New York University


Al Fauna, c’è un contatto fisico costante tra l’uomo e gli scimpanzè. Anche il più piccolo graffio o screpolatura sulla mano di Gloria Grow suscita la preoccupazione degli scimpanzè, solitamente [espressa] sotto forma di un bacio. Secondo i parametri del Centers for Disease Control, la casa per scimpanzè del Fauna è una struttura a rischio biologico. Se fosse un laboratorio americano, ai lavoratori verrebbe imposto di indossare tute in Tyvek , occhialini, maschere, o retine per capelli, immondizia obbligatoria indossata dai ricercatori che studiano l’HIV o l’epatite. Ma la Grow e i suoi collaboratori indossano abiti normali, a meno che uno scimpanzè non abbia una ferita aperta o debba essere operato, nel cui caso seguono le procedure asettiche, mettendosi camice e guanti proprio come farebbero con un normale paziente. Credono che se gli animali vengono trattati bene, non faranno del male a chi se ne prende cura. Questa teoria si è finora dimostrata corretta, ma è pur vero che gli scimpanzè lottano tra di loro tanto da aver bisogno di fasciature o di procedure chirurgiche.

Adesso la sig.ra Grow chiama un altro animale: “Billy Jo, c’è il tuo programma [preferito]?” Guarda la tv. “Ah, c’è Rosie. Non ti preoccupare, tra poco inizia Oprah”. La Grow insiste a mantenere gli scimpanzè stimolati. Poiché rimangono nelle gabbie, vuole cercare di contribuire ad intrattenere il loro spirito irrequieto. Ecco quindi la minuziosa preparazione dei pasti, la musica classica che suona lo stereo, le piante di falangio[1] , i pennelli e le tempere, le decorazioni per Halloween, le luci natalizie, le feste di compleanno, il fuoco scoppiettante nella stufa a legna, le strisce di liquirizia rossa e le candele per l’aromaterapia.

Negli Stati Uniti, gli animali da laboratorio rientrano sotto la giurisdizione del Dipartimento per l’Agricoltura, che ispeziona i laboratori e fa rispettare l’Animal Welfare Act del 1985. Secondo questi criteri, gli scimpanzè del Fauna venivano trattati bene nella loro vita precedente: ricevevano sufficiente cibo e riparo, le gabbie erano pulite, e gli veniva data ogni tanto un’arancia o un giocattolo. Ma la Grow, insieme ad altri considera questi standard troppo bassi e vuol fare di meglio. “Voglio che siano felici”, dice la Grow. “Per trattare bene gli scimpanzè, bisogna trattarli come si tratterebbero le persone che sono state vittimizzate. Perché loro sono stati vittimizzati. Terribilmente. Quello che hanno dovuto passare è orribile”.

Annie, per esempio, è nata in Africa, probabilmente nel 1959, poi è stata catturata e spedita negli Stati Uniti. Ha dato la sua vita agli esseri umani per oltre 35 anni – almeno 15 in un circo, seguiti da altri 21 anni in laboratorio come animale da riproduzione. Quando si rifiutava di accoppiarsi è stata inseminata artificialmente. Il suo nato è stato trasferito in un’altra struttura quando aveva tre anni. Un altro scimpanzè del Fauna, Rachel, è nata all’Institute for Primate Studies di Norman, nell’Oklahoma, nel 1982. Rachel è stata venduta per 10 000 dollari come animale domestico, ma è finita in un laboratorio della New York University quando i suoi proprietari hanno divorziato. Rachel, che era cresciuta facendo il bagno con il bagnoschiuma e camminando impettita indossando vestiti, ha poi trascorso gli 11 anni successivi isolata in gabbia. Oggi occasionalmente ha delle crisi in cui scoppia ad urlare o a graffiare, avventandosi sulla sua stessa mano, a quanto pare perché crede che [la mano stessa] la stia attaccando. Le crisi sono in parte diminuite da quando è arrivata al rifugio Fauna nel 1997, ma ha ancora il corpo coperto di piaghe che si è autoprovocata.

“Jeannie doveva essere soppressa – l’hai conosciuta?” chiede la Grow. Lo staff del Fauna ha dovuto sottoporre Jeannie, uno scimpanzè esposto all’HIV, ad un trattamento medico per bloccare le sue crisi, durante cui si strappava le unghie e attaccava qualunque scimpanzè o persona che si trovasse nelle sue vicinanze. Ha avuto un esaurimento nervoso prima di arrivare qui, ma ha fatto grandi progressi. Come tutti gli altri. Si sono un po’ ingrassati, hanno il pelo più folto e lucido. Dormono meglio la notte. Non ci sono così tanti litigi come quando sono arrivati qui per la prima volta, ed hanno imparato a vocalizzare di più come dei veri scimpanzè”.


