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Fede nel progresso, nazionalismo e comunismo: le tre religioni post-cristiane, secondo Toynbee

di Francesco Lamendola - 17/01/2012


 


«Civiltà al paragone» di Arnold J. Toynbee si può considerare come la “risposta”, in chiave ottimistica e cristiana, al celebre «Tramonto dell’Occidente» di Oswald Spengler; una risposta basata sul rifiuto del rigido determinismo spengleriano e sulla speranza che la civiltà occidentale possa sottrarsi al destino di tutte le altre civiltà che l’hanno preceduta, ossia il declino e, da ultimo, la morte.

Come Spengler, Toynbee accetta la visione organicistica delle civiltà; e, come il filosofo tedesco, vede operanti in esse soprattutto le forze spirituali e religiose, tanto da definire ciascuna civiltà in base a queste ultime: perciò, ad esempio, parla di una civiltà ortodossa, comprendente la Russia e i Balcani, distinta da quella occidentale, che connota gli altri Paesi cristiani, sia cattolici che protestanti (distinzione, questa, che gli appare come secondaria).

Secondo Toynbee, l’evoluzione e il destino delle singole civiltà obbediscono a una legge di «challenge and response», sfida e risposta: esse nascono e si sviluppano quando le loro minoranze creative riescono a rispondere positivamente a una determinata sfida globale, come lo era, nel caso dell’antica civiltà sumera, la bonifica e il controllo idraulico delle paludi della bassa Mesopotamia; decadono e implodono quando non riescono più a fare ciò, come avvenne nel tardo Impero romano, quando la civiltà greco-romana non seppe integrare nei suoi valori e nel suo sistema economico il proletariato interno, ossia la massa degli schiavi e dei servi della gleba, e il proletariato esterno, ossia le popolazioni barbariche stanziate in prossimità dei confini.

La civiltà occidentale, per lui, è nata quando la Chiesa cattolica è riuscita a realizzare questa operazione: diffondendo una nuova religione e una nuova concezione della vita, essa ha assimilato tanto il proletariato interno, quanto quello esterno (con la nascita dei regni romano-germanici) e operando così un distacco radicale dalla civiltà precedente.

Specialmente negli ultimi anni, accostandosi con ammirazione alle culture orientali e specialmente al buddismo (di cui aveva predetto un ruolo decisivo nel futuro dell’umanità), Toynbee si era venuto convincendo che, a partire dal XVII secolo, il cristianesimo avesse esaurito la sua spinta vitale e che, pertanto, la civiltà occidentale fosse entrata nella fase di declino, pur sostenendo che non esistono indizi per affermare che tale declino sia inarrestabile.

Egli pensava che quella battuta d’arresto fosse venuta non tanto dalle lotte religiose susseguenti alla Riforma protestante, quanto alla diffusione del nuovo spirito della scienza laica; anche se, di fatto, ondeggiava fra l’idea che quest’ultimo fosse la causa o piuttosto un effetto della crisi della religione cristiana; e riteneva questo evento assai più importante del conflitto insorto fra cattolici e protestanti e paragonabile, quasi, a quello fra cristianesimo e paganesimo all’epoca in cui l’Impero Romano aveva adottato la nuova religione venuta dalla Palestina.

In ogni caso, Toynbee sosteneva che la natura umana aborre dal vuoto metafisico e che, se una religioso va in crisi, con tutto il suo sistema di valori, quel che la società sviluppa al suo posto non è un sistema perfettamente laico e irreligioso, ma una nuova forma di religione, e sia pure una religione laica, che veste i panni di una determinata ideologia immanentistica.

Così, a partire dalla fine del XVII secolo, per Toynbee il cristianesimo, sempre più disertato dai ceti intellettuali, è stato gradualmente sostituito da tre neo-religioni sorte dal suo stesso seno: la religione del progresso tecnico e scientifico, il nazionalismo e il comunismo. Tutte e tre hanno ripreso e cercato di dare una risposta a delle componenti trascurate della religione-madre e cioè, rispettivamente, il bisogno di sicurezza,  la supremazia del proprio popolo e la sete di giustizia nei rapporti umani.

