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Fiocchi di neve

di Francesco Lamendola - 24/12/2010

QUESTO ARTICOLO È DEDICATO A TUTTI COLORO CHE SI SENTONO STANCHI, SCORAGGIATI, AVVILITI; CHE PENSANO DI NON AVER PIÙ LA FORZA DI RIALZARSI; CHE SI SENTONO ABBANDONATI DALLA SPERANZA IN UN DOMANI PIÙ SERENO.

 

La neve è caduta all’improvviso e nel giro di mezz’ora ha avvolto ogni cosa nel suo bianco abbraccio, trasformando il paesaggio consueto in un mondo incantato, che pare uscito or ora da una fiaba senza tempo.

Il candore della neve si è posato sul mondo e l’ha trasfigurato, cancellando d’un colpo tutte le cose logore di sempre e restituendole allo splendore originario, ch’esse avevano allorché sono uscite, per la prima volta, alla luce del Sole.

E così il bianchissimo mantello che si è posato sui prati e sui giardini, sugli alberi e sui tetti, sembra la veste di una innocenza ritrovata che è scesa su di una fanciulla stanca e delusa dalla vita, per infonderle nuovo coraggio e ridarle lo spirito verginale di quando ogni cosa le sorrideva ed ella, stupita, non avrebbe mai saziato la vista di tanta meraviglia.

Tutto, in questo bianco mattino di dicembre, sembra riportare il cuore ai sogni dell’infanzia, alla pulizia dell’anima bambina, ancora ignara di amarezze e disincanti.

Anche il freddo invernale pare immettere una boccata di aria pura, che rinnova e rigenera ciò che nell’anima era divenuto fiacco e spento, sferzandola con la sua rude ma amichevole carezza, spronandola a rialzarsi e a respirare a pieni polmoni.

I fiocchi di neve ondeggiano lievi nell’aria e poi scendono veloci, posandosi al suolo senza fare il più piccolo rumore, come un esercito bambino uscito fuori dalle pieghe di un’età felice e quasi dimenticata, ma non interamente cancellata dalla memoria; un’età, forse, più antica di noi stessi, della quale non sapremmo dire niente perché, forse, nemmeno c’eravamo.

O forse sì, c’eravamo: ma in un altro spazio, in un altro tempo, in un’altra dimensione; per cui sarebbe sforzo vano quello di voler ricordare, di dare un nome preciso a ciò che non si può dire, che si può solo accogliere tacendo, come un dono inaspettato.

Il mondo è lo stesso di prima, eppure non è più quello; un altro mondo si è posato su di esso, un altro tempo.

E tutto è come prima, e nulla è più lo stesso; e noi siamo ancora quelli che eravamo, eppure già non siamo più noi, siamo diventati altri.

Siamo ancor noi  e non siamo più noi; e le cose intorno a noi sono quelle di ieri, quelle di sempre, ma già non son più loro, sono diventate altre, vivono una vita nuova.

Pensieri, ricordi, attese, speranze: tutto si fa come nuovo; come i meravigliosi cristalli dei fiocchi di neve, con le loro stupende forme esagonali, con i loro ricami bianchi e azzurri d’impareggiabile splendore : eppure, ad occhio nudo, la neve non possiede tanta bellezza e regolarità, tanta lievissima, sovrumana perfezione.

È un miracolo: uno dei tanti, cui ci siamo abituati inconsapevolmente, senza riconoscerne la natura assolutamente eccezionale, portentosa.

Noi e la neve, noi e la bianchezza; noi e la verità.

L’aspra verità delle cose, che emerge quando ci cade la benda dagli occhi; che ci fruga l’anima con dita di cristallo, per vedere se siamo ancora vivi o se facciamo solamente finta.

Sia lode alla neve, sia lode all’inverno.

Come una fantasia di Bach che si diffonde dalle note dell’organo, vittoriosa e piena di fede, per poi spandersi nel mondo, irradiandolo di bellezza e di poesia; così la neve scende dal cielo grigio, per restituire alle cose una nuova meraviglia, una nuova ragion d’essere.

