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Da Tbilisi a Mosca

di Gianni Petrosillo - 06/10/2010



Sono trascorsi poco più di due anni (8 agosto 2008) dal conflitto lampo che ha opposto Georgia e Russia per i territori contesi di Ossezia del sud e Abkhazia. Ad oggi, la comunità internazionale occidentale non ha voluto riconoscere ufficialmente i due stati che pure si sono appellati al precedente kosovaro per vedersi confermati i propri diritti di autodeterminazione, mentre Russia, Nicaragua, Venezuela e Nauru (piccola isola del pacifico di soli 10.000 abitanti) hanno asseverato l’indipendenza delle due repubbliche caucasiche.
Se la situazione per Mosca è ormai stabilizzata e sotto controllo, al contrario Tbilisi non accenna a sopire le provocazioni nei confronti dell’ingombrante vicino, facendosi forte dell’appoggio statunitense e di quello europeo proiettato a portare, il più presto possibile, la Georgia nella Nato, sbarrando così il passo all’espansionismo russo sulle sue precedenti aree di pertinenza geopolitica. Per questo la strategia del Presidente Mikhéil Saakachvili, dopo essere naufragata sul terreno strettamente militare, si è indirizzata su quello culturale e diplomatico. E’ in corso in Georgia una rivoluzione identitaria che ha lo scopo di recidere il vecchio sistema di valori e di tradizioni, ancora legato alla memoria russa e sovietica, per dare seguito ad una piena occidentalizzazione del tessuto nazionale in ogni sfera sociale. Del resto, è lo stesso Presidente georgiano ad ammettere il profondo cambiamento perseguito che andrà avanti anche se si dovranno stravolgere gli approdi di decenni di Storia e di convinzioni  ideali sedimentate. Tuttavia, non si è mai visto che un amor di patria e uno spirito nazionale condiviso possano sorgere soltanto sul terreno della mitologia (oggi quella della democrazia all’americana e dei diritti umani) togliendo al passato (quello reale) e al comune sentire nazionale formatosi nei secoli (che non si fabbrica nei laboratori della postmodernità quale maschera ideologica della dominanza Usa) un ruolo fondativo decisivo. Nel dettaglio, l’azione presidenziale di Saakachvili si sostanzia in un iperliberismo in campo economico, nella definizione di nuovi assetti costituzionali nell’alveo politico per regolare l’azione dei partiti e quella amministrativa all’interno della macchina statale (ricalcando l’esempio europeo e statunitense) e nella riforma del sistema educativo dove l’inglese diventerà la seconda lingua mentre il russo sarà completamente messo da parte. Per quanto riguarda l’economia, dicevamo che la ricetta di Saakachvili non si discosta dai sempiterni dettami degli organi economici internazionali, tipo FMI e la Banca Mondiale, i quali predicano meno Stato e spese sociali e più deregulation. Il Presidente, in una recente intervista, ha ribadito che non si tornerà indietro dalla strada intrapresa verso la democrazia e l’euroatlantismo, tutti elementi che convinceranno i partner occidentali ad utilizzare la Georgia quale ponte privilegiato tra Vecchio Continente ed Asia Centrale. Per di più, anche se l’euroburocrazia ha richiamato Tbilisi ad una maggiore cautela in materia di liberalizzazioni e privatizzazioni, oggi Saakachvili ribadisce le sue convinzioni sostenendo che sarà l’Europa ad adeguarsi alla sua linea economica. Lo Stato, per il leader georgiano, non può essere un assistente sociale e l’unica via per uscire dalla crisi è quella di spingere l’acceleratore sulle deregolamentazioni nel settore pubblico e privato. Per chi e con quali obiettivi stia lavorando il capo del Movimento Nazionale è fin troppo chiaro, ma questo non sembra essere compreso dai governanti europei che si ritroveranno l’ennesima spina nel fianco dopo quelle rappresentate dagli altri paesi dell’est già entrati nell’Unione che hanno fatto più volte inceppare il suo processo decisionale. In Georgia cresce vertiginosamente il malcontento di molti settori sociali (compresi quelli della polizia e forze armate) che rende il Paese molto meno stabile di quel che pensa il suo Presidente. Le fantomatiche riforme politiche di cui si pregia Saakachvili - imposte all’opposizione attraverso la fissazione di regole del gioco sbilanciate sulle forze governative - creano vasto disagio istituzionale e caos amministrativo che senza aiuti esteri, in mezzi e uomini, assicurati alla Georgia da Usa e Ue avrebbero già scatenato qualcosa di molto simile al colpo di palazzo colorato di cui il presidente fu artefice nel 2003. Infine, è in subbuglio il sistema educativo umiliato nel suo sapere e nelle metodologie didattiche che secondo “Misha” non rispondono al corso di modernizzazione da lui “mirabilmente” indicato alla nazione. I professori, se vogliono continuare a svolgere il proprio lavoro, dovranno piegarsi ai nuovi dettami culturali sanciti dal governo che, tuttavia, si sostanziano in un unico principio regolatore: più inglese (e americanismo) e zero russo. Per il resto, si tratta dei soliti must dell’epopea globalista contemporanea, cioè diffusione di Internet, accesso e approccio innovativo alle tecnologie e massima espansione dell’ideologia dei diritti umani nei programmi educativi, con l’obiettivo di neutralizzare i retaggi della cultura sovietica e del periodo del socialismo reale. Di qui il ricorso a diversi e aggiornati manuali scolastici avulsi dai “passatisti valori sovietici” e dai temi del pensiero marxista. In tal senso, diventa però paradossale che mentre in Russia un georgiano venga riabilitato e innalzato ad esempio di patriottismo da Putin, nel suo paese natale lo stesso uomo (Stalin) sia seccamente ricacciato tra i mostri di un’epoca storica da cancellare. Questi scenari eccessivamente ambiziosi sono però inficiati dai fatti e dalla disastrosa situazione sociale in cui versa la Georgia. L’establishment georgiano è in verità così indebolito e screditato che il prossimo ingresso nella Nato o nell’Ue diventa per esso una questione di vita o di morte. Chissà se basterà affidarsi ad un gendarme mondiale sempre più delegittimato e ad una burocrazia  sovranazionale priva di progettualità per non finire ancora nell’orbita egemonica russa che questo condottiero caucasico, allevato nelle migliori Università Statunitensi, percepisce ovviamente come deleteria per il futuro dell’oligarchia alla quale appartiene.