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La farsa di medio termine

di Giacomo Gabellini - 07/11/2010


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Deve apparire davvero lontanissimo, al presidente Barack Obama, quel 4 novembre di due anni fa, quando i suoi discorsi infarciti di retorica di quart'ordine gli permisero comunque di aprirsi un varco, di far breccia nei cuori di milioni di americani, popolo storicamente "sensibile" (per non dire altro...) al fascino che emanano quei particolari individui dotati delle capacità sufficienti per parlare per ore ed ore di "pace", di "cambiamento", di "ecologia" e di altre emerite idiozie consimili.

Come è noto, le elezioni di medio termine sono comunemente considerate negli USA alla strenua di vere e proprie cartine tornasole, utili a saggiare gli umori del popolo nei confronti dell'amministrazione reggente e delle sue scelte politiche. Al momento pare che il tonfo di Obama e la speculare risalita di china dell'ala dura del partito repubblicano sia sintomo di una ritrovata "islamofobia", risvegliata dal suo recente torpore grazie alle tante punture di spillo assestate dai recenti "attentati" all'amatriciana compiuti dai vari “Mutanda” Bomber, Al Awalaki, e compagnia bella, tutti sedicenti membri dell'altrettanto sedicente "Al Qaeda" (leggi: "La base"). Dagli attentati dell'11 settembre, passando per le corrispondenze postali infettate con l'antrace. Oggi siamo ai toner "esplosivi" (roba da manicomio) che proverrebbero, così dicono dalle parti del Pentagono, dallo Yemen. Il piatto è servito. I repubblicani sono quello che sono, come sempre foraggiati dalle potenti lobbies belliche e petrolifere, e stanno cercando in ogni modo di trovare il casus belli, una sorta di odierno incidente del golfo del Tonkino, che consenta loro di acquisire il consenso necessario per estendere l'area del conflitto mediorientale. L'odierno Obama a corto di credibilità, se ha davvero intenzione di salvare il salvabile, non può far altro che assecondare le smanie repubblicane, e riaffermare, in perfetta simmetria con i neocons, il "sacrosanto" ruolo degli Stati Uniti, cioè quello di tutori del (dis)ordine mondiale, con buona pace dei tanti utili idioti radical chic che affollavano, e affollano ancora oggi, i lussuosi ed altrettanto ridicoli salotti romani (e non). L'Iran è da tempo nel mirino, ed è solo in virtù dei clamorosi fallimenti afghano ed iracheno che non ha avuto luogo alcuna azione militare nei suoi confronti. Lo nota persino il noto editorialista David Broder del prestigioso (sic!) Washington Post, che ingaggiando una guerra con l'Iran non solo si eliminerebbe la fantomatica "minaccia nucleare" numero uno, ma si risolverebbero anche molti dei problemi legati all'odierna congiuntura di crisi (come la disoccupazione); in poche parole, aggredendo l'Iran si coglierebbero due piccioni con una fava. Specularmente, ovvero negli ambienti della cosiddetta "informazione scorretta", sulle tante "ricostruzioni ufficiali" dei fatti si è recentemente calata la scure di Wikileaks, il cosiddetto "sito di controinformazione" che in un batter d'occhio avrebbe acquisito svariate centinaia di migliaia di documenti segreti che acclarerebbero, ad onta delle edulcorazioni rese pubbliche dal Dipartimento di Stato e dal Pentagono, le pesantissime responsabilità oggettive di Libano, Siria e, ciliegina sulla torta, Iran nel foraggiamento della guerriglia scita in Iraq, da considerare, si capisce, l'unica responsabile dei sanguinosissimi eccidi perpetrati sulla pelle dell'inerme popolazione sunnita. E se lo dice Wikileaks, come suggerisce la semi totalità della stampa occidentale, non si può (o forse non si deve) che crederci. Siamo agli sgoccioli, il "nemico" è stato individuato e il terreno per l'attacco spianato dalla consueta canea mediatica, il che significa che ci troviamo di fronte all'ennesima riconferma del fatto che il tanto decantato passaggio di testimone da Bush a Obama, lungi dal portare quel "cambiamento" su cui i tanti sinistri europei avrebbero scommesso un occhio della testa, si è rivelato null'altro che un arretramento tattico che non è andato ad intaccare minimamente la linea strategica fondamentale dell'imperialismo statunitense.