Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Iran e Arabia Saudita: geopolitica, religione e interessi energetici per l'egemonia nel Golfo

Iran e Arabia Saudita: geopolitica, religione e interessi energetici per l'egemonia nel Golfo

di Dagoberto Bellucci - 17/11/2011

Fonte: dagobertobellucci


 

“Tutti i popoli del mondo, tutti i musulmani, hanno visto come l’eroico popolo iraniano ha combattuto senza armi contro le superpotenze ed i loro alleati interni ed esterni.

La Rivoluzione Islamica, nonostante tutte le difficoltà, ha dato rapidamente i suoi frutti.

E’ stata posta fine alla presenza in Iran dei criminali della storia; grazie alla fede che regnava negli animi sono stati neutralizzati i complotti dell’America e dei vari gruppi di sinistra e di destra.

Donne e uomini, piccoli e grandi, tutti sono presenti e concorrono a decidere il destino del proprio Paese.

Per volontà di Dio il governo della Repubblica Islamica è ora affidato a individui che credono nell’Islam e nella Repubblica Islamica, mentre i provocatori ed i sobillatori sono stati allontanati.

Oggi l’Iran, nonostante la propaganda degli americani, dei sionisti e di tutti coloro che sono stati danneggiati nei loro interessi dalla Rivoluzione Islamica, avanza verso la tappa finale.

Questo costituisca un esempio per tutti i paesi islamici e i diseredati del mondo, affinché acquistino quella forza che viene dall’Islam.

Essi non devono aver timore dello schiamazzo d’Occidente, d’Oriente e dei lacchè delle superpotenze. Forti della fede in Dio Onnipotente e fiduciosi nella forza dell’Islam, insorgano e pongano fine nei loro paesi alla presenza di questi criminali; liberino Gerusalemme e la Palestina; mettano termine alla vergogna del dominio dei sionisti in casa propria e mantengano vivo il giorno di Qods.”

 

 

( Imam Sayyeed Ruhollah al Musavi al Khomeini – Messaggio in occasione della Giornata di Qods del 31 Luglio 1981 )

 

 

 

 

 

 

Il 4 Novembre scorso si è celebrato in Iran il 32.mo anniversario dell’occupazione da parte degli studenti islamici dell’Università di Teheran dell’ambasciata americana.

 

Un anniversario coinciso quest’anno con una martellante campagna propagandistica orchestrata dall’amministrazione Obama e dal regime di occupazione sionista mirante ad alzare i toni della dialettica diplomatica della politica mondiale.

 

Ad dirigere la grancassa del battage propagandistico contro Teheran, ad ergersi a direttore d’orchestra, stavolta è stato il regime sionista: a Tel Aviv evidentemente si respira un’aria soffocante ed il nervosismo gioca brutti scherzi se il governo Nethanyauh ha preso in considerazione, a quanto pare in modo serio, l’opzione militare per fermare la corsa al nucleare iraniano.

 

In realtà sono trent’anni che “Israele” minaccia sfaceli a destra e a manca. E l’America puntualmente persegue qualsiasi strada per insidiare la Repubblica Islamica minacciando sanzioni, favorendo complotti, organizzando il terrorismo interno e quello esterno contro gli interessi iraniani e ponendosi quale autentica macchina bellica dell’Imperialismo e del neo-colonialismo delle multinazionali del sistema mondialista.

 

A spingere sull’acceleratore di un possibile scenario bellico, che sarebbe devastante per tutta la regione del Vicino Oriente ed avrebbe delle conseguenze irreparabili per la politica internazionale con ripercussioni geo-economiche catastrofiche sui mercati petroliferi, le velleità israeliane di “fermare il nucleare iraniano” dopo la diffusione dell’ennesimo documento presentato dall’AIEA e a seguito anche della bufala spionistica su un preteso “complotto” iraniano contro l’ambasciatore saudita a Washington.

 

Analizzeremo nella presente ricognizione scrittoria i rapporti di forza e la contrapposizione radicale che oppone Iran e Arabia Saudita alla luce della storia, del conflitto confessionale ed etnico e degli interessi distinti che vedono oggettivamente una inconciliabilità di fondo tra le strategie di Teheran e quelle di Riad.