Dopo anni trascorsi dentro gabbie che misurano appena 1,5 x 1,5 x 2 metri, gli scimpanzè arrivano al Fauna Foundation senza alcuna capacità di interazione sociale. Lentamente imparano a gironzolare nelle stanze da gioco, dove i giochi che preferiscono fare sono il cucù e il nascondino. Quando sono ansiosi – una cosa frequente – possono ritirarsi in piccole gabbie per stare da soli


Il budget annuale del Fauna per l’intero rifugio è di $ 60 000 dollari americani. I costi per il cibo sono pari a $ 40 000 dollari e il resto copre le spese per le medicine e per le prime necessità come la paglia per le lettiere, gli utensili e le riparazioni degli strumenti. Di questo budget, in un anno fortunato, $15 000 dollari proverrano da donazioni private. Il Fauna non è eleggibile per ricevere sovvenzioni secondo il CHIMP Act perché il santuario si trova in Canada. La Grow dice che non farebbe mai domanda per un finanziamento anche se il Fauna fosse eleggibile, a causa del vincolo per i proprietari del santuario di restituire gli scimpanzè al laboratorio su richiesta: “non li rimanderei mai lì. Chi lo farebbe?” La maggior parte del reddito operativo viene da un’attività di tolettatura per cani e dalla clinica veterinaria di Allan. La prima sera della mia visita, Allan, un Canadese Francese che cura gli animali alla periferia di Montreal da 27 anni, è arrivato a cena con il camice e sembrava esausto. Entusiasta del fatto che il Fauna sarebbe stato l’oggetto di questo articolo ha scherzato “di’ che abbiamo bisogno di soldi”.

Recentemente in una mattina fredda e piovigginosa, la sig.ra Grow stava tagliando verdure fresche per i conigli e per i maiali quando sua sorella Dawna Smith, che lavora nella casa per scimpanzè, è arrivata davanti alla stalla con una scoppiettante Volkswagen. “Sali” ha detto alla Grow. “Ho bisogno che tu dia un’occhiata a Pablo”.

“Che gli è successo? Stava bene ieri sera”.

“Sali”.

Al rifugio lo scimpanzè di 30 anni che pesa quasi 90 kg fa fatica a trovare una posizione comoda nel suo giaciglio – una pila di coperte su una piattaforma alta 3,5 metri all’interno della casa. Non ha pace. Prima si mette seduto, poi si alza, ripetendo la sequenza di continuo: sedersi, alzarsi, sedersi, alzarsi. Respira ansimando costantemente.



Pablo


Pablo sta male dal giorno del suo arrivo, cinque anni fa. Un inverno ha sviluppato una tosse che le lastre hanno confermato essere dovuta ad una bronchite. I farmaci lo hanno aiutato, ma ogni autunno la Grow si preoccupa che a Pablo ritorni la tosse. Ma non l’ha mai visto comportarsi così. Sale di corsa su una scala a chiocciola per offrirgli altre coperte, un antibiotico, e un Tylenol. Lo scimpanzè dalle grandi labbra accetta con gentilezza le coperte, ma sputa le pillole. La sig.ra Grow corre fuori a cercare il marito, che è impegnato a spargere un carico di pacciame di cedro rosso che qualcuno ha appena donato alla fattoria. L’attività di Allan, [che si occupa] principalmente di cani e gatti, non l’ha preparato per la varietà di animali che adesso ospita e di cui si prende cura. Per prepararsi all’arrivo degli scimpanzè, ha trascorso qualche giorno presso il laboratorio della New York University con il veterinario James Mahoney.

“Che cosa credi che sia?” chiede la Grow.

“Sta morendo” risponde Allan fissando la gabbia.

Ma la Grow non se lo vuol sentir dire. Suo marito parte spesso dal presupposto che le cose che si possono fare per [aiutare] un animale non sono tante, specialmente se si tratta di un animale selvatico che non si lascia fare una visita approfondita. Ma la Grow è stata cresciuta nella convinzione che si dovesse fare di tutto per aiutare gli animali malati. Suo padre, un elettricista, non ci ha pensato due volte a spegnere il suo camioncino nel bel mezzo del traffico dell’ora di punta per salvare un gabbiano ferito. Adesso, sotto lo sguardo della moglie, Allan telefona a Mahoney e gli lascia un messaggio in segreteria, poi esce di nuovo per riprendere la pacciamatura.

Passano le ore. All’ora di pranzo, la Grow, sua sorella, i dipendenti, e i volontari mangiano in silenzio una minestra e le melanzane in casseruola. Quando arriva Allan per lavarsi, la Grow gli chiede “che cosa credi che dovremmo fare?”

“Cosa dovremmo fare?” ripete Allan. “dobbiamo aspettare fino a domani e vedere come sta”.

“Aspettare? Se fossi uno dei tuoi pazienti, pensi che vorrei sentirmi dire questo?”

