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Kosovo: l’Ufficio della Del Ponte distrusse i documenti sui crimini contro i serbi

di Stefano Vernole - 30/01/2011



Kosovo: l’Ufficio della Del Ponte distrusse i documenti sui crimini contro i serbi

Sono passati quasi 12 anni dall’aggressione della NATO all’allora Federazione Jugoslava di Serbia e Montenegro, ma gli strascichi di quell’azione vergognosa non accennano a finire.

Questa settimana ne abbiamo avuto conferma: “E’ un falso di qualità il caccia militare invisibile cinese J-20, evidentemente copiato dal più noto stealth Lockheed F-117 Nighthawk americano.”

Lo ha scritto la stampa statunitense, rivelando che la clamorosa copia militare dell’aereo invisibile americano si e’ potuta realizzare grazie a un programmato lavoro di intelligence che i cinesi avrebbero compiuto sul terreno, nel cuore dell’Europa, durante la guerra del Kosovo.

Nel 1999, secondo Washington, diversi agenti cinesi sono stati notati aggirarsi nei Balcani.

Cosa era successo per giustificare l’invio di così tante spie cinesi in Europa? Uno “Stealth”

americano da combattimento era stato abbattuto da un missile antiaereo delle forze serbe durante la guerra del Kosovo.

L’abbattimento da parte dell’antiaerea dell’esercito serbo vicino al villaggio serbo di Budanovci, il 27 marzo 1999, divenne motivo di giubilo per i serbi, che mostrarono alle telecamere pezzi del velivolo ed esibirono anche diversi cartelli con commenti sarcastici, come ”Scusate, non sapevamo che fosse invisibile”.

Oggi fonti d’intelligence hanno fatto sapere alla stampa americana che proprio in quei giorni ”agenti cinesi battevano l’area dove l’F-117 era caduto, spingendosi addirittura a comprare pezzi d’ aereo dai contadini del luogo”.

In verità furono proprio i cinesi, estremamente interessati alla guerra del Kosovo per studiare le dinamiche militari della NATO, a rinforzare la contraerea serba che sul finire del conflitto andò addirittura migliorando la propria capacità di reazione.

Per questa ragione l’Ambasciata cinese a Belgrado venne bombardata e distrutta dagli aerei statunitensi durante quel conflitto.

Ci sono evidentemente voluti oltre dieci anni per sviluppare una magnifica replica del micidiale aereo americano, gioiello delle forze aeree a stelle e strisce.

Lo “Stealth” e’ chiamato l’aereo invisibile perché sfugge quasi completamente al controllo del radar. Quello colpito nei Balcani e’ stato il primo in assoluto a poter essere studiato – seppure a pezzi – da

ingegneri non americani.

Anche fonti militari serbe hanno confermato che alcuni dei pezzi del caccia sono stati presi dalla popolazione locale, spesso tenuti come souvenir di guerra e che ”sicuramente alcuni pezzi sono finiti nelle mani di militari stranieri”.

Altre parti dell’F-117, come l’ala sinistra o i caschi dei piloti, sono esposti nel museo dell’aviazione di Belgrado.

Proprio nei giorni scorsi sono state diffuse le prime foto dello Stealth cinese, che sta già compiendo dei voli di prova anche se gli esperti ritengono che non potrà essere veramente operativo prima del 2017.

In ogni caso il J-20 preoccupa la difesa americana che fino ad oggi era l’unica al mondo a possedere l’aereo invisibile.

La Cina, al contrario, respinge al mittente le accuse di aver copiato il suo aereo da combattimento da uno americano, stando a quanto riferisce il “Global Times”.

Funzionari del Ministero della difesa cinese hanno fatto sapere che l’aereo da combattimento J-20, appena sviluppato da Pechino, e’ il risultato di una tecnologia innovativa e non una copia del caccia americano F-22 Raptor, così come denunciato da Washington.

La Cina ha presentato con successo il nuovo aereo a Chengdu, nella provincia del Sichuan, all’inizio di gennaio.