 

Sia detto per inciso e fuor di metafora: Teheran e Riad sono ai ferri corti da quando esiste la Repubblica Islamica e questo nessuno lo nega; l’Iran e l’Arabia Saudita hanno concezioni difformi dell’interpretazione dell’Islam; repubblica teocratica sciita persiana la prima e monarchia ortodossa e fondamentalista wahabita quella dominante il Regno più esteso ed importante della penisola arabica.

 

Che le due capitali, i due giganti del Golfo, a malapena sopportino l’altrui interferenza nelle reciproche aree d’influenza è cosa altrettanto nota e risaputa: queste sono molteplici e alcune vanno ad intersecarsi e sovrapporsi con quelle dell’altro come nel caso del Libano e in quello del Bahrein.

 

 L’Arabia Saudita ritiene da sempre sua sfera d’influenza l’intera costa occidentale del Golfo, quella che guarda all’Iran come ad un minaccioso concorrente ed al “nemico persiano” contro il quale tuonava Saddam Hussein negli anni Ottanta.

 

Riad ha sostenuto da sempre i paesi membri del Consiglio di Cooperazione del Golfo, organismo che di fatto i sauditi controllano direttamente e che utilizzano per salvaguardare i privilegi degli emirati affiliati e fratelli oltre, naturalmente ai propri.

 

Il Consiglio di fatto serve a mantenere in piedi quelle monarchie legate agli interessi petroliferi delle grandi compagnie occidentali e , tra questi regni, anche quello del Bahrein dove una rivolta popolare a maggioranza sciita (gli sciiti sono circa il 70% della popolazione di questo Stato retto da una monarchia sunnita) è stata repressa nel marzo scorso e soffocata nel sangue.

 

I sauditi intervennero al fianco dell’emiro del Bahrein. L’Iran tuonò contro quella che fu nientemeno che una indebita interferenza negli affari interni di un altro paese.

 

E’, chiaramente, ciò che oltretutto Teheran attualmente pretende dalla stessa Lega Araba, dalla Turchia e dall’Occidente rispetto alla situazione siriana: che nessuno osi interferire in quelli che sono affari interni della Repubblica Araba Siriana.

 

La situazione del Bahrein differì immediatamente rispetto alle analoghe “primavere” arabe della Tunisia, dell’Egitto e della stessa Libia per la sua dimensione religiosa: al centro delle rivendicazioni di ordine economico e alle richieste di riforme a carattere politico e sociale chieste a gran voce dai manifestanti; esiste un contenzioso che affonda le radici nel fattore confessionale: i principali ispiratori delle manifestazioni anti-governative infatti appartenevano alla maggioranza sciita e dirette contro il sovrano, Hamid bin Isa al Khalifa ultimo della dinastia sunnita degli al Khalifa, imparentata con gli al Saud di Riad, che governa l’isola dalla fine del Settecento.

 

“Geograficamente l’arcipelago del Bahrein si trova, infatti, sulla faglia di divisione tra sunniti e sciiti e, sebbene il 70% della popolazione (circa 600mila abitanti) appartenga a questo secondo ramo, tutte le cariche politiche, economiche e militari del Paese sono controllate – anche lì dove è previsto che siano cariche elettive (come nel caso della Camera dei Deputati) – dalla componente sunnita. Inoltre, il governo bahreinita ha da tempo iniziato una politica di naturalizzazione di sunniti provenienti da altri Paesi, soprattutto dal Pakistan, dal Bangladesh e dall’India, inserendoli poi all’interno delle forze di sicurezza e rendendoli, dunque, fedeli alla casa regnante. Gli sciiti – a cui comunque si sono aggiunti anche alcuni gruppi di sunniti –, chiedono le dimissioni del Re e del Primo Ministro Sheikh Khalifa bin Salman al-Khalifa (zio del Sovrano e in carica dal 1971, anno di indipendenza dalla Gran Bretagna), una significativa riforma costituzionale che permetta loro di eleggere liberamente i membri del Parlamento e il Capo del Governo, il rilascio dei detenuti politici e la creazione di nuovi posti di lavoro, uscendo così dalla marginalizzazione politica ed economica cui sono stati relegati.
Il tentativo di apertura politica nei confronti della popolazione sciita – grazie all’avvio nel 2001 di una riforma istituzionale che avrebbe dovuto condurre ad una monarchia costituzionale e di una riforma in materia di legislazione del lavoro nel 2009 – congiuntamente ad un’affermazione nel 2005 di Al Wefaq (conosciuto anche come l’Islamic National Accord Association) – partito guidato dal leader sciita Alì Salman, che ottenne 16 seggi in Parlamento – non hanno comunque risanato la frattura fra i due rami musulmani.” (1).

