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La nuova età dell'oro

di Miro Renzaglia - 16/11/2010

Fonte: glialtrionline



La notizia è del 5 novembre: il metallo giallo ha fatto segnare un nuovo record storico sui mercati internazionali, facendo schizzare il suo valore, nella piazza affari di New York, a 1.397,70 dollari l’oncia. La causa del rialzo è, con ogni evidenza, l’eccesso di domanda.

La tendenza dura da qualche anno: più o meno dal 2008, con il grande crack globale. Chi può, e ovviamente sono i soliti che dispongono di risorse necessarie per acquistare quintali di lingotti d’oro, ne stanno facendo incetta. Sono i sempre noti nel mondo della grande finanza, come ad esempio: George Soros (che nel 1992 riuscì a mettere in ginocchio la Banca d’Inghilterra con una spericolata speculazione sulla sterlina), John Paulson (che si è arricchito ulteriormente con la recente crisi mondiale investendo sui famigerati titoli subprime), Marc Faber che non sbaglia mai quando si tratta di prevedere crolli finanziari nel mondo (nel 1997 previde quello di Wall Street, ad esempio) e, soprattutto quel Graham Tuckwell che ha inventato gli Exchange Traded Currencies (ETC): certificati di possedimento fisico dell’oro oppure, quel che è peggio dai future sulla commodity, quel certificato di possesso di qualcosa che ancora non c’è ma che si considera ci sarà (in termini tecnici, si chiama “oro non allocato” che si dà per scontato diventi “oro fisico”, ma non è sempre detto che vada così …). Risulta che tutti e 4, da soli, abbiano già investito 165 milioni di dollari sul metallo aureo, ricavandone una trentina di profitto.

La notizia della nuova corsa all’oro dei signori finanzieri appena sopra citati e di altri ha fatto con ogni probabilità il giro del globo, tanto che anche il piccolo risparmiatore sembra sempre più attratto dalla scommessa (ché sempre di una scommessa si tratta, lo vedremo poi). Sta succedendo, insomma, qualcosa di simile a quanto capitato negli anni 80 del secolo scorso, con gli investimenti di massa sul mercato delle azioni. Lavoratori dipendenti, pensionati, piccoli imprenditori, artigiani, onesti professionisti che avevano sempre avuto un rapporto sano e corretto con il denaro furono allettati dalle notizie di ingenti fortune accumulate da chi investiva in quella specie di roulette che sono le borse. E vi buttarono i loro risparmi. La “bolla speculativa” durò poco: pochissimi ci guadagnarono moltissimo, moltissimi pochissimo, e molti videro evaporare il gruzzoletto frutto del sudore di una vita in un amen (clamorosi i casi dei giocatori bruciati dagli investimenti in azioni della Parmalat e della Cirio).

Chi in questo momento è attratto dalla lucentezza dell’oro, ha possibilità di acquistarlo facilmente.  Può farlo presso le agenzie di cambio della Banca d’Italia (esente Iva) ma può farlo addirittura in rete. Primeggia fra i siti che commerciano oro via internet la “oro.bullionvault.it” che consente, oltre all’acquisto, di conservarlo a costi molto contenuti in uno dei caveau di banche  residenti a New York, Londra e Zurigo (inciso: chissà come mai sono sempre queste le tre principali città dove si commercia mercanzia finanziaria). La società proprietaria è la  Galmarley Limited, registrata in Gran Bretagna. Nata, guarda caso, proprio nel 2008, la società ha interessi esclusivi nel commercio del metallo prezioso. Non esistono motivi seri né notizie controindicanti per dubitare dell’onestà con cui opera. Migliaia di piccoli risparmiatori, in tutto il mondo, vi si sono affidati e vi si affidano in assoluta sicurezza e se la citiamo è solo per comprovare l’espansione di questo mercato.