Il test di volo e’ stato effettuato negli stessi giorni in cui il sottosegretario americano alla difesa, Robert Gates, era in visita a Pechino.

Ma, assicurano dal Ministero cinese, si e’ trattato di una semplice coincidenza.

Xu Yongling, uno dei principali piloti del paese, ha detto al “Global Times” che il J-20 possiede una tecnologia estremamente avanzata in termini di capacità supersonica. ”Diverso dai suoi

predecessori J-7 e J-8 – ha continuato Xu – il J-20 e’ un capolavoro dell’innovazione tecnologica cinese”.

Negli ultimi anni gli Usa hanno intensificato l’attività contro lo spionaggio cinese.

L’FBI ha aumentato il numero dei suoi agenti impegnati a controllare un presunto spionaggio

cinese, da 150 nel 2001 a oltre 350 nel 2007.

Secondo Li Daguang, analista esperto di questioni militari, le accuse rivolte alla Cina sono senza alcun fondamento. ”La Cina non solo ha la libertà di sviluppare sue tecnologie – ha

detto – ma ha anche la capacità di svilupparle in maniera indipendente”.

Venendo alla situazione del terreno, la Kfor, la Forza della Nato in Kosovo, ha trasferito in questi giorni alla polizia kosovara le funzioni di controllo della frontiera con la Macedonia.

”Il passaggio di responsabilità fa seguito agli sviluppi positivi e ai progressi nel campo della sicurezza registratisi in Kosovo nel corso dell’ultimo anno”, ha detto il comandante della Kfor, il generale tedesco Erhard Buehler, che ha ricordato come lo scorso aprile la stessa cosa era avvenuta con il controllo della frontiera fra Kosovo e Albania.

La Kfor tuttavia, ha aggiunto Buehler, e’ pronta a sostenere in ogni momento la polizia kosovara nei suoi nuovi compiti di controllo delle frontiere.

Il “miglioramento” della situazione generale sul terreno in Kosovo ha indotto la Nato a disporre un graduale ridimensionamento della propria presenza in termini di truppe: il numero dei militari e’ sceso dai circa 14 mila dello scorso anno ai meno di novemila attuali.

Il numero dei militari della Kfor, la Forza della Nato in Kosovo, verrà poi ulteriormente dimezzato entro il primo marzo prossimo, quando gli effettivi passeranno da 9.000 a 5.000.

Il Segretario generale della NATO, Rasmussen, che ha parlato a Bruxelles, ha sottolineato al tempo stesso che la riduzione delle truppe Nato non avrà ripercussioni negative sulla stabilità e la sicurezza in Kosovo.

Anche perché il potere, a Pristina, si trova in mani “sicure”.

Il premier albanese Hashim Thaci sarebbe uno dei ”pesci grossi” della criminalità organizzata

in Kosovo, secondo informazioni riservate della Nato riferite dal quotidiano britannico “Guardian”.

Il giornale di Londra aggiunge che un altro dei maggiori esponenti del crimine organizzato in Kosovo sarebbe Dzavit Haliti, uno dei più stretti collaboratori di Thaci.

I documenti in possesso del giornale inglese, ha riferito da parte sua la tv pubblica serba Rts, sono la prova che gli americani e le altre forze occidentali sono stati a lungo a conoscenza dei contatti di Thaci con la criminalità kosovara.

Ma che la situazione dei diritti umani in Kosovo resti precaria e non sia migliorata certo dopo il verdetto dello scorso luglio, col quale la Corte internazionale di giustizia dell’Aja stabilì che la proclamazione unilaterale di indipendenza da parte di Pristina non viola il diritto internazionale,

è confermato addirittura da “Human Rights Watch” (Hrw) nel suo ultimo rapporto annuale.

In Kosovo le minoranze – compresi serbi, rom, ashkali e egiziani – sono ancora vittime di discriminazioni, emarginazione e intimidazioni, denuncia l’osservatorio mondiali per i diritti

Umani, che sottolinea come nei primi otto mesi dello scorso anno in Kosovo si siano registrati 40 incidenti interetnici, compresi quattro omicidi.