 

In sostanza, come giustamente osserva Maria Serra nella sua analisi sulla situazione venutasi a creare nel Bahrein “La caduta degli al-Khalifa renderebbe più concreta la possibilità che il Bahrein possa diventare uno Stato satellite dell’Iran, anche se è tutta da verificare la disponibilità della popolazione bahreinita ad accettare un altro sistema in cui le libertà ricercate non sempre sono garantite. Ad ogni modo, un’eventuale destituzione della casa regnante costringerebbe gli Stati Uniti a riconsiderare una parte del proprio posizionamento nel Golfo e a cercare delle alternative per la collocazione della V Flotta. L’intero bacino del Golfo, tuttavia, rimane disseminato di basi, aeroporti, oltre che di contingenti terrestri, soprattutto in Iraq. “ (2)

 

 

Oltre a queste ragioni di natura squisitamente geopolitica e strategica ne esistono altre che oppongono sauditi ed iraniani: il controllo del Golfo e quello delle risorse petrolifere della regione.

 

“L’Iran occupa una posizione strategica nel Golfo Persico, tenendo sotto tiro i giacimenti di arabia Saudita, Kuwait, Irak ed emirati arabi che tutti insieme detengono il  50% delle riserve di petrolio. – ha scritto Erasmo Venosi sul periodico “Terra” analizzando lo stato delle relazioni tra i principali paesi produttori petroliferi del Vicino Oriente – Inoltre, si affaccia sullo Stretto di Hormutz, il piccolo passaggio da dove transita il 40% delle esportazioni totali di petrolio. Secondo la “bibbia “ dei petrolieri, “oil and Gas Journal”, l’Iran è addirittura il secondo  detentore di riserve di petrolio e con il 16% di riserve mondiali di gas si colloca appena dietro la russia. l’elemento più  importante da considerare è il potenziale di crescita iraniana. l’arabia saudita possiede maggiori riserve ma  estrae petrolio per una quantità vicino al massimo (10 milioni di barili al giorno) mentre l’iran ne estrae 4, ma può arrivare a 7  mb/g. Nessun paese al mondo possiede tale potenziale di crescita. l’iran inoltre ha sottoscritto un contratto con la principale impresa energetica cinese, la sinopac per lo sfruttamento di uno dei più grandi giacimenti di gas. analogo  accordo è stato firmato con l’indiana Gas authority of india ltd. probabilmente lo slittamento del Medio Oriente, verso l’asia  e la centralità del ruolo dell’iran nel futuro equilibrio del mercato energetico mondiale ha generato altri motivi di ap-prensione per l’Occidente. le majors americane infine non possono operare in iran per sviluppare le notevoli risorse d’idrocarburi a causa dell’executive Order firmato da Clinton nel 1995. Non appaiono tali elementi di analisi come fantasie cospiratoriali e dietrologiche, perché l’ex capo di Federal Reserve, Greenspan nel suo libro “l’era della turbolenza” ha  tranquillamente affermato che la guerra all’iraq era «in gran parte per il petrolio». affermazione confermata dal presidente del Comitato esteri della Camera dei Rappresentanti, il democratico lantos (intervista alla Cnn del 2007). se a tali  elementi aggiungiamo le valutazioni degli esperti scientifici sull’esauribilità del petrolio e non ci lasciamo ammaliare dagli esperti consulenti delle compagnie petrolifere, diventa ancora più impellente la scelta del perseguimento dell’efficienza energetica, dell’espansione delle energie rinnovabili e degli investimenti nella ricerca in campo energetico.” (3)

 

La partita tra Riad e Teheran ovviamente coinvolge l’intero Vicino Oriente: da anni si disputa un conflitto a bassa intensità nello scacchiere libanese dove i sauditi sostengono il principale partito dell’opposizione,la Corrente Futura di Sa’ad Hariri leader del fronte filo-occidentale del 14 Marzo.

