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L’ultima libertà che ci è rimasta

di Giovanni M. Tateo - 23/10/2011

Fonte: centrostudiparadesha

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Non è forse scritto nella vostra Legge: ‘Io ho detto: voi siete dèi’?” (Vangelo di Giovanni, 10, 34)

Lascia che i morti seppelliscano i morti; tu và e annunzia il Regno di Dio” (Vangelo di Luca, 9, 60)

… conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Vangelo di Giovanni, 8, 32)

Conosci te stesso!” (Oracolo e precetto del dio Apollo)

È mai esistita idea più contraffatta e parola più abusata di quella che risponde al nome di ‘libertà’? La sentiamo proclamare, urlare e rivendicare di continuo, ogni giorno, senza posa. Nessun uomo moderno dubiterebbe mai che il diritto fondamentale, il diritto dei diritti, è quello alla libertà. Ma libertà di cosa? per cosa? in che cosa? in che senso? Parrebbero tutte domande oziose a prima vista, dato che si dà generalmente per scontato che ci si riferisca praticamente a tutte le dimensioni dell’umana esistenza. Già, ma forse è proprio qui che sta l’inganno, la mistificazione, la beffa atroce. Si tratta di questa esistenza, la famosa e fumosa “vita concreta”, quella che in pratica esaurisce tutte le summenzionate dimensioni nell’unica prospettiva della vita terrena, la quale, a sua volta, si riduce alla sola socialità dell’essere umano.

La modernità, che sin dal suo primo apparire, si è autoproclamata quale l’unica possibile madre e garante della libertà del genere umano, è, come sempre più si rivela, la più feroce tirannia mentale che si sia mai vista, il più mostruoso, quanto più è dissimulato, totalitarismo psichico che si sia mai affermato nella storia. Mai, prima del suo avvento, l’oppressione si era esercitata non tanto nella dimensione materiale e civile dell’uomo, ma in quella della sua psiche, della sua interiorità. Mai prima d’ora, non solo non si era giunti a soggiogare l’essenza più autentica dell’animo umano, ma non si era neppure pensato, anzi programmato, di schiacciarne definitivamente lo spirito, di distruggerlo fin dalle sue radici più profonde, di assassinarlo nella sua stessa coscienza di sé.

Quanti, oggi, leggendo quanto abbiamo appena scritto, potrebbero sapere con certezza a cosa diavolo ci stiamo riferendo? Di quale enorme crimine spirituale, ammesso che l’uomo moderno ne possa ancora concepire l’idea, staremmo mai parlando? Ecco, questa è la più lampante dimostrazione della verità della nostra accusa: le vittime non sanno di esserne vittime; il delitto c’è, immenso, ma esso è invisibile, inudibile, impercettibile; è un delitto che quasi non lascia tracce – perché l’epidemia delle malattie mentali e l’incremento vertiginoso del numero dei suicidii parlano fin troppo chiaro -, e che uccide senza far smettere di vivere: sì, ma vivere senz’anima, privi del proprio stesso spirito, privi della propria vera identità, privi di se stessi. Morti viventi. Miseri esseri consegnati al caos, al nulla, all’assurdo, e spesso anche alla pura disperazione, che è tanto più profonda quanto più è silenziosa, “normale”.

Ma tutto questo ancora non basta, perché ora le vittime ignare ancora mi chiederebbero: “di cosa parli?”. Molte di esse, infatti, dubitano ormai, o ignorano da sempre, di possedere un’anima, di essere spirito. Ne hanno sentito parlare vagamente, echi lontani, incomprensibili, soffocati dal fortissimo rumore, dal tremendo frastuono di fondo di un mondo senza senso, privo di verità. Non è forse vero che viviamo in una società, in una finta civiltà, che incessantemente, facendoci il lavaggio del cervello con tutti i mezzi ed i modi possibili, cerca di convincerci che non possediamo affatto un’anima (ma solo un cervello fatto di carne); che siamo solo degli animali discendenti dalle scimmie; che non siamo altro che automi biologici, biochimici, prodotti dal caso, in un universo tanto sconfinato quanto privo di significato e di scopo? Credere ciecamente a tutto questo è l’orrenda morte spirituale dell’uomo, l’assassinio della sua anima, della sua identità. Una morte che ogni giorno colpisce o minaccia la vita di tutti.