Le indagini sui crimini di guerra e sulla criminalità organizzata restano lente e poco incisive, nonostante la presenza della missione europea, Eulex, che ha il compito di aiutare lo sviluppo delle istituzioni pubbliche e dello stato di diritto.

Sottolineando come il numero dei rimpatri volontari in Kosovo resti ancora molto basso, Hrw denuncia poi le minacce e gli attacchi contro i giornalisti in Kosovo.

A questo riguardo vengono citati i casi di Vehbi Kajtazi del quotidiano di Pristina “Koha Ditore”, e di Caslav Milisavljevic, direttore di “Radio Kosovska Mitrovica”, obiettivi di intimidazioni il primo e di un attentato dinamitardo il secondo.

Fra i paesi dei Balcani, la situazione peggiore in fatto di protezione dei testimoni si registra proprio in Kosovo.

Ne e’ convinto anche il monegasco Jean Charles Gardetto, relatore del Consiglio d’Europa, secondo il quale la protezione dei testimoni e’ fondamentale per far luce su tanti episodi ancora oscuri nelle vicende travagliate dei Balcani.

In Kosovo, ha detto Gardetto in una intervista al quotidiano belgradese “Vecernje Novosti”, non esiste alcuna legge che regola la protezione dei testimoni e chi decide di testimoniare corre grossi rischi.

La vita di tanti testimoni in Kosovo e’ in pericolo, mentre minacce e attacchi nei riguardi di testimoni restano il più delle volte impuniti.

Secondo Gardetto – che è intervenuto su questo tema all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa – le unità della missione europea in Kosovo Eulex, preposte alla difesa dei testimoni, non hanno risorse sufficienti o forze di polizia adeguate a questo scopo.

Per il relatore del Ce, fra i paesi dei Balcani la situazione migliore per la protezione dei

testimoni si registra in Croazia, seguita da Serbia e Bosnia-Erzegovina.

I testimoni vanno protetti meglio, afferma Gardetto, poiché questo e’ il solo modo per arrivare alla verità, necessaria a chiudere definitivamente il capitolo tragico dei conflitti armati nella ex Jugoslavia.

Pur sottolineando che la Serbia non ne riconoscerà mai l’indipendenza, il governo di Belgrado ha nominato ufficialmente Borko Stefanovic a capo del team che prenderà parte ai colloqui sul Kosovo.

Stefanovic attualmente e’ direttore politico al Ministero degli Affari Esteri serbo.

I colloqui tra Belgrado e Pristina sono stati annunciati lo scorso anno ma non e’ ancora stata fissata una data per l’inizio del dialogo.

Sulle trattative, infatti, continuano a pendere minacce atlantiste di stampo mafioso.

Il procuratore capo del Tribunale penale internazionale dell’Aja (Tpi), Serge Brammertz, ritiene

che i servizi segreti serbi facciano troppo poco per rintracciare e catturare Ratko Mladic, uno dei due ultimi “criminali di guerra” serbi ricercati dalla giustizia internazionale.

A riferirlo al quotidiano “Blic” e’ stato il vicepremier responsabile per l’integrazione europea, Bozidar Djelic, secondo cui Brammertz nei giorni scorsi ha incontrato un gruppo di eurodeputati a Strasburgo.

Con loro, ha detto Djelic, Brammertz si e’ lamentato del fatto che la Serbia non mette a disposizione mezzi sufficienti nella ricerca di Mladic.

Principali responsabili, a suo avviso, sono i servizi segreti, che non sono abbastanza veloci e

tempestivi ad agire dopo che hanno ottenuto informazioni e suggerimenti.

”Questa constatazione di Brammertz e’ il maggiore freno alla concessione alla Serbia dello status di Paese candidato all’adesione alla Ue, e sopratutto per l’inizio delle trattative con Bruxelles”, ha detto Djelic a Blic.