Il nazionalismo, secondo Toynbee, è la religione più antica di tutte, più antica dello stesso cristianesimo, perché egli la riconnette direttamente alle religioni patriottiche delle “polis” greche e di Roma; la religione del progresso ha assolutizzato la scienza come strumento per dare via via delle “risposte” alle “sfide” globali della storia; il comunismo non ha fatto altro che mettere il proletariato al posto del popolo eletto e la “necessità” storica al posto della Provvidenza divina.

Così si esprimeva Arnold Toynbee, nel corso dei suoi colloqui con Daisaku Ikeda, a proposito delle tre fedi post-cristiane (in: A. Toynbee - D. Ikeda, «Dialoghi. L’uomo deve scegliere»; titolo originale: «Choose Life», 1976; traduzione italiana di  Daniela Sagramoso, Gruppo Editoriale Fabbri, Milano, 1988, pp. 307-311):

 

«… il moderno Occidente non ha perduto, ha soltanto cambiato la sua religione.  Gli esseri umani non possono vivere senza una fede o una filosofia di vita. Non esiste una netta demarcazione tra queste due forme ideologiche. […]

La civiltà occidentale soppiantò la precedente civiltà greco-romana quando le religioni e le filosofie del mondo greco-romano furono sostituite dal cristianesimo questa fu la principale, se on l’unica religione dell’Occidente, fino a buona parte del XVII secolo,. Verso la fine di questo secolo il cristianesimo cominciò a perdere la sua presa sull’intelligencija occidentale. Nel corso degli ultimi tre secoli, il declino del cristianesimo si è allargato a macchia d’olio in tutte le classi della società occidentale. Nello stesso tempo, la diffusione di ostruzioni e ideali (o mancanza di ideali) di stampo occidentale presso in popoli di tutto il mondo ha causato l’allontanamento di questi ultimi dalle proprie antiche tradizioni filosofiche e religiose: il cristianesimo ortodosso in Russia,  l’islamismo in Turchia, il confucianesimo in Cina.

Secondo la mia interpretazione della storia occidentale, la rivoluzione religiosa del XVII secolo ha costituito una frattura nella continuità storica dell’Occidente di impronta e rilievo paragonabili soltanto ala conversione dell’impero romano al cristianesimo avvenuta nel IV secolo. La frattura del XVII secolo è stata un evento storico di importanza storica assai maggiore della precedente scissione della Chiesa cristiana occidentale  nelle correnti cattolica e protestante, e della precedente rinascita - peraltro piuttosto superficiale  - della civiltà precristiana greco-romana.

A mio avviso, il vuoto religioso  causato nel XVII secolo dal declino del cristianesimo è stato riempito dal sorgere di altre tre religioni; la fede nel progresso, ottenibile mediante l’applicazione sistematica della scienza  e della tecnologia, il nazionalismo e il comunismo.

Per la mentalità occidentale, la coesistenza di più religioni all’interno di un’unica società è difficile da ammettere, in quanto l‘antica religione dell’Occidente, il cristianesimo, è sempre stata la più intollerante  delle tre religioni di stampo giudaico. Lo spirito di tolleranza religiosa sviluppato ne Settecento  dai popoli occidentali quale reazione  alle guerre religiose cattolico-protestanti  assestò un colpo mortale al cristianesimo d’Occidente, sia al cattolicesimo sia al protestantesimo.[…]

La nascita consapevole della fede dell’Occidente nel progresso scientifico può esser datata alla fondazione della Royal Society in Gran Bretagna nel 1661. La Royal Society fu fondata da alcuni membri dell’intelligencija britannica, , sconvolti dalla guerra civile del XVII secolo e delusi dalle sue conseguenze politiche.  Si erano resi conto che, in Inghilterra, la guerra civile era stata inasprita dai conflitti teologici. Essi ritennero giustamente che queste dispute screditassero il cristianesimo, erano nocive alla società e inconcludenti sul piano intellettuale, poiché ai problemi religiosi non è possibile rispondere in termini razionali convincenti. La Royal Society venne creata per mitigare questi mali dirigendo l’interesse degli intellettuali dalla teologia alla scienza, e indirizzando le azioni pratiche degli uomini dai conflitti religiosi e politici all’avanzamento della tecnologia.  I fondatori intuirono che esisteva la possibilità dio conseguire successi senza precedenti se la scienza fosse stata applicata sistematicamente alla tecnologia. Secondo loro, l’avanzamento della tecnologia avrebbe comportato, necessariamente, una crescita del benessere. Non si resero però conto che ogni forma di potere, incluso quello generato dalla tecnologia scientificamente avanzata, è, dal punto di vista etico, del tutto neutro e può essere quindi usato sia a fini buoni sia a fini cattivi.

