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Partiti come Zio Paperone ma non ci pensano a cambiare

di Giancarlo Pagliarini - 06/02/2012

Fonte: lindipendenza


 
Nell’aprile del 1993 si era svolto un referendum promosso dai radicali con otto quesiti, uno dei quali proponeva l’abrogazione del finanziamento pubblico ai partiti politici. Ad esso aveva partecipato il 77% degli aventi diritto e il 90,3% aveva detto chiaramente di voler abrogare il finanziamento pubblico. Ma i signori di Roma non si erano persi d’animo e avevano detto: “Non volete più darci dei quattrini per finanziare le nostre attività? Va bene, come volete, però almeno rimborsateci le spese che dobbiamo sostenere quando ci sono le elezioni”. E così è stata approvata, subito dopo il referendum, una legge che concedeva ai partiti politici un “contributo per le spese elettorali”. Quella legge era stata immediatamente applicata in occasione delle elezioni del 27 e 28 marzo 1994. Nella circostanza l’erogazione era stata di 47 milioni di euro. Pochi anni dopo i “rimborsi” per le elezioni politiche del 2001, del 2006 e del 2008 erano saliti rispettivamente a 476, 499 e 503 milioni: un bell’aumento, non vi pare?
La Corte dei Conti ha ricostruito la storia di questi “rimborsi”: dopo il referendum del 1993 si sono svolte cinque elezioni politiche, tre europee e tre regionali. La Corte dei Conti ha accertato che per queste elezioni i partiti politici hanno speso in totale 579 milioni di euro e hanno incassato, come “rimborsi” delle loro spese elettorali, 2.254 milioni di euro. Questi numeri non includono ancora i “rimborsi” per le europee del 2009 e per le regionali del 2010. Per valutare l’enormità di questa cifra considerate che l’imposta sui capitali rientrati dall’estero, il famoso “scudo fiscale”, nel 2009 ha dato un gettito di 5.013 milioni: dunque i rimborsi elettorali di questi anni sono costati agli italiani quasi la metà dello “scudo fiscale”. Una cifra veramente enorme! A pagina 179 del documento intitolato “Referto ai presidenti delle Camere sui consuntivi delle spese e sui relativi finanziamenti riguardanti le formazioni politiche che hanno sostenuto la campagna per le elezioni della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica del 13–14 aprile 2008”  la Corte dei Conti ha scritto che “quello che viene normativamente definito contributo per il rimborso delle spese elettorali è, in realtà, un vero e proprio finanziamento”. Con buona pace dei 31,2 milioni di italiani che col referendum del 1993 avevano dichiarato di volere l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti.
Il titolo della legge in vigore è “Norme in materia di rimborso delle spese per le consultazioni elettorali e referendarie”. La verità è che il principio del “rimborso” c’è solo nel nome della legge e da nessuna altra parte. E’ un vecchio trucco dei palazzi romani: di recente è stato usato anche per il federalismo: nella legge sul federalismo fiscale il federalismo c’è solo nel nome della legge. Nel testo non c’è nemmeno una virgola di federalismo. Lo zero assoluto!
Il cosiddetto “rimborso elettorale” non viene calcolato sulla base di quello che i partiti politici spendono, ma viene calcolato e pagato sulla base dei voti che prendono.
Quando la legge era entrata in vigore se non altro, prevedeva che “in caso di scioglimento anticipato del Senato della Repubblica o della Camera dei Deputati il versamento delle quote annuali dei relativi rimborsi è interrotto”. Ma all’inizio del 2006 c’è stato un autentico colpo di mano. In una lunghissima e orribile legge chiamata “mille proroghe” (legge n 51/06) accanto a norme per l’edilizia pubblica, per gli ammortizzatori sociali, per il reclutamento dell’arma dei carabinieri, per la ricostruzione del Belice (quella del 1968), ecc ecc, nell’articolo 39 – quater decies (!) – il Parlamento ha cambiato un paio di parole nel comma relativo ai rimborsi elettorali nel caso dello scioglimento anticipato del Parlamento stesso. Le vecchie parole “il versamento è interrotto” sono state sostituite dalle nuove parole “il versamento è comunque effettuato”. È stato sufficiente cambiare “interrotto” con “comunque effettuato” per far incassare ai partiti politici, se non sbaglio i calcoli, circa 300 milioni di euro sulle elezioni del 2006 che con il vecchio testo i partiti non avrebbero incassato.
Grazie a quella piccola modifica approvata alla fine della legislatura il “rimborso” per le elezioni politiche del 9 e 10 aprile 2006 (499,6 milioni di euro) è stato incassato per cinque anni, fino al 2010, anche se la legislatura è stata interrotta nel 2008, dopo due soli anni. E anche il “rimborso” per le elezioni del 13 e 14 aprile 2008 (503,1 milioni) sarà incassato per 5 anni, fino al 2013, anche se la legislatura verrà interrotta prima.
Una curiosità: il testo della legge “mille proroghe” con dentro questo “colpo di mano” è stato approvato il 2 febbraio al Senato con l’AS (Atto Senato) n. 3717 e il 9 febbraio alla Camera con l’AC (Atto Camera) n. 6323. Poco dopo, l’ 11 febbraio, il presidente della Repubblica ha firmato il Decreto di scioglimento delle Camere. Sul testo il governo Berlusconi aveva chiesto la fiducia e questo significa che per lo straordinario regalo ricevuto i partiti politici devono ringraziare Berlusconi e i suoi ministri. Ma dai resoconti stenografici su questo punto non risultano particolari proteste nemmeno da parte dell’opposizione.