”Noi come governo abbiamo dimostrato che la Serbia sta facendo tutto quello che può (per arrivare alla cattura di Mladic), ma e’ il procuratore che scrive poi il rapporto all’Onu, e lui ha un parere diverso”, ha aggiunto il vicepremier serbo.

A suo avviso, la prima opportunità per ridurre tale divario di posizioni sarà la visita che Brammertz effettuerà a Belgrado in febbraio.

”E’ importante fare in modo che le sue osservazioni siano basate sui fatti e non su impressioni generiche”, ha detto Djelic.

In ogni caso l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha chiesto l’apertura di inchieste internazionali  sui crimini commessi all’indomani del conflitto del Kosovo ed in particolare sui numerosi indizi secondo i quali organi umani sarebbero stati prelevati ai detenuti in territorio albanese per essere trasportati all’estero a fini di trapianto.

Adottando una risoluzione basata sul rapporto di Dick Marty – il relatore svizzero che aveva accusato anche l’attuale premier Hashim Thaci di coinvolgimento in traffici di organi ed altri gravi crimini – l’Assemblea ha chiesto l’avvio di inchieste sugli indizi che rivelano l’esistenza di centri di detenzione segreti sotto il controllo dell’Esercito di liberazione del Kosovo (UCK) e sulle scomparse legate alla guerra del Kosovo, oltre che sulla “collusione, spesso denunciata, tra ambienti mafiosi e politici”.

L’assemblea – si legge ancora sul sito del Consiglio – ha chiesto che EULEX, la missione dell’Unione europea in Kosovo, venga dotata di un mandato chiaro oltre che delle risorse e del sostegno politico ad alto livello di cui necessita per compiere “la sua missione straordinariamente complessa e importante”.

La risoluzione approvata dai parlamentari dei 47 paesi membri invita quindi le autorità albanesi e l’amministrazione del Kosovo a cooperare “senza riserve” con Eulex o qualunque altra istanza giudiziaria internazionale incaricata di fare luce sui crimini legati al conflitto in Kosovo, quale che sia l’origine dei sospetti e delle vittime.

Belgrado ha espresso grande soddisfazione per l’approvazione da parte dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, oggi a Strasburgo, del rapporto sui traffici illegali di organi alla fine degli anni novanta in Kosovo e Albania, presentato dal relatore svizzero Dick Marty.

Il Ministro serbo per le questioni del Kosovo, Goran Bogdanovic, ha parlato di un passo avanti per scoprire la verità su quello che e’ effettivamente accaduto in Kosovo.

Spetta ora agli inquirenti porre in atto un’indagine dettagliata e imparziale sulle affermazioni di Marty, ha detto.

Il presidente del parlamento serbo Slavica Djukic-Dejanovic ha detto, da parte sua, che l’opinione pubblica in Serbia si attende che la comunità internazionale, in particolare Kfor e Eulex, adotti tutte le misure opportune per arrivare alla verità sui fatti denunciati da Dick Marty.

Anche Dragljub Micunovic, capo delle delegazione parlamentare serba presente oggi a Strasburgo, si e’ detto soddisfatto e ha espresso gratitudine a Dick Marty per il suo coraggioso rapporto.

I fatti in esso denunciati, ha detto, sono stati tenuti sotto silenzio per troppo tempo, poiché molti credevano che la verità non sarebbe mai emersa.

Dopo l’adozione da parte dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa del rapporto di Dick Marty sul traffico illegale di organi e di una risoluzione che chiede un’inchiesta, anche il presidente kosovaro ad interim, Jakup Krasniqi, ha detto che Pristina ”e’ interessata alla verità”.

”Noi siamo interessati affinché in questa vicenda emerga la verità, qualunque essa sia”, ha detto Krasniqi incontrando i giornalisti a Pristina. ”Anche se essa (la verità) e’ dolorosa, fatecela sapere”, ha aggiunto il presidente che ha invitato la missione europea in Kosovo Eulex a ”reagire rapidamente e a indagare sulle accuse di Dick Marty”.

