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Cacciabombardiere F35: le spese folli della colonia Italia

di Giancarlo Chetoni - 17/01/2012

http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/e/ec/F35ctolstores.jpg

Ho affrontato già un paio di volte il programma JSF Lighting II.
La prima il 22 settembre 2009 con “L’F35 è invisibile? No, è un bel bidone” e una seconda volta, sempre su Rinascita, il 9 dicembre del 2010 con “L’F35 va alla deriva” entrando nel vivo delle difficoltà di approntamento e dei limiti tecnici venuti alla luce fin dai primi voli di prototipo.
In quell’ultima occasione, a distanza di poco più di 400 giorni, il costo del cacciabombardiere Usa era lievitato dagli iniziali, previsti, 40 milioni agli oltre 80 richiesti dalla Lookheed Martin all’Olanda per passare, appena 14 mesi più tardi, ai 120 milioni di euro pretesi dall’Italia.
A scriverlo sul “Sole 24 Ore”, il quotidiano di Via dell’Astronomia, è stato l’attuale direttore del Web Magazine Analisi Difesa, Gianandrea Gaiani, uno dei pochissimi giornalisti italiani esperto di armamenti che ha peraltro l’indiscutibile merito di continuare a dire cose scomode in un ambiente professionale ormai “normalizzato”, embedded.
La punta di diamante (si fa per dire) di questo andazzo è la redazione Rai Word, direttore Sandro Vannucci, che mi recensisce nella Rubrica “Opinioni” piuttosto che in quella di “Cronaca”. Rai Word agisce in accordo con la presidenza del Consiglio dei ministri, Rai e Nato a sostegno alle operazioni di peacekiping in Afghanistan e con la presenza di un riferimento al vertice Nato di Bruxelles mettendo a disposizione delle testate Rai servizi ed immagini e una raccolta di notizie stampa.
Insomma un copione “militarizzato” dell’Ansa, anche con immagini, della “missioni di pace” della Repubblica delle Banane in Afghanistan ormai in preda alla sindrome pashtun che la costringe a lanciare sugli avamposti tricolori e della Coalizione i rifornimenti solidi e liquidi con i paracadute dai C130 per evitare agguati e perdite per via terra e a contenderne seta e cordami a una torma di bambini afghani dagli occhi di fame.
Articolo, il mio ultimo, ripreso dal Blog delle Forze Armate, a distanza, quindi, di nove anni dall’avvio degli studi di fattibilità emessi dal Pentagono e a otto da quelli di assegnazione commessa all’industria aeronautica texana per inizio progettazione, simulazioni, approntamento prototipi, prove di volo, modifiche e successiva certificazione di idoneità per una pre-serie che non è mai riuscita a decollare.
Un tempo enormemente lungo che ha fatto arrivare all’esterno, a partire dal 2009, le crescenti difficoltà che stava incontrando a livello tecnico e finanziario il programma JSF.
Valutazioni che erano uscite dal GAO degli Stati Uniti d’America, l’acronimo di Government Accountabily Office.
Il corrispettivo, nel nostro Paese, di una Corte dei Conti affiancata da una Commissione Difesa di Camera e Senato che possa convocare per audizioni alti ufficiali dell’Aeronautica Militare. Leggiamo come il Gao si era già espresso a quella data, in sintesi, sull’ F35: “… il programma JSF non ha ancora dimostrato di essere affidabile …”.
Per quanto i ministri della Difesa e i Capi di Stato Maggiore
dell’A.M.I siano stati periodicamente informati dai titolari dei Dipartimenti di Stato di generiche difficoltà che stava incontrando il programma JSF, da parte italiana per quanto conosciuto, non si è mai, nemmeno una volta, sollevato obiezione di sorta né al Pentagono né all’affidataria della commessa Lookheed Martin per ottenere spiegazioni più dettagliate o con note di sollecito per “stringere tempi e costi”.
Ecco un estratto di quanto il Government Accountabily Office segnalava all’Amministrazione Bush: “… la Corporation incontra seri problemi, incluso la crescita delle spese, un ritardo nei tempi, le performance nell’assemblaggio risultano scadenti” (non si riusciva nemmeno a far collimare entro la tolleranza prevista le seghettature di attacco dei componenti per procedere a corrette saldature all’interno delle cellule, delle ali e dei piani di coda mentre gli sfridi al titanio-tungsteno risultavano ridondanti ).
E ancora. Così lo Stato Maggiore della Us Air Force. La Relazione. “… il Gao evidenzia non senza ragione: problemi di sicurezza, di usura, di stabilità di volo, di decollo ed atterraggio, di invisibilità, di capacità di combattimento, di funzionamento di motori, di sviluppo e di affidabilità delle componenti meccaniche e del software, di costi triplicati e ancora in crescita rispetto alle stime mentre persiste un forte ritardo sui tempi di consegna…”.
Pesava e continua a pesare soprattutto, e questo lo affermiamo senza temere di essere smentiti, la perdita dell’ “invisibilità” dell’F35 per un rapido ed imprevisto avanzamento dei sistemi di rivelazione radar ed Esm nei Paesi dell’ ex C.S.S.I (il riferimento è al Kolchuga dell’Ucraina).
Le Commissioni Difesa di Montecitorio e di Palazzo Madama nelle relazioni pubblicate in pdf su Internet arriveranno a definire l’F35 a “scarsa risposta radar” o, più furbescamente, “furtivo”.