Se dunque la maggior parte di noi, saturati come sono da tutte queste luride e velenose menzogne, uccisi interiormente da esse, non sono nemmeno realmente vivi, come potrebbero mai essere addirittura liberi? I morti non hanno diritti. I morti sono schiavi della morte. E sopratutto: i morti non sanno di essere morti.

Può esservi tragedia più grande? Può esservi farsa più grande?

No, nient’affatto, ma dalla morte si può resuscitare! La risurrezione è libertà, e la libertà è risurrezione. E può esservi risurrezione solo nella Verità.

Anche uno schiavo può essere libero, o combattere per la propria libertà, purché sia ancora vivo, purché sappia distinguere la libertà vera dalla schiavitù, la verità dalla menzogna, la vita dalla morte; purché capisca – o almeno sospetti – di essere uno schiavo, purché egli non permetta alle catene che ne imprigionano l’esistenza di strangolare la propria anima, di stritolare il proprio spirito. Purché egli si ricordi, o immagini, o sogni, di essere stato altro: di essere stato un angelo, un dio! O Dio stesso! E di tornare ad esserlo, in questa vita o nell’altra! Ecco, quindi, la sola possibilità che ci rimane: seguire quest’istinto, questo sogno, quest’intuizione, questa reminiscenza, cercando quelle sacre verità perdute, indagando con coraggio e determinazione quel mistero, quell’enigma quasi insondabile che è l’uomo, soprattutto quando finalmente sente, o ricorda, seppur confusamente, di essere un dio!

Tutto quello che ci circonda e che viviamo quotidianamente congiura spietatamente per comprimere, schiacciare al massimo il nostro spazio interiore, per ridurlo quanto più è possibile a nulla; ma nel cuore più profondo di ogni uomo non può essere totalmente uccisa quell’istintiva aspirazione all’Infinito, all’Assoluto, all’Eterno, che non appartengono affatto solo a Dio, ma che un tempo appartenevano anche ad ognuno di noi – Suoi Figli ed Eredi -, e che ancora, non importa quando e come, possono tornare ad essere davvero nostri. A condizione di chiedere e cercare chi e che cosa realmente eravamo, siamo e dobbiamo essere. Basta un solo, tenue barlume di indicibile autocoscienza per poter sperare in tutto questo, per intuirlo, per ricordarlo, per riconoscerlo, ed iniziare il nostro viaggio spirituale, per incominciare la più grande e nobile di tutte le avventure: la ricerca della Verità.

Sia che il “sistema” conceda facilmente e spontaneamente le libertà che generalmente l’uomo moderno desidera, e sia invece che quest’ultimo sia costretto a lottare aspramente per conquistarle, il tutto serve unicamente a perpetrare e a nascondere il genocidio spirituale della razza umana. Tutte le libertà borghesi non sono che pallidissimi ed illusori surrogati dell’unica, necessaria libertà interiore che andrebbe cercata e posta a fondamento della civiltà: quella di poter conoscere e realizzare la propria identità divina.

In questa marcia e putrescente “civiltà”, che vuol fare di noi soltanto dei produttori, dei consumatori, degli schiavi del mercato globale – ipnotizzati e soggiogati dai media bugiardi e dalle mode idiote -, degli stupidi elettori a scadenza, insomma dei miseri borghesi che prima o poi finiranno nel nulla dal quale – secondo i “maestri” del (non)pensiero unico dominante – proverremmo; qui, dunque, in questo Inferno sulla Terra, inseguire, contro tutto e contro tutti, quest’idea e questa realtà di un’esistenza divina – passata e futura -, è, malgrado tutte le limitazioni, le costrizioni, le prigionie e le mortificazioni che siamo costretti a subire e patire, l’unica, l’ultima, vera libertà che il Destino ci ha lasciato, l’ultima vera speranza, l’ultimo vero ideale per cui vivere e lottare, l’unica identità assoluta da realizzare.