Nella risoluzione approvata a larghissima maggioranza dal Consiglio d’Europa si chiede una ”inchiesta seria e indipendente” sulle denunce di Marty relative a un traffico illegale di organi umani avvenuto alla fine degli anni novanta in Kosovo e Albania ai danni di prigionieri dell’Uck (indipendentisti kosovari albanesi), in massima parte serbi.

Il Kosovo e’ pronto a collaborare all’inchiesta, ha affermato Krasniqi, secondo il quale comunque le accuse di Marty non potranno in alcun modo essere provate.

Il presidente ha poi detto di ritenere che l’adozione del rapporto Marty e della risoluzione sull’inchiesta non avrà alcuna influenza negativa sul processo di riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo, proclamata il 17 febbraio 2008 e riconosciuta finora da 72 paesi.

Una “propaganda anti-Kosovo e un tentativo di bloccare il processo di riconoscimento dell’indipendenza di Pristina” è stato, invece, il commento di Dzavit Haliti, stretto collaboratore del premier kosovaro Hashim Thaci e alto rappresentante del suo Partito democratico del Kosovo (Pdk).

Parlando a Strasburgo, Haliti ha sottolineato la disponibilità del governo kosovaro a collaborare con la comunità internazionale per far luce sulle denunce di traffici di organi.

Ma il rapporto di Marty – ha detto – e’ solo propaganda contro il Kosovo.

Il nome di Haliti, d’altronde, e’ menzionato nel rapporto Marty in varie occasioni.

In particolare Haliti viene indicato come uno dei leader del Gruppo di Drenica, la formazione dell’Uck guidata allora dall’attuale premier Thaci e ritenuta la principale responsabile dei traffici di organi umani.

Il relatore del Consiglio d’Europa, Dick Marty,  ha nuovamente criticato il Tribunale penale internazionale dell’Aja per i crimini nella ex Jugoslavia (Tpi) che ha distrutto, a suo dire, alcuni documenti relativi a tali traffici illegali di organi.

In un’ intervista comparsa sull’ultimo numero del settimanale serbo “Nin”, Marty afferma di non voler accusare il Tpi di complotto, ma di ritenere che tale Tribunale abbia commesso un errore nel distruggere alcuni documenti di prova relativi alle indagini condotte nel 2004 nel villaggio albanese di Ripa, presso Burel.

Per Marty si tratta di una procedura del tutto anormale per qualsiasi tribunale al mondo. ”Quando si raccolgono documenti e si pensa di non avere a disposizione prove sufficienti o di non disporre dell’autorità (?) per continuare nelle indagini, la documentazione non si distrugge mai, ma si conserva dal momento che prima o poi possono emergere nuove prove in grado di dare nuovo significato a quelle vecchie”, ha detto Marty. ”Non sto accusando il Tpi di cospirazione, ma ritengo che abbia commesso un errore”, ha affermato il senatore svizzero nell’intervista a “Nin”.

Riferendosi quindi al suo rapporto sul traffico di organi adottato a Strasburgo, Dick Marty ha osservato come non si tratti di un lavoro investigativo come quello di un giudice o di un procuratore ma piuttosto di un ”lavoro politico da parte di una istituzione (il Consiglio d’Europa, ndr) che

difende i diritti umani.

Pertanto il rapporto non e’ un’accusa ma piuttosto la raccolta di elementi sulla base dei quali gli

organi competenti devono avviare un’ inchiesta”.

Alla domanda sul perché nel suo rapporto non si fanno i nomi delle fonti, Marty ha risposto affermando che i testimoni (in Kosovo e in Albania) rischiano la loro vita e non hanno alcuna

garanzia di protezione.

La Commissione europea, dal canto suo, ha ribadito il suo invito al senatore del Consiglio d’Europa Dick Marty, di fornire le prove delle sue affermazioni a Eulex, la missione dell’Ue in Kosovo.