“E tu che vuoi fare? Sedarlo?” dice Allan.

Quando Allan si alza per uscire dopo il pranzo, la sig.ra Grow gli domanda nuovamente quale creda che sia il problema. Le ripete le due parole che ha pronunciato la mattina. Le sue parole trafiggono l’aria, e già se ne è andato. La sig.ra Grow rimane a ponderare sul significato delle parole con un gruppo di donne. Pablo non può morire, decidono lei e il suo staff. Ha solo 30 anni; gli scimpanzè in cattività possono vivere fino a 60 anni. Sua sorella non è d’accordo. “Il fatto è che, Richard ha avuto sempre ragione” dice con un tono misurato.

Mahoney telefona alle due del pomeriggio. Il grande scimpanzè sta ancora male, ansima faticosamente. Ha bevuto un po’ di succo con gli antibiotici ma l’ha rivomitato. Mahoney fa delle possibili diagnosi: polmonite, problema cardiaco, o un volvolo intestinale. Dal passato di Pablo, sembra probabile una polmonite. Allan riceve istruzioni di fare tre iniezioni, una dopo l’altra: una di antibiotico, una di diuretico, e una di cortisone per lo shock. Se Pablo ha una polmonite dovrebbe sentirsi meglio dopo la prima iniezione. Allan lascia il telefono e si affretta a prendere la sua borsa.

Nei laboratori gli scimpanzè sono addestrati a porgere le braccia per i prelievi ematici. Pablo ha sempre opposto resistenza, quindi è stato sempre sedato – “messo a dormire”, come dicono i tecnici di laboratorio, con una pistola lancia freccette. Allan teme di dover usare le freccette per la prima volta in assoluto al Fauna. Ma quando Pablo vede l’ago, sporge il braccio verso l’esterno. Allan è meravigliato. “A questo giovanotto non sono mai piaciuti gli aghi, ma mi ha porto il braccio. Non ha fatto storie”.

Qualche minuto dopo le iniezioni, Pablo si stende a terra e chiude gli occhi. La sua faccia è immobile; un braccio nero ciondola fuori dal giaciglio. Allan apre attentamente il cancello di accesso alla casa degli scimpanzè, e sua moglie sale di corsa su per la scala. Prende la mano di Pablo e sente uno spasmo. La vita se ne sta andando via dal corpo della grande scimmia. Inizia a piangere, ma riesce ad aiutare a trasportare il corpo sul pavimento. Allan conferma che è morto, e la sig.ra Grow insiste che tutte le persone escano dalla zona recintata per dare agli altri scimpanzè la possibilità di vedere Pablo.

Normalmente, quando muore uno scimpanzè di laboratorio, muore da solo in una gabbia e viene subito portato via. La sig.ra Grow crede che gli scimpanzè debbano poter vedere tutto. In un paio di occasioni Allan ha fatto operazioni chirurgiche in cucina, dove tutti gli scimpanzè potevano vederlo. “Quando morirò” dice la Grow, “voglio essere messa proprio qui dove mi possono vedere tutti e capire che me ne sono andata”.

Quindi, mentre la Grow e il suo staff siedono piangendo fuori dal recinto, gli scimpanzè si accostano a Pablo. Da soli o in coppia, gli toccano le braccia, gli aprono gli occhi, lo puliscono, gli massaggiano l’addome gonfio. Annie gli versa una tazza di succo nell’orecchio. La Grow crede che possa essere un tentativo di infastidire Pablo per svegliarlo. Dopo poco tempo, gli scimpanzè se ne vanno via, fischiando. I fischi diventano grida, e ben presto nelle mura della casa degli scimpanzè riecheggia il suono dei pugni che battono contro le sbarre di acciaio. La notte della morte di Pablo, Allan fa una veloce autopsia, ma né lui, né i suoi colleghi hanno avuto molta esperienza nel maneggiare un grosso animale potenzialmente infetto. La sua clinica veterinaria è ben equipaggiata di tute in Tyvek e di guanti in latex, ma non ci sono maschere né occhialini. Tutto sembra troppo piccolo per la corporatura di Pablo: la porta sul retro della clinica, la tavola operatoria, e specialmente il freezer in cui Allan e la sig.ra Grow in lacrime mettono il corpo una volta terminata la procedura.


Regis, a cui piace anche suonare il flauto e disegnare, adora guardare la tv. Il Playboy Channel è sempre il canale preferito di molti scimpanzè.