 

I sauditi hanno armato le milizie haririste responsabili spesso di attacchi mortali contro simpatizzanti sciiti mentre un ruolo non ancora chiaro ma sostanzialmente già delineato è quello che ha visto la stessa famiglia Hariri implicata in sospetti affari con gli esponenti di quel gruppo terrorista, Fatah al Islam, che mise a ferro e fuoco il campo profughi palestinese di Nahr el Bared e tenne per tutta l’estate 2007 in scacco l’esercito libanese duramente impegnato in un’opera di bonifica da questa malapianta criminale.

 

Teheran dal canto suo non ha mai nascosto il suo aperto sostegno a Hizb’Allah ed ai suoi alleati attualmente al governo.

 

E Hizb’Allah non casualmente è entrato nel mirino dei giudici del TSL (Tribunale Speciale per il Libano) voluto dall’ONU per indagare sui crimini politici commessi nel paese dei cedri a partire proprio dall’assassinio dell’ex premier Rafiq Hariri legato per interessi e fede a Riad.

 

In ogni modo occorre sottolineare che qualora l’Iran avesse realmente deciso di eliminare un diplomatico saudita avrebbe scelto senza dubbio tutt’altra strada e ben altri paesi: non certamente il responsabile della diplomazia del Regno wahabita in America.

 

Arabia Saudita e Iran sono, d’altro canto, due esperti e navigati “giocatori” di scacchi: si muovono su quella che il trilateralista e mondialista Zbignew Brzezinsky definì in un suo bestseller di politica internazionale come “La Grande Scacchiera”; sanno dove spingersi, come e quando fermarsi, quando e se eventualmente accelerare soprattutto per evitare che l’incendio una volta divampato possa rischiare di bruciare tutto quanto.

 

I sauditi hanno i loro interessi geopolitici ed economici da difendere in Libano. L’Iran anche.

 

L’Iran sostiene saldamente la politica siriana. Nel contenzioso regionale Damasco fino a questo momento si è dimostrata l’ago della bilancia delle inquietudini e dei problemi che avevano colpito il mondo arabo; dall’inizio delle sollevazioni terroristiche contro il governo legittimo di Bashar el Assad la Siria ha considerevolmente visto diminuire la sua influenza all’interno della Lega Araba fino alla sospensione dal massimo organismo sovra-nazionale arabo decretata la scorsa settimana e ampiamente sostenuta e votata da tutti i paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo.

 

In Siria le bande mercenarie del terrorismo operanti a Homs, Idleb e Dar al Zohr (questi i principali centri della ribellione che ha visto attività di sabotaggio anti-governative anche negli altri centri del paese) sono tutte legate alla rete d’ispirazione salafita di Al Qaeda. Il salafismo è la branca del sunnismo più fanaticamente intollerante nei confronti della Shiah. E gli Assad, al potere a Damasco oramai da oltre quarant’anni, sono alawiti setta scismatica legata allo sciismo.

 

Motivi di ordine etnico-confessionale che non possono comunque nascondere la sola realtà plausibile (oltretutto stiamo parlando di una nazione,la Repubblica Araba Siriana, dove da sempre vige una legislazione laica e sono note le antiche tradizioni di rispetto e tolleranza; una nazione all’interno della quale non si sono mai registrati sussulti contro le minoranze religiose in particolare le diverse confessioni cristiane presenti da sempre in quella che è una delle culle della civiltà del Mediterraneo): dietro alle agitazioni anti-governative siriane si muovono i servizi di sicurezza occidentali,la CIA americana come il Mossad israeliano e, in particolar modo, i mukhabarat sauditi.