Per capire come funzione pensate che solo nell’anno 2008 i partiti politici hanno avuto diritto ad incassare: 1) 99,9 milioni di euro per la terza rata del contributo pubblico per le elezioni politiche del 2006; 2) 100,6 milioni per la prima rata del contributo per le elezioni politiche del 2008; 3) 41,6 milioni per la quarta rata del contributo per le elezioni regionali del 2005; 4) 49,4 milioni per la quinta rata del contributo per le elezioni europee del 2004. In totale 291,5 milio di euro nel solo anno 2008 (fonte: Corte dei Conti referto sulle elezioni politiche del 2008, pagina 180). È una cifra uguale ai 300 milioni presi dai fondi FAS per fronteggiare la crisi degli stabilimenti Fiat di Pomigliano d’Arco e Termini Imerese. E se paga in ritardo, lo Stato deve versare ai partiti politici anche gli interessi. Scrive la Corte dei Conti che “ ..sarebbe coerente eliminare la corresponsione degli interessi legali sulle somme dovute ai partiti a titolo di contributo alle spese elettorali nell’ipotesi di erogazione ritardata per temporanea difficoltà di disponibilità di bilancio …. a fronte di rimborsi che superano di gran lunga le spese effettivamente sostenute dai partiti nelle campagne elettorali, l’introduzione di una norma che ne preveda l’erogazione senza l’applicazione degli interessi legali eliminerebbe l’effetto espansivo di impiego di risorse pubbliche, che appare già fortemente squilibrato a vantaggio dei partiti”.
I signori della Casta si sono accorti di avere esagerato e con il decreto del 31 maggio 2010 hanno stabilito una riduzione del 10 per cento ed hanno cancellato tutta la frase “in caso di scioglimento anticipato ecc ecc”, ma questa novità sarà applicabile a decorrere dal primo rinnovo successivo all’entrata in vigore del decreto di fine maggio e quindi non tocca i “rimborsi” delle elezioni del 13 e 14 aprile 2008 che, qualsiasi cosa succeda, continueranno ad essere versati per tutti i cinque anni della durata teorica della legislatura. Se si faranno elezioni anticipate, questi quattrini li incasseranno comunque, e oltre a questi incasseranno il contributo per le nuove elezioni.
Ecco qualche altro numero. Dal 2008 il partito Rifondazione Comunista non è presente in Parlamento ma ha continuato a incassare fino al 2010 la sua quota del “rimborso” delle elezioni del 9 e 10 aprile 2006, quando aveva battuto tutti i record: le spese complessivamente accertate dalla Corte dei Conti erano state di un milione e 636 mila euro e i voti ottenuti gli avevano dato il diritto di ricevere dalla pubblica amministrazione 6 milioni e 987 mila euro all’anno per cinque anni. In totale 34 milioni 932 mila euro (fonte: Corte dei Conti, relazione sulle elezioni politiche del 9 e 10 aprile 2006, pagina 269). Pensate che 100 euro investiti da Rifondazione Comunista nella campagna elettorale del 2006, sono diventati 2.135 euro. Un “ritorno dell’investimento” straordinario. Una performance del genere non se la sogna nemmeno Bill Gates.
Per le elezioni del 2008 il record invece spetta alla Lega Nord: le spese accertate dalla Corte dei Conti sono state di 2 milioni e 940 mila euro e i voti ottenuti hanno dato al Carroccio il diritto di ricevere dalla pubblica amministrazione 8 milioni e 277 mila euro all’anno per cinque anni. In totale 41 milioni 385 mila euro. Dunque, 100 euro investiti dalla Lega nella campagna elettorale del 2008, sono diventati 1.408 euro. Per quanto riguarda i due partiti (per ora) maggiori, il PDL e il PD, la Corte dei Conti ha certificato che per le elezioni del 2008 il primo ha speso 54 milioni e ne incasserà 206 mentre il secondo, dopo averne speso 18, ne incasserà 180. La somma del contributo pubblico, solo per questi due partiti, fa 382 milioni: più del doppio del gettito 2008 dell’imposta sul gioco del Totocalcio e dell’Enalotto (179 milioni. Fonte ISTAT, analisi delle imposte indirette, tavola 18).
Quasi tutti dicono che bisogna cambiare la legge elettorale, ma non ho ancora sentito nessuno dire che bisogna cambiare la legge sui rimborsi elettorali. Per forza: i partiti politici incasserebbero meno soldi ed è anche per questo che i membri del Parlamento non li scelgono i cittadini ma le segreterie dei partiti politici: gli spiriti liberi non hanno più diritto di cittadinanza nei palazzi romani. Ormai l’unica possibilità è fare un tam tam, un passaparola. È necessario che ogni cittadino chieda sempre, a tutti e in tutte le occasioni, una legge che dica chiaro e tondo: 1) che l’attività dei partiti politici non è finanziata dalle casse pubbliche, come hanno scritto i 31,2 milioni di italiani che hanno votato SI al referendum radicale del 1993; 2) che dalle prossime elezioni saranno rimborsate solo le spese elettorali accertate dalla Corte dei Conti e supportate da documenti fiscalmente validi. Non un euro in più. (…)