Passati diciotto giorni, dopo che la sig.ra Grow ha pregato inutilmente svariate agenzie di eseguire un’autopsia ufficiale, il department of health di Montreal ordina che un patologo presti servizio alla scuola di veterinaria di Saint-Hyacinthe. La causa immediata del decesso viene indicata come un’infezione polmonare acuta, ma il medico che ha esaminato il corpo ha anche riscontrato un’infezione addominale e una lieve epatite. Internamente, gli organi dell’animale erano segnati da spesse cicatrici fibrose, molto probabilmente causate da varie procedure. Per fare una biopsia ad un animale, un tecnico usa un punch per prelevare un pezzo di tessuto. Questa procedura lascia un grosso buco che in caso di infezione, potrebbe richiedere anni per guarire. Pablo era vulnerabile alle infezioni anche per un altro motivo. Le freccette lanciate da una pistola ad aria compressa sono per definizione non sterili; ogni penetrazione porta dei germi dalla superficie della pelle dell’animale dentro il suo corpo.

Secondo il suo dossier di ricerca, Pablo, conosciuto come il Ch-377 al laboratorio della New York University, era stato colpito con le freccette 220 volte, una volta accidentalmente nel labbro. Era stato sottoposto a 28 biopsie epatiche, due biopsie del midollo osseo e due biopsie dei linfonodi. Nel suo corpo sono stati iniettati quattro volte dei vaccini sperimentali, uno dei quali conosciuto come un vaccino per l’epatite. Nel 1993 gli è stata iniettata una dose 10 000 volte superiore alla dose letale di HIV. Questo scimpanzè dal petto a forma di barilotto era scampato all’AIDS ed aveva tenuto a bada l’epatite, per poi morire di infezione, aggravata da anni di freccette, aghi e biopsie.

“Abbiamo sempre saputo che gli scimpanzè avevano molti problemi” ha detto la Grow due mesi dopo la morte di Pablo. “Ma abbiamo sempre pensato che fossero problemi di cui ci potevamo occupare – perché erano problemi esterni. Ora stiamo imparando che ci sono molte cose che accadono dentro di loro di cui non potremo mai sapere niente. Annie sta male adesso. Jeannie sta male adesso. Quello che è successo a Pablo non è stato inconsueto; è stato nella media”.

Gli attivisti insistono che una scienza senza animali c’è già – sotto forma della ricerca in vitro, dei dati raccolti dalle autopsie, l’osservazione clinica e l’epidemiologia. Ma gli scienziati che lavorano con gli scimpanzè dicono che le inoculazioni, le biopsie, e le sedazioni, sono incresciose, ma necessarie. “Credo che l’idea di lavorare sugli esseri umani sia una sciocchezza,” dice Alfred Prince, l’ematologo a capo della ricerca sugli scimpanzè in Liberia. “I comitati etici negli ospedali stanno adottando una linea sempre più dura, e il lavoro che si può effettuare sulle persone è sempre meno. Probabilmente avremo sempre bisogno di modelli animali … credo che la risposta giusta sia che se si deve lavorare sugli scimpanzè, bisogna trattarli veramente bene”. Altri ricercatori, compreso il primatologo Roger Fouts, crede che potrebbero essere ormai contati i giorni in cui sentiamo pronti a mettere a repentaglio una specie a rischio di estinzione per il nostro bene. Fino a quel momento, continuerà la ricerca, e le persone come Gloria Grow si troveranno a gestirne le conseguenze, come ha fatto il gennaio scorso, quando Annie, la gran dama della casa degli scimpanzè, è morta. Il suo corpo è in attesa di un’autopsia. Poi verrà portato, come quello di Pablo, in un crematorio locale che offre i suoi servizi gratuitamente al Fauna Foundation. La sig.ra Grow vorrebbe seppellire un po’ delle ceneri di entrambi gli animali nel santuario. La prossima primavera Jane Goodall porterà il resto delle ceneri con sé in Tanzania per spargerle nelle foreste del Gombe, dove gli scimpanzè danzano per far smettere la pioggia.


Fonte: http://discovermagazine.com
Link: http://discovermagazine.com/2002/may/featchimp/?searchterm=Pablo


Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di MICAELA MARRI

Risorse web:

per saperne di più sul Fauna Foundation, visitate il sito web: www.faunafoundation.org /

I santuari per scimpanzè negli Stati Uniti comprendono il Center for Captive Chimpanzee Care (www.savethechimps.org ) e il Primarily Primates (www.primarilyprimates.org ). Il Chimp Haven, un santuario finanziato dal governo federale che ospiterà almeno 200 scimpanzè, sarà costruito vicino a Shreveport, in Louisiana (www.chimphaven.org ).

Per sentire il parere di chi è favorevole alla ricerca sugli animali, vedere il sito della Foundation for Biomedical Research: www.fbresearch.org

L’associazione Americans for Medical Advancement è una onlus che si oppone alla ricerca biomedica su basi scientifiche: www.curedisease.com

[1] Ndt. Le piante di falangio, o “spider plant” sono originarie dell’Africa e si crede che abbiano la proprietà di purificare l’aria degli ambienti chiusi.