Questo nuovo credo ricevette un colpo mortale nel 1945, quando la scoperta della struttura dell’atomo e l’applicazione tecnologica di questa scoperta alla liberazione dell’energia nucleare per mezzo della fissione vennero immediatamente usate per costruire le bombe poi sganciate su Hiroshima e Nagasaki. […]

Il nazionalismo, la seconda fede che sostituì la tradizionale religione dell’Occidente, consiste nella venerazione del potere collettivo di una comunità nazionale. Diversamente dalla fiducia nel progresso scientifico, il nazionalismo  non è una religione nuova: è anzi la rinascita di un antico credo. Esso era infatti la religione delle città-Stato del mondo grecoromano. Venne risuscitato in Occidente durante il Rinascimento: anzi, la rinascita di questa religione politica greco-romana ebbe un effetto (e continua ad averlo) superiore al risveglio  dell’interesse per la letteratura, , per le arti e per l’architettura. Il moderno nazionalismo dell’Occidente, ispirato agli ideali politici e alle istituzioni greco-romane, ha ereditato il dinamismo e il fanatismo del cristianesimo. Tradotto in pratica nelle rivoluzioni americana e francese, esso risultato molto contagioso. Oggigiorno, il nazionalismo fanatico è la religione più diffusa in tutto il genere umano.

Il comunismo, a terza delle religioni che hanno riempito il vuoto determinato dal pensiero scientifico del XVII secolo, è una rivolta contro le ingiustizie sociali che sono vecchie quanto la stessa civiltà umana.  Il cristianesimo e le altre religioni e filosofie precomuniste  hanno in teoria condannato l’ingiustizia sociale, ma non hanno mai messo in pratica la teoria.  Pur avendo giustamente criticato tutti i suoi predecessori, anche il comunismo, concentrando ogni attenzione e sforzo nel tentativo   di sradicare l’ingiustizia sociale, è caduto nell’intolleranza  del cristianesimo e nell’esclusivismo tipico  di tutte le religioni giudaiche.

Il comunismo è di fatto un’eresia cristiana che, come tutte le precedenti, ha insistito su un particolare precetto cristiano rimasto negletto nella pratica di quella religione. La teologia comunista è quella ebraica e cristiana tradotta in vocabolario non teistico. Il Dio unico e onnipotente, Jahvè, è diventato la necessità storica; il popolo eletto è impersonato dal proletariato, predestinato a trionfare per necessità storica;  il Millennio è diventato la definitiva scomparsa dello Stato. Il comunismo ha ereditato dal cristianesimo anche la fede nella missione di convertire l’umanità…»

 

Senza dimenticare che quest’ultimo libro di Toynbee è il frutto della registrazione dei colloqui con Daisaku Ikeda e, quindi, risente di una certa qual compiacenza verso le posizioni di quest’ultimo, colpisce che lo storico inglese definisca il cristianesimo come la più intollerante delle tre religioni giudaiche, quando vi sarebbero numerosi dati di fatto per sostenere che esso, al contrario, è stato, nel complesso, assai più tollerante sia dell’ebraismo, sia dell’islamismo.

È necessario ricordare che, nelle preghiere recitate per secoli e secoli dai cristiani, non vi è traccia di rancore o di disprezzo verso il giudaismo (mentre ve sono, e abbondanti, nel Talmud verso i cristiani) e che nei Paesi cristiani i musulmani non erano soggetti al pagamento di una tassa discriminatoria, come avveniva invece nel caso opposto (e come poi i protestanti inglesi torneranno a fare nei confronti dei cattolici, dopo lo scisma di Enrico VIII).