 

Il complotto anti-siriano è eterodiretto dal Sionismo internazionale, dall’Imperialismo statunitense ed avallato e sostenuto dall’Europa, dalla rinnovata politica araba della Turchia (interessatissima a sostituire Damasco e Teheran quale improbabile paladina dei diritti dei palestinesi…si comprende perfettamente l’insolito attivismo politico di Ankara nel quadrato geo-strategico del Vicino Oriente…Ankara rimane il principale bastione della NATO sul fianco sud-orientale, prima di facili entusiasmi filo-turchi che abbiamo visto e ben conosciamo anche in ambienti insospettabili sarebbe meglio considerare quali siano i reali interessi turchi e se Ankara non rappresenti invece il burattino-sistemico dell’Alleanza Atlantica incaricato di svuotare progressivamente e ridurre la carica esplosiva della questione palestinese cavalcando la drammatica situazione determinatasi dal blocco sionista della Striscia di Gaza) e dai cosiddetti paesi arabi moderati in particolare dal Regno di Giordania e dalle petrolmonarchie del Golfo, sauditi in testa. 

 

Per Riad esiste un problema di sfere d’influenza da rispettare.

 

I sauditi devono oltretutto fare i conti con una propria minoranza sciita e con la possibilità, tutt’altro che remota, che le rivolte che hanno infiammato l’intero mondo arabo possano finire per sconvolgere la situazione interna del Regno.

 

Si comprendono quindi meglio le timide aperture verso riforme relativamente modernizzanti che hanno visto il sovrano wahabita concedere, per il 2015, il diritto di voto alla componente femminile del paese finora esclusa e di fatto relegata in un tradizionale ruolo di totale asservimento rispetto all’universo maschile che non si concilia assolutamente con l’Islam e che, se si esclude il regime dei talebani che prese il potere a Kabul nel 1996 e fino all’aggressione statunitense del 2001, non trova alcuna analogia al di fuori dell’oscurantismo confessionale radicale esercitato dalle autorità religiose saudite le quali hanno nei mutawiyin ( i “Comitati per raccomandare la virtù e lottare contro il vizio” ) i loro principali strumenti repressivi.

 

“Re Abdallah è percepito dalla pubblica opinione saudita come un ‘riformatore’ che ha avuto finora rapporti critici, ma sostanzialmente positivi con i gruppi dell’opposizione interna e si dedicherà ad una lenta modernizzazione tradizionalista (non è un ossimoro) del Regno saudita.
La linea politica del nuovo Re è stata denominata ‘Fase di Bilanciamento’ e si dirigerà, secondo molti osservatori occidentali, a risolvere l’arretratezza tecnologica saudita, la lotta contro la versione neoterroristica dell’Islam, la nuova posizione geopolitica del Regno nel quadro del nuovo Medio Oriente successivo alla caduta di Saddam Hussein.
Stranamente, il nuovo re non è tra i ‘sette Sudayri’, ovvero tra i membri della famiglia al trono che sono nati dal matrimonio di Abdul Aziz con Hussa al-Sudayri, un gruppo che comprende, oltre il defunto Re Fahd, il principe Sultan, ministro della Difesa, Nayef, ministro degli Interni, Salman, il Governatore di Riyadh.
Possiamo affermare che i ‘sette Sudayri’ è il gruppo, all’interno della famiglia regnante, più esplicitamente filo-occidentale e, per molti aspetti, quello più filo-USA.
Anzi, Abdallah, prima della crisi del Golfo del 1990-’91, ha avuto fama di critico della dipendenza del Regno Saudita dalla protezione militare USA, ed ha iniziato, fin da quel periodo, una serie di contatti con Siria e Iran, sulla base della sua geopolitica personale, che ritiene la sicurezza del suo Paese collegata strettamente ad una politica di buon vicinato con il contesto delle nazioni islamiche del Medio Oriente.
I suoi rapporti con Sultan, il figlio più anziano di Abdul Aziz e un membro dei ‘sette Sudayri’ saranno la chiave per esaminare la linea politica del suo regno e la temperatura dell’amicizia tra il Paese saudita e l’Occidente.
Certo è che un confronto con Sultan, attuale ministro della Difesa, potrebbe essere difficile per qualsiasi capo politico.
Sultan comanda le Forze Armate, ricche di 105.000 uomini selezionati secondo linee di stretta fedeltà personale e tribale, mentre Abdallah può dare ordini diretti solo ai 57.000 membri della Guardia Nazionale, una formazione esterna alle Forze Armate pensata per esserela Guardia Pretoriana della famiglia Reale.” (4)