Perché le cose, quando smarriscono il senso della bellezza, perdono anche la loro ragion d’essere; si rattrappiscono, si inaridiscono e muoiono.

La neve, pertanto, è vita; il gelo, il ghiaccio, l’azzurro di alabastro della fontana stretta nella morsa dell’inverno: tutto è una nuova vita che si prepara ad erompere, in silenzio.

 

*   *   *

La neve è caduta anche per te, amico, che ti senti scoraggiato e abbandonato dalle ultime forze; che pensi di non farcela più a rialzarti.

E per te, cara amica, che accogli il nuovo giorno con un senso di pesantezza insopportabile e pensi che mai più il trillante uccellino della speranza verrà a posarsi sul davanzale della tua finestra, come era solito fare tanti, tanti anni fa.

La neve è caduta per farci vedere come è bello il mondo; come è pieno di vita, di splendore, di magnificenza.

La neve è caduta per aiutarci a sciogliere la benda che ci impedisce di alzare lo sguardo e per farci ammirare, finalmente, lo spettacolo immacolato di un mondo rinnovato, trepidante, vestito di bellezza e di speranza.

«Come sono belli, sui monti, i piedi del messaggero di buone novelle, che annunzia la pace; del messaggero di bene, che annunzia la salvezza», canta il profeta Isaia (52, 7), uno dei maggiori poeti di ogni tempo e di ogni nazione.

Quanto sono belli, sul mondo, i fiocchi di neve che cadono per noi, come soavi ambasciatori di pace; che scendono per noi, quali messaggeri di letizia.

E l’anima si turba, davanti a tanta bellezza, a tanta magnificenza: possibile che tutto questo sia per noi; che un dono così grande sia destinato proprio a noi?

Eppure è così.

Si tratta di un messaggio di pace e di armonia, di speranza e di perdono: per noi che non abbiamo più il bene della pace, che non sappiamo perdonare né perdonarci, che abbiamo smesso di sperare e di essere in armonia con noi stessi e con il mondo.

L’anima divisa con se stessa, l’anima dimentica dei doni che le vengono dall’alto, non crede più in niente e si dispera; eppure le basterebbe levare lo sguardo per vedere che la metà è già raggiunta, che il viaggio è terminato e la luce splende per illuminarla tutta.

O anima smarrita, perché hai dubitato? Perché hai permesso allo scoraggiamento di penetrare in te, di toglierti le forze, di deriderti e avvilirti?

Non sapevi forse che sei più preziosa del cristallo, che sei più gloriosa del Sole; che nulla ti potrebbe offendere o turbare, se tu non lo consenti?

O anima sciocca, perché ti sei spaventata?

Non lo sai di essere più preziosa di una gemma splendente, più preziosa di una collana di diamanti dai riflessi iridescenti?

E dunque, perché ti sei smarrita, perché ti sei spaventata?

Davvero hai potuto credere di essere rimasta sola e abbandonata, che a nulla e a nessuno importasse più di te?

O anima sciocca, davvero ignoravi di non essere mai sola; di essere sempre accompagnata da una luce inestinguibile, pronta rischiararti il cammino nelle tenebre più fitte, se solo tu non fai di tutto per cerare di spegnerla?

L’amica dell’inverno, la neve, ed il suo fedele servitore, il gelo, sono venuti per riscaldarti con il loro pungente abbraccio; per trasmetterti un vigoroso flusso di energia, una possente scarica di vitalità, a te che ti compativi nel torpore.

Lasciali entrare, accoglili con gioia; non sono tuoi nemici.

Nemico è chi ti compassiona con parole zuccherose, infiacchendoti e svirilizzandoti.