Tuttavia, è necessaria una riflessione che, quanto meno, allerti chi sta facendo un pensierino ad investire i propri risparmi in carati. Stime avvedute danno per assai probabile che il suo prezzo raggiunga nel 2011 quota 1600 dollari l’oncia. Se la previsione è esatta, chi compra 10 once d’oro oggi e le rivende fra un anno ci guadagnerà 2000 dollari: più di qualsiasi altro investimento in altra merce e infinitamente più di quanto garantiscono, per esempio, gli interessi dei Bot o dei Cct italiani. Ma chi garantisce che la previsione sia esatta? Per esempio, George Soros, che comunque sta continuando a comprarlo, il quindici settembre scorso sentenziava: «L’oro può essere una nuova bolla, la madre di tutte le bolle». Il che, detto da lui, non si sa se vale più come avvertimento agli acquirenti di non invadere il campo delle sue speculazioni o come minaccia di prossime sciagure finanziarie. In ogni caso, vale come campanello di allarme per quello che potrebbe accadere quando le tonnellate di oro in possesso dei privati verranno rimesse sul mercato per reinvestire il capitale su beni fruttiferi di maggiore profitto. Se così sarà, chi avrà comprato e custodito oro come bene rifugio incontrerà due problemi. Il primo è che il suo valore subirà un forte ribasso.  Qualcosa di simile a quello che qualche anno fa successe a chi investì i suoi risparmi nei future petroliferi: dopo l’impennata, ci fu il crollo del prezzo del barile e chi si è trovato ancora in mano quei certificati di valore non ci rimase particolarmente bene, redditiziamente parlando. Il secondo è che quando una merce, qualsiasi merce, e l’oro è una merce come le altre, invade il mercato, il mercato va a rischio di saturazione con crescente difficoltà ad assorbire il prodotto in vendita. Si rischia, cioè, di trovarsi in mano un “bene rifugio” che non solo perde il suo valore iniziale, ma che è pure difficile da vendere.

L’oro ha sempre il suo fascino, è vero, ma non si mangia. Quello che sta succedendo intorno alla sua lucentezza, come sempre è accaduto nella storia, brilla anche stavolta di  luciferino. Lo sanno tutti: quando un sistema economico crolla o è a rischio di inflazione, e il mondo occidentale lo è, chi ha capitale converte la moneta in corso, che rischia di diventare carta straccia, in beni meno effimeri. In passato è stato spesso il classico mattone a offrire un’opzione,ma ora che il mercato edilizio ristagna è la volta dell’oro. Delle due possibilità d’investimento, quella che sembra meno sicura è, contro le apparenze del rialzo, proprio l’oro il cui valore non è determinato dall’uso di necessità. Il che è ancora più vero da quando gli Stati Uniti d’America, nel 1971, decisero la non conversione della loro moneta in metallo aureo, com’era fin lì accaduto dalla famosa conferenza di Bretton Woods, del 1944. Principio  che stabiliva la  “Golden Exchange Standard”, ovvero: la corrispondenza fra moneta emessa e quantità di oro posseduto dalle banche centrali degli Stati. Era già un’aberrazione: perché mai si doveva legare il conio della moneta necessaria alla vita economica di un paese vincolandola al possesso di qualcosa che ha un valore nominale, simbolico, se non meramente psicologico  e che di per sé non produce nulla? (Personalmente ritengo che l’emissione della moneta di uno stato retto da un qualche principio etico debba corrispondere esattamente al prodotto del lavoro compiuto dalle sue imprese: magari anche un po’ di più se si vuole introdurre, per fare un esempio, il reddito sociale). Tuttavia, per quanto aberrante, era ingranaggio essenziale nei meccanismi economici finanziari.

Ma persa questa prerogativa di servire come unità di misura per l’emissione della moneta, l’oro è tornato ad essere quello che probabilmente fu in origine: mero oggetto di cupidigia umana.  Che, parafrasando Franco Battiato: non ci servirà quando verrà la fine.