 

Riad ha sempre visto come il fumo negli occhi la Repubblica Islamica.Fin dall’avvento della Rivoluzione Islamica nel febbraio 1979 i principali strali lanciati dall’allora Imam Khomeini (che Dio lo abbia in gloria) furono rivolti contro le petrolmonarchie del Golfo e in qualunque occasione i mullah della Teocrazia iraniana hanno condannato lo sperpero di risorse, gli stravizi tutti occidentali e il debordante benessere di questi Stati-fantoccio realmente galleggianti su immensi giacimenti petroliferi e direttamente legati agli Stati Uniti ed alla plutocrazia occidentale.

 

Oltretutto i sauditi non hanno mai pagato il “prezzo del sangue” di quello che a Teheran viene ricordato ancora oggi, a distanza di tanti anni, come “il venerdì di sangue” della Mecca quando, in occasione di una manifestazione organizzata durante il Pellegrinaggio – momento sacro per tutti i musulmani qualunque siano le loro ‘tendenze’ religiose e a qualsiasi ‘versione’ dell’Islam essi dichiarino di aderire – del 1987.

 

Oltre 400 pellegrini, in massima parte iraniani, uccisi sotto il piombo delle forze di sicurezza saudite che all’improvviso iniziarono a sparare su una folla colpevole soltanto di richiedere la liberazione della Palestina dall’oppressione sionista.

 

La Palestina. Altromotivo di conflitto tra Riad e Teheran soprattutto e in special modo da quando la Repubblica Islamicadell’Iran si è visibilmente avvicinata al movimento di resistenza islamico di Hamas sostituendosi a Riad, di fatto, quale referente – anche economico –  della lotta di liberazione nazionale palestinese.

 

Riad oltretutto ha perso negli ultimi mesi un valido alleato ai confini meridionali della Palestina occupata; quell’Hosni Mubarak con il quale ha sempre concordato azioni diplomatiche nell’ambito della Lega Araba. L’Egitto filo-occidentale del “Faraone” sembra anch’esso, dopo la vittoriosa rivoluzione che ha portato il paese a risvegliarsi da una pluri-trentennale dittatura che ha reso il Cairo succube delle logiche imperialiste statunitensi e pedina fondamentale dei progetti egemonici sionisti, destinato a virare in direzione di Teheran; un pericolo che USA e alleati della regione devono assolutamente scongiurare per evitare di ritrovarsi una sorta di repubblica islamica in salsa sunnita ai confini con “Israele”.

 

Molto si è parlato, e pure troppo si è scritto, su un ipotetico attacco militare israeliano contro Teheran nelle ultime settimane. Ora noi crediamo che perché un simile scenario bellico possa andare maturando agli Stati Uniti serve ricreare le stesse condizioni, mutatis mutandis lo scenario geo-strategico regionale, che portarono alla prima guerra mondialista del petrolio ovvero all’aggressione del gennaio 1991 contro l’Irak di Saddam Hussein.

 

Gli Stati Uniti sanno perfettamente che senza un vasto consenso internazionale, senza risoluzioni ONU che deliberino sanzioni punitive forti e diano il via libera per un’iniziativa militare; qualunque azione che potrebbero condurre contro Teheran si rivelerebbe un boomerang inutilizzabile.

 

E per ricreare i presupposti basilari per formare una “nouvelle croisade” contro la Repubblica Islamica i dirigenti dell’amministrazione Obama hanno straordinariamente bisogno dell’ausilio, del supporto, dell’aiuto e forse perfino dell’intervento diretto dei paesi arabi che compongono attualmente il fronte dei cosiddetti “moderati” (Giordania, Marocco, petrolmonarchie del Golfo) senza i quali nessuna iniziativa bellica sarebbe credibile agli occhi di milioni di musulmani che la percepirebbero – come effettivamente poi è – solo ed esclusivamente come una ennesima aggressione di stampo imperialista contro una nazione sovrana.

 

Per questi e per i restanti motivi sopra descritti Washington ha maledettamente bisogno dell’aiuto di Riad e le due diplomazie stanno sempre più intensificando gli sforzi comuni per cercare di isolarela Siria, storico alleato di Teheran nel mondo arabo, e puntare decisamente contro l’Iran.