 

*   *   *

Senti come dice bene Nietzsche, in una pagina dello «Zarathustra» (III, «Sul Monte degli Ulivi»; traduzione di Liliana Scalero, Longanesi & C., 1972) che è anche un piccolo gioiello di poesia:

 

«L’inverno, un malvagio ospite, sta qui in casa da me: le mie mani sono livide dalla stretta amichevole della sua mano.

Io lo rispetto, questo malvagio ospite, ma lo lascio volentieri seder lì solo. Scappo volentieri da lui; e se si corre bene, gli si può sfuggire!

Con piedi caldi, e caldi pensieri, corro là dove vento non soffia, verso l’angolo pieno di sole del mio uliveto.

Là rido del mio ospite severo, ma gli sono riconoscente che egli a casa mi scacci le mosche e attutisca molti piccoli rumori.

Egli infatti non può soffrire quando una mosca vuol mettersi a cantare; o, peggio ancora, due mosche; e rende la strada così solitaria, che la luce della luna ha paura di splendervi la notte.

Egli è un ospite duro, ma io lo rispetto, e non mi metto subito ad adorare l’idolo del fuoco con la sua grossa pancia, come fa la gente delicata.

Meglio ancora battere un poco i denti, piuttosto che adorare degli doli; così son fatto io.  In special modo ce l’ho con tutti gli idoli del fuoco, così brucianti, umidi, fumosi.

Quando amo qualcuno, lo amo più d’inverno che d’estate; adesso, da quando l’inverno mi siede in casa, mi prendo meglio beffe dei miei nemici, con cuore più fermo.

Con cuore più fermo, davvero, anche quando vado a raggomitolarmi a letto: anche là ride e si scapriccia la mia felicità, raggomitolato anche là ride il mio sogno menzognero.

Sono forse uno di quelli che si raggomitolano e strisciano? Mai nella vita ho strisciato davanti ai potenti, e se ho mentito, l’ho fatto per amore. Perciò sono felice anche nel mio letto invernale.

Un lettuccio modesto mi scalda più di un letto sontuoso, perché sono geloso della mia povertà. Ed è in inverno ch’essa m’è più fedele.»

 

Ecco dunque, o anima: tu puoi farti un uliveto pieno di sole anche nel pieno dell’inverno, anche nel bel mezzo del ghiaccio e della neve.

Sta a te avere sempre i piedi caldi e caldi anche i pensieri: altro non devi fare che lasciar andare la tua paura e le tue tristezze, che non si addicono alla tua natura regale.

Regina, alza la testa e raddrizza la schiena; non curvarti più sotto il peso dell’angoscia e della paura: la tua natura è regale, sei fatta per andare fieramente a testa alta.

Che cosa stai dicendo?

Che non ci credi, che vorresti solo abbandonarti sulla neve, posare il capo e dormire per sempre, come i soldati in ritirata sulla steppa, vinti da una stanchezza più forte di qualunque istinto di conservazione?

Ebbene, abbandonati, allora, se è questo che desideri: ma regalmente; abbandonati, però non vinta dallo sconforto, ma sicura che una forza superiore ti prenderà nel palmo della mano e farà sì che non ti accada alcun male.

Ti riposerai e ritroverai le energie che ora ti son venute meno, la speranza di cui hai tanta sete nel profondo di te stessa.

Ti riposerai e ti ritroverai.

La neve, ora, ha imbiancato tutto e reso ogni cosa stupita e silenziosa.

Questo candore e questo stupore sono un linguaggio che ti sta parlando, che ti sta rassicurando e incoraggiando.

Una donna, un giorno, si trovò con il motore spento, in autostrada, nel pieno di una tormenta di neve. Era disperata; ma, d’un tratto, un uomo le bussò al finestrino e le fece segno di riaccendere il motore, di riprovare ancora: e quello, come obbedendo a un ordine, partì.

La donna si guardò intorno, per ringraziare quell’uomo provvidenziale: ma non vide nessuno, e neppure un’automobile,  nel gran deserto bianco.

Capisci, adesso, quanto sei preziosa?