Nel 2009 stava già andando a rotoli la richiesta di specifica prioritaria avanzata dal Dipartimento della Difesa nel pre-gara alle industrie aeronautiche a stelle e strisce: quella di poter disporre di un cacciabombardiere ognitempo, capace di trasportare armamento atomico e convenzionale che potesse operare in un territorio nemico e garantire, senza contrasto per il suo supposto e ultra sbandierato profilo stealth finalizzato ad acquisire committenti esteri
di lancio, attacchi di precisione su target strategici garantendo a piloti e vettori un altissimo indice di sopravvivenza contro la crescente minaccia di abbattimento ad opera di postazioni mobili di Paesi ostili o potenzialmente “nemici” capaci di mettere in linea sempre più sofisticati missili terra aria capaci di eludere misure di jamming.
Armi, quelle terra-aria, che manifestano peraltro estremi vantaggi di costo di acquisto (anche di 1:750), di flessibilità di impiego, di manutenzione (i canestri sono sigillati e la manutenzione missile va affrontata ogni 10-15 anni) e di letalità (da 0.80 a 0.95) contro qualunque elicottero, jet, uav o cruise, compreso i BGM 109 Tomahawk e i più moderni ma altrettanto sculacciati Jdam in dotazione sia agli Usa che alla Nato.
Condizione tattico strategica che segnerà già nei primi 25 anni del XXI Secolo una accentuata curva di decadenza della supremazia aerea “occidentale” offrendo larghi spazi alla difesa attiva sia nell’area del Vicino Oriente e a in quelle appartenenti all’Asia.
Una supremazia quella aerea, è bene ricordarlo, che è risultata decisiva per determinare l’esito della Seconda Guerra Mondiale, al di là dell’impiego terroristico e conclusivo dell’uso di quella nucleare su Hiroshima e Nagasaki. Nel 2010 scrivemmo che stava uscendo dalla linea di montaggio della Lookheed un esemplare (1) di F35 al mese riportando il dato comunicato dalla Lookheed Martin Europa mentre continuavano ad emergere altri gravi problemi di approntamento nel programma JSF soprattutto nella versione B per fragilità strutturali nel carrello di decollo e di appontaggio e in quella C per il sostentamento verticale per inaffidabilità nel getto direzionale della turbina. Difetti che continuano a far lievitare, oltre l’accettabile, i costi del programma JSF e hanno fatto venire alla luce una sorprendente quantità di difficoltà tecniche ancora oggi da risolvere, soprattutto nella versione F35 B e C:
dall’appontaggio su piattaforme navali (portaerei) a quelle a decollo verticale (portaereomobili) come lo sono rispettivamente la Cavour e la Garibaldi.
L’approntamento dell’ultima unità ci è costata al netto scafo 1.5 miliardi di euro. I costi di gestione e manutenzione variano dai 150.000 euro al giorno all’attracco ai 300.000 in navigazione. Senza F35 imbarcati ed operativi.
La consegna del primo esemplare di F35 all’AMI avverrà prevedibilmente oltre il 2018 per un progetto di fattibilità che ha preso ufficialmente il via nel 1996. Entro il 2024 gli Stati Uniti ne dovrebbero acquistare 2.100 esemplari con un taglio di 430 unità sugli ordinativi previsti per i tagli alla Difesa per oltre 420 miliardi di dollari da spalmare in 10 anni anche se il premio Nobel per la Pace manterrà, come ha inteso precisare, almeno allo stesso livello le capacità militari Usa nel Vicino Oriente e in Asia. Dichiarazione tutt’altro che rassicurante.
E qui entra in gioco, anche se nella parte del “nano-portaborse” con il didietro dei contribuenti a reddito fisso, quiescenti, pensionati e precari, l’ammiraglio Giampaolo Di Paola attuale ministro della Difesa del “gabinetto” Monti già (?) capo del Consiglio Militare dell’Alleanza Atlantica.
I come e i perché li rimandiamo ad altra occasione: aprire degli squarci su un tessuto fradicio di inconfessabili coperture è di fondamentale importanza ma richiede più spazio di qualche nota.
Il Bel Paese ha già versato alla Lookheed Martin di Fort Woth (Texas) contante per 2.7 miliardi di euro per la fase di partecipazione “costi di progettazione”. Prendiamo l’impegno di aggiornare, via, via, l’elenco “uscite” F35.
Che qualcosa scricchiolasse nello “stealth”, anche se a quei tempi sull’uso massimizzato di materiali compositi, sulle fragilità strutturali, sulle vernici riflettenti a rapido decadimento non si sapeva nulla, a ben vedere era già venuto alla luce nell’aprile del 1999 quando un missile AASa3 Goa riuscì ad abbattere senza troppe difficoltà il primo supersegreto F 117 dell’Us Air Force in missione di attacco sulla Serbia. Il comandante colonnello di quella postazione oggi fa il panettiere. L’incremento di acquisto di un singolo esemplare di JSF lo ricavammo nel 2010 da una nota ampiamente critica pubblicata dal solito Gianandrea Gaiani.
Su “La Repubblica” a pag. 15 Gianpaolo Cadalanu il 6 gennaio di quest’anno ha spostato in avanti di un altro bel po’ gli oneri a cui dovrà far fronte il ministero della Difesa di un’Italia ormai alla bancarotta per l’acquisto di 1 dei 131 cacciabombardiere F35 a stelle e strisce: per ora saremmo a 200 milioni! Notizia in attesa di conferme.
Dinucci ha espresso di recente analoga valutazione scrivendo: “…dell’ F 35 per ora volano solo i costi” …