 

Una contrapposizione che ha anche motivi di ordine economico essenziali per entrambi: nel settore energetico infatti Iran e Arabia Saudita hanno combattuto una lunga battaglia per la conquista del primato di principale esportatore di petrolio mondiale.

 

“Inizialmente la Repubblica Islamica dell’Iran si è vista favorita dalla posizione geografica strategica tra il Mar Caspio ed il Golfo Persico ed il controllo di una parte significativa dello Stretto di Hormuz attraverso il quale passa il 40% del petrolio destinato al commercio mondiale. Successivamente le sanzioni americane hanno nettamente danneggiato l’Iran a favore invece dell’Arabia Saudita che controlla attualmente 538 miliardi di dollari in riserve estere con un Pil di 567 miliardi di dollari contro i 475 dell’Iran. Molto significativo se si considera che la popolazione saudita è un terzo di quella iraniana.” (5)

 

Iran e Arabia Saudita sono dunque destinati a diventare i principali protagonisti – assieme a “Israele” e Stati Uniti – di una disputa per l’affermazione nella regione del Golfo che ha tutto il sapore di uno scontro dal carattere storico e culturale, ideologico e confessionale e geostrategico.

 

In ordine infatti, e riassumendo, i sauditi si considerano il baluardo del mondo arabo sunnita e si sono eretti a “difensori dei Luoghi Santi” dell’Islam di Mecca e Medina mentre l’Iran mantiene la sua specificità persiana e sciita.

 

Sul piano storico-culturale i persiani continuano a vedere gli arabi come gli invasori che nel settimo secolo d.C. soppiantarono con la forza la loro antica civiltà imponendo la religione musulmana di cui l’Iran adottò rapidamente la corrente minoritaria e contestataria della shi’a.

 

Fu non casualmente facendo leva su questi sentimenti di ostilità anti-persiana che Saddam Hussein lanciò le sue divisioni corazzate e la sua aviazione contro la Repubblica Islamica nel settembre 1980 equiparandosi a Nabucodonosor e riportando in vita tutti gli stereotipi del nazionalismo arabo.

 

Il nazionalismo persiano per contro, sebbene sopito dai dettami della Rivoluzione Islamica, non è mai venuto meno riemergendo in qualunque momento e stabilendo una propria fisionomia sempre gerarchicamente imponente e con una influenza sostanziale nel corso dei secoli sulla storia del mondo musulmano.

 

Come ha scritto la professoressa Biancamaria Scarcia Amoretti “il mondo iranico rappresenta un caso un po’ a sé in rapporto all’Islam e all’assimilazione della cultura arabo-islamica. Infatti, i grandi intellettuali dell’Islam sono spesso di origine iranica. Basti citare per tutti il filosofo Avicenna (980/1037). Si è così determinata una situazione particolare. Per capirla occorre tenere presenti due aspetti. Da un lato le popolazioni iraniche hanno mantenuto una loro lingua, pur usando l’arabo come lingua di cultura. Dall’altro, proprio l’Iran è stato uno dei nuclei vitali della civiltà arabo-islamica. In tutti gli imperi musulmani elementi iranici occupano posizioni potenti e di prestigio. Ma non è tutto. La storia dell’Iran prima dell’Islam è stata sentita come la preistoria, il periodo che precede e prepara l’avvento della nuova civiltà.” (6)

 

Sul piano ideologico e religioso oltre alla profonda distinzione tra l’elemento persiano e quello arabo ciò che contraddistingue e divide Iran e Arabia Saudita è anche l’antagonismo confessionale.

 

Di fatto entrambi i due paesi rivendicano un ruolo guida all’interno del mondo islamico sul piano religioso. I sauditi hanno adottato la versione confessionale del wahabismo che viene respinta da Teheran come una autentica bestemmia rispetto allo stesso sunnismo.

 

Dall’altro lato della barricata i sauditi accusano indistintamente tutti gli sciiti di appartenere ad una eresia cercando ovunque, nel mondo arabo ma anche in Pakistan e Afghanistan, di presentare la Shi’ah duodecimana a cui fa riferimento la Teocrazia iraniana come un elemento estraneo all’Islam.

