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Lo schiaffo

di Giacomo Gabellini - 11/11/2010



Con l'arroganza di sempre, con l'ostentata sicumera di chi è abituato a imporre e disporre senza chiedere il permesso a nessuno, il signor Benjamin Netanyahu ha assestato quello che è con ogni probabilità il colpo definitivo all'esilarante processo di pace, corrispondente alla sua recente decisione di avviare i lavori per la costruzione di 1300 nuovi appartamenti israeliani nell'area orientale di Gerusalemme, quella abitata dai palestinesi.

Sia chiaro che la mossa tattica in questione non deve affatto stupire, poiché rientra a pieno titolo nella strategia sionista di occupazione totale di Palestina e Cisgiordania, finalizzata alla realizzazione del disegno sionista della "Grande Israele" dal mar Mediterraneo al fiume Giordano. Dal canto loro, i facinorosi strateghi dell'amministrazione Obama, piuttosto attenti alle direttive impartite da Zbigniew Brzezinski, non vedono affatto di buon occhio questa scelta, in quanto andrebbe sicuramente a fomentare ulteriore instabilità e ingovernabilità in un'area già di per sé complessa e caotica come quella mediorientale, entro la quale si giocano i futuri rapporti di forza nell'imminente assetto multipolare. Tuttavia dal Dipartimento di Stato la signora Clinton non si è spinta oltre l'esprimere il proprio disappunto, dimostrando ancora una volta che Israele, lungi dall'essere quel feudo degli USA come sostenuto da molti, è in realtà un paese dotato dei requisiti necessari per portare avanti una propria politica estera, decisamente autonoma e spesso contrastante con gli interessi dello storico alleato d’oltreoceano. Brzezinski era stato chiaro su questo punto, e aveva a tempo debito invitato i suoi "allievi" dediti attivamente alla politica a guardarsi bene dall'appoggiare incondizionatamente l'imperialismo Israeliano, la cui belluina aggressività non avrebbe fatto altro che mettere a repentaglio gli interessi statunitensi nell'area. Tuttavia i superficiali e ignoranti ideologi neoconservatori rigettarono in toto la visione di Brzezinski, e optarono per assecondare in tutto e per tutto le oscure brame di Tel Aviv, lanciandosi a capofitto nel terribile pantano iracheno. Molti hanno letto l'aggressione statunitense all'Iraq in pura chiave kautzkyiana, in termini cioè meramente colonialistici. Una guerra, in poche parole, finalizzata all'appropriamento totale delle materie prime presenti in enorme quantità nel sottosuolo del paese aggredito. Si tratta di una visione minimalista e semplicistica delle attuali dinamiche geopolitiche, che si prodiga a ridurre ad un solo attore (gli USA) l'intero movimento imperialista, laddove il famigerato "Project for a New American Century" (PNAC) parla chiaramente di imporre Israele quale potenza egemone nell'intera area mediorientale, ed è proprio nel documento in questione e nei loschi individui che l'hanno redatto che vanno ricercate le origini dell'aggressione all’Iraq. Il PNAC è un documento partorito da una congrega di pensatori idealisti, secondo i quali gli Stati Uniti dovrebbero far tesoro del successo conseguito al termine della Guerra Fredda, e impegnarsi attivamente per imporre una sorta di "pax americana" al resto del mondo; una "pace calda" da piegare in toto agli interessi statunitensi per mezzo di una politica estera aggressiva e poco incline al compromesso. Guarda caso, i redattori del documento sono una congrega di ideologi e affaristi particolarmente legati alle lobbies petrolifere e militari, la maggior parte dei quali sono ebrei marcatamente sionisti. Gente come Wolfowitz, i fratelli Kristol, Kagan e compagnia cantante, che considerano Israele come un'appendice mediorientale degli USA di cui appoggiare incondizionatamente le mosse. E' dalle viscere di questa distorta e folle visione geopolitica che è nata la guerra all'Iraq, ed è sempre da esse che provengono le continue pressioni per ingaggiare uno scontro con l'Iran, l'unica potenza in grado di opporsi efficacemente ad Israele in quell’area specifica. In ogni caso, gli ebrei sionisti neoconservatori sopra citati non sono certo piovuti dal cielo, ma rappresentano effettivamente le potentissime lobbies ebraiche installate negli Stati Uniti; quelle, per intendersi, che hanno a suo tempo permesso a Israele di dotarsi di un poderoso arsenale nucleare proprio in barba, tra gli altri, al fido Zio Sam, ai cui "nipotini" non rimase altro che fare spallucce mentre il famigerato capo del Mossad Rafi Eitan (salvo poi bollarlo come “persona non grata negli Stati Uniti) architettava e coordinava efficacemente un'operazione internazionale finalizzata alla sottrazione di quasi cento chili di uranio arricchito dall'impianto statunitense NUMEC, dislocato in Pennsylvania. Solo gli ingenui e i prezzolati commentatori possono seriamente negare il peso soverchiante che le suddette lobbies sono storicamente in grado esercitare sulle scelte di politica estera statunitense, in specie alla luce di vicende come quella sopra descritta, che sono più che sufficienti a dimostrare che Israele, nella maggior parte dei casi, non è affatto un servo degli USA, e che quando agisce non deve attendere nessuna "luce verde" e nessun "nulla osta" da Washington.  E’ proprio per questo che al giorno d’oggi Netanyahu  può sputare sul piatto in cui ha abbondantemente mangiato per anni, voltando apertamente le spalle a Washington per quanto riguarda la risoluzione da adottare nel cosiddetto “processo di pace”. Sia chiaro che il “processo di pace” non è altro che una messa in scena da cui i legittimi rappresentanti di Hamas sono stati arbitrariamente estromessi a beneficio dello squalificato Abu Mazen, un burocrate che ha da tempo scelto la via breve del suicidio, svendendo pezzo per pezzo la Palestina a lorsignori e rimettendo i destini del popolo che non ha alcun diritto di rappresentare nelle “amorevoli” mani di Netanyahu e degli altrettanto angelici e “morali” (definizione affibbiata loro dal grottesco “nouveau philosophe” Bernard Henry Levy alla vigilia dei massacri di Sabra e Chatila) generali dello Tsahal. La verità è che Israele è fortemente tutelato da molti poteri forti, cosa che mette i suoi arroganti rappresentanti nelle condizioni di schiaffeggiare pubblicamente un presidente degli Stati Uniti, che per non fare l’ennesima figuraccia internazionale continua ad incassare in silenzio, ostinandosi a tener viva artificiosamente una trattativa arcidefunta, moribonda fin dall’inizio, che nessuno è effettivamente interessato a concludere.