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Ipazia? Né Galileo in gonnella, né proto-femminista: una aristocratica pagana

di Marco Ventura - 23/12/2010

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Nel marzo del 415 dopo Cristo, ad Alessandria d’Egitto, Ipazia fu aggredita mentre tornava a casa. I cristiani la trascinarono fuori della sua carrozza e la condussero in una chiesa dove fu denudata e fatta a pezzi a colpi di cocci aguzzi. I resti furono bruciati. Cirillo, vescovo di Alessandria e tutore delle bande di monaci autrici del massacro, alluse all’evento in un sermone: «È stata fatta tacere l’Egizia» . Chi era in realtà la «filosofa» Ipazia? Perché fu uccisa e in quale contesto? Nel suo Ipazia. La vera storia (Rizzoli, pagine 319, € 19), Silvia Ronchey risponde secondo il metodo della stessa protagonista: «metodica diffidenza su quanto è stato detto» dell’egiziana e «sistematico smantellamento del suo mito letterario e della sua reinvenzione politico ecclesiastica e storiografica» . Cento pagine di documentazione, un terzo del libro, spiegano il percorso e ancorano il testo alle fonti. Silvia Ronchey svela anzitutto i travestimenti imposti ad Ipazia nei secoli. Galileo in gonnella, eroe anti cattolico del Settecento illuminista e dell’Ottocento liberale; cripto cristiana, proto-femminista. Martire del papismo per i protestanti, strega per i cattolici, libera pensatrice per i massoni. La vera Ipazia non fu niente di tutto ciò. Figlia di un maestro del Museo di Alessandria, bella della sua «altera avvenenza» , Ipazia incarnava, scrive l’autrice, «la superiorità di casta, l’ascetica compostezza e la dote di aristocratico riserbo che unita al naturale senso del dovere sociale e dell’impegno politico contraddistingueva le classi alte nell’antichità» . «Tu hai sempre avuto potere» , scrisse ad Ipazia il vescovo Sinesio, suo allievo. A quale potere si riferiva? Ipazia traduceva il neoplatonismo in matematica ed astronomia. Ma le sue formule non si limitavano a rendere il cosmo intelligibile; secondo l’uso esoterico, esse iniziavano ai misteri dell’antica élite pagana la nuova classe dirigente cristiana. Bastava questo perché il vescovo Cirillo, futuro santo e dottore della Chiesa, volesse la morte di Ipazia? A pagina 175 l’autrice ci sorprende. Schiacciate le pratiche pagane, distrutto il Museo, uccisi o banditi gli ebrei, sarebbe stato normale per il tempo che Cirillo tollerasse residui di filosofia pagana inoffensivi per il suo potere. Dell’uccisione di Ipazia, insomma, non vi era necessità. E allora perché? Si evince dalle fonti, secondo l’autrice, che Cirillo cedette a un «madornale e irrazionale accesso di frustrazione» , a quel sentimento che gli antichi chiamavano ftonos, all’invidia per il carisma e il prestigio della pagana. Esperta di civiltà bizantina, Silvia Ronchey ha restaurato l’icona di Ipazia. Molte delle incrostazioni accumulatesi nei secoli sono state tolte. Soprattutto, l’Ipazia di Silvia Ronchey è collocata nel suo contesto: nella «millenaria integrazione» di paganesimo e cristianesimo; in una Bisanzio che rifiutò il potere temporale di Cirillo e dei papi e preservò la libertà di Ipazia fino all’Umanesimo e al Rinascimento. Fino a noi.