 

I conflitti che hanno visto contrapposti musulmani sunniti e sciiti dall’Irak al Pakistan spesso trovano giustificazioni di carattere confessionale legittimate dalla propaganda saudita che non lesina finanziamenti per diffondere apertamente in tutto il mondo islamico l’odio anti-sciita.

 

Gli sciiti accusano di corruzione dei costumi e di ipocrisia da sempre la casa regnante saudita.

 

E l’alleanza che vede Riad al lato degli americani e, di fatto, dello stesso stato ebraico non può che avallare le accuse iraniane che puntano alla messa in discussione di un regime asservito completamente agli interessi delle multinazionali occidentali del petrolio ed alle ragioni della politica estera americana.

 

Infine sul piano geopolitico dopo la caduta dello shah Mohammad Reza Pahlevi, principale alleato del mondo occidentale e guardiano degli interessi americani nel Golfo, con l’instaurazione della Repubblica Islamica si sono ribaltati i rapporti di forza regionali portando Teheran a guidare il fronte del rifiuto all’occidentalizzazione ed all’americanizzazione che hanno radicato lo scontro con Riad da allora principale interlocutore degli USA nell’area strategica vitale per gli equilibri economici planetari.

 

Dalla rivoluzione islamica del 1979 alla ‘primavera araba’ del 2011 i rapporti tra Iran e Arabia Saudita non sono modificati e, se possibile, sono andati peggiorando.

 

La contrapposizione che esiste tra Teheran e Riad non potrebbe essere più radicale analoga a quella che oppone l’Iran a Stati Uniti e “Israele”.

 

L’attuale congiuntura storica non disegna alcun ipotetico riavvicinamento tra i due giganti del Golfo ma, anzi, delinea chiaramente un quadro geopolitico all’interno del quale Teheran e Riad si trovano agli antipodi con la Repubblica Islamica che sostiene il diritto alla sovranità nazionale delle popolazioni arabe in rivolta e i sauditi costretti a difendere le proprie posizioni ricorrendo anche ad interventi armati come nel Bahrein per evitare che l’espansione dei sussulti della cosiddetta “primavera araba” arrivino a mettere a soqquadro il pacioso regno dei Saud.

 

Il mondo si divide in due categorie: da un lato la Repubblica Islamica dell’Iran supremo referente politico, ideologico, religioso e militare del fronte anti-mondialista planetario; dall’altro lato la Grande Meretrice a stelle e strisce, “Israele” – il nemico dell’uomo – e i loro alleati raccattati all’interno del cosiddetto mondo arabo ‘moderato’ alias i ruffiani dell’America.

 

Per dirla con Maurizio Lattanzio: “Esiste anche l’Islam saudita ma quell’Islam non è Islam. E’ una parodia. E anche una oscena parodia” (7).

 

Nient’altro da aggiungere….

 

 

 

 

 

 

 

 

DAGOBERTO HUSAYN BELLUCCI

 

Direttore Responsabile Agenzia di Stampa “Islam Italia”

 

17 Novembre 2011 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTE –

 

1)      Maria Serra – “Il nodo geopolitico del Bahrein” – dal sito internet www.cesi-italia.org a cura del Centro Studi Internazionali;

 

2)      Maria Serra – ibidem;

 

3)      Erasmo Venosi – “La geopolitica a misura di petrolio” dal periodico della Federazione dei Verdi “Terra”;

 

4)      Marco Giaconi – “Lenta modernizzazione e caute riforme – L’Arabia Saudita del nuovo re Abdallah” – da “Gnosis”- Rivista Italiana di Intelligence; periodico notoriamente legato ai servizi segreti italiani del SISDE; Nr. 4 Anno 2005;

 

5)      Emanuela De Marchi – “Iran-Arabia, la guerra fredda del Medio Oriente” – 14 Ottobre 2011; Articolo dal sito internet www.informarexresistere.fr ;

 

6)      Biancamaria Scarcia – “Il mondo dell’Islam – L’attualità alla luce della storia” – Editori Riuniti – Roma 1981;

 

7)      Maurizio Lattanzio – Intervista a “TeleMare” di Pescara; Trasmessa il 27 Giugno 1995.