E poi, perché fare di tutta l’erba un fascio e non distinguere fra il cristianesimo medievale, che era certamente totalitario, ma perché tutti i presupposti della società e della cultura erano totalmente diversi da oggi, e quello moderno, che ha mostrato una apertura e una volontà e capacità di dialogo con le altre religioni, quali raramente si sono viste nella storia, tranne poche fortunate eccezioni, come nell’Impero Moghul di Akbar? La storia del cristianesimo è lunga duemila anni: parlare di esso come di una unità indifferenziata, come di un blocco monolitico sempre identico a se stesso, è una grave forzatura storica, del tutto inaccettabile sul piano critico.

Toynbee, poi, osserva giustamente che la diffusione della civiltà occidentale a livello planetario fa sì che il futuro del mondo intero, ormai, sia legato al destino di essa (anche se, in altri momenti, egli sembra predire che il mondo futuro sarà ispirato non più dal cristianesimo, ma dal buddismo); ma, se a definire una civiltà è innanzitutto la sua forma religiosa, come mettere in dubbio che l’Occidente sia condannato, visto che il cristianesimo è in ritirata a partire dal XVII secolo? Non vi è qui una contraddizione nel pensiero del Nostro?

Date le premesse, delle due, l’una: o la ferita recata alla civiltà occidentale dalla crisi del cristianesimo e dal sorgere della religione post-cristiana del progresso non è stata così grave, come egli stesso afferma; oppure non è vero che le civiltà nascono, si sviluppano, declinano e muoiono, proprio come accade agli esseri umani.

Inoltre, egli non sembra essersi accorto che si può essere seguaci contemporaneamente di due o anche di tutte e tre le religioni post-cristiane, nonché di queste e delle precedenti fedi religiose: per esempio, gli Indù e i Musulmani che si massacrarono a vicenda, nel 1947, quando vennero definiti i confini tra l’India e il Pakistan, erano nello stesso tempo seguaci delle rispettive fedi religiose e della fede nazionalista; e quasi tutti i ferventi comunisti del XIX e XX secolo erano anche seguaci della fede nel progresso e nello stesso nazionalismo (come i bolscevichi russi).

La sfida globale, alla quale l’umanità è chiamata a rispondere, non è legata solo al modello di sviluppo originato dalla fede nel progresso scientifico e tecnologico, né ai mali del nazionalismo esasperato, né al fallimento del comunismo (evento cui Toynbee, morto nel 1975, non poté assistere). Toynbee insiste particolarmente sul fatto che essa è riconducibile, in ultima analisi, al sentimento umano dell’avidità, alla brama di possedere sempre di più, con qualunque mezzo, a spese degli altri.

Su ciò, possiamo anche trovarci d’accordo: ma in che cosa si tratterebbe di un elemento caratteristico della nostra epoca? Non si tratta, piuttosto, di una costante dell’animo umano? E c’è bisogno di una filosofia della storia per diagnosticarla e per arrischiarsi a fare delle previsioni sul futuro dell’umanità?

Piuttosto, potremmo osservare che vi sono, nelle civiltà, delle forze consapevoli di tali potenzialità distruttive, che lavorano per imbrigliarle, controllarle, incanalarle in direzioni utili o meno dannose; e forze che ne sono inconsapevoli (se pure non lo sono fin troppo) e che giocano imprudentemente col fuoco, alimentando quei sentimenti egoistici dai quali nascono la maggior parte delle tensioni sociali, dei conflitti e delle ingiustizie.

Forse, da questo punto di vista, è erroneo parlare di un’unica civiltà occidentale, dal IV secolo dopo Cristo ad oggi: perché il cristianesimo medievale era ben consapevole di quelle potenzialità distruttive e aveva preso, nei confronti di esse, tutte le contromisure possibili (leggi e statuti contro l’usura, contro la concorrenza, contro la pubblicità commerciale) e tutte le alternative possibili (ad esempio, trasformazione della cavalleria da elemento di violenza indiscriminata in elemento portante di una nuova etica della solidarietà e della giustizia); mentre la società post-cristiana attuale, non sembra possedere affatto una tale consapevolezza…