Questa è la richiesta della portavoce dell’Alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza comune, la britannica Catherine Ashton, in seguito alla richiesta dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa di aprire inchieste internazionali sul caso.

Al momento, infatti, ha ribadito Maja Kocijancic, non ci sono prove “ammissibili da parte di nessun

tribunale” delle affermazioni fatte da Marty.

“Abbiamo bisogno di prove solide prima di potere intraprendere una qualunque azione”, ha sottolineato la portavoce, ricordando che “Eulex, di sua iniziativa, ha già inviato due lettere al senatore Marty, a cui non e’ mai stata data risposta”.

Se il Consiglio d’Europa ha delle prove relative al coinvolgimento di Thaci nel traffico internazionale d’organi e dei relativi crimini commessi in Kosovo all’indomani del conflitto, e’ quindi “pregato di fornirle a Eulex”, ha concluso la Kocijancic, forse in maniera ironica, pensando alla distruzione dei documenti decisa dal Tribunale dell’Aja …

Ovviamente questo genere di prove non venne richiesto al Comando generale della NATO e agli Stati Uniti quando decisero, il 24 marzo 1999, di distruggere con i bombardamenti la Serbia e il Montenegro, per fermare “un genocidio” mai avvenuto.

E siccome il diavolo fa le pentole ma non i coperchi, la verità sulla gigantesca farsa inscenata ormai da 20 anni dalla “giustizia” occidentale finanziata dallo speculatore George Soros, una “giustizia” che utilizza la NATO come polizia giudiziaria, inizia a rivelarsi.

Fu, infatti, proprio l’Ufficio dell’ex procuratore capo del Tribunale penale internazionale dell’Aja (Tpi), Carla Del Ponte, a ordinare nel 2005 la distruzione di documenti relativi al traffico illegale di organi umani alla fine degli anni novanta in Kosovo e Albania.

Lo ha detto al quotidiano belgradese “Blic”, Frederick Swinnen, consigliere dell’attuale procuratore capo del Tpi Serge Brammertz.

”Tutto sarebbe stato forse (?) più semplice se avessimo conservato tali materiali. E’ stata una decisione infelice”, ha osservato Swinnen, secondo il quale foto del materiale distrutto

- in gran parte bottiglie e siringhe – erano state inviate alla procura serba per i crimini di guerra. Cosa questa che “Blic” afferma di aver constatato.

Non l’ha presa bene il premier albanese, Sali Berisha, che ha duramente attaccato Dick Marty per il suo rapporto sul traffico di organi umani che sarebbe avvenuto alla fine degli anni novanta in

Kosovo e Albania, affermando che si tratta di un documento razzista e propagandistico anti-albanese.

”Voglio ribadire ancora una volta che il rapporto di Dick Marty e’ razzista. Voglio inoltre sottolineare che queste accuse non rappresentano nulla di nuovo. Cominciarono con la propaganda (sic) di Slobodan Milosevic dopo gli attacchi della Nato contro il Saddam dei Balcani”, ha detto Berisha citato dalla “Tanjug”.

”Su tali accuse vi sono state delle indagini ed e’ stato provato (da chi?) che sono false”, ha aggiunto il premier albanese.

Berisha ha quindi detto che Tirana e’ disposta a mettere ogni centimetro del suo territorio a disposizione delle indagini in relazione alle accuse di Dick Marty.

Cosa che, peraltro, l’Albania non ha ancora fatto, come sottolineato nel rapporto del relatore svizzero … giustificandosi col fatto di non aver partecipato al conflitto del 1999!

In questi giorni, però, Berisha si trova alle prese con problemi interni tutt’altro che facili da risolvere, perché i suoi burattinai di Washington pare abbiano deciso di scaricarlo.

L’ennesima lezione per quanti non hanno ancora capito che con il padrone non si tratta.

* Redattore di “Eurasia”, è coautore di “La lotta per il Kosovo”, All’Insegna del Veltro, Parma, 2007 e autore di “La questione serba e la crisi del Kosovo”, Noctua, Molfetta, 2008.