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Usa e Israele, summit di guerra

di Michele Paris - 07/03/2012

 
    


L’atteso vertice di lunedì alla Casa Bianca tra il presidente Obama e il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, è stato monopolizzato dalla questione iraniana e dalla ricerca di una strategia di aggressione comune nei confronti di Teheran. L’incontro di tre ore, tra cui un faccia a faccia di mezz’ora tra i soli due leader, è giunto il giorno dopo l’apparizione di Obama alla convention annuale dell’AIPAC (America Israel Public Affairs Committee), la principale lobby filo-israeliana negli Stati Uniti, che è stata l’occasione non solo per anticipare i temi del summit con Netanyahu ma anche per ribadire il pressoché totale allineamento di Washington con Tel Aviv.

In un clima cordiale ma caratterizzato dalla consueta freddezza dei rapporti tra i due leader, il presidente americano ha sostanzialmente invitato il premier israeliano ad attendere che la diplomazia e le pesanti sanzioni applicate all’Iran negli ultimi mesi facciano il loro effetto prima di ricorrere all’opzione militare. Da parte sua, Netanyahu ha da un lato confermato la sfiducia nei confronti delle sanzioni e della diplomazia per risolvere la questione del nucleare iraniano e dall’altro ha espresso irritazione per le dichiarazioni fatte nelle ultime settimane dai vertici militari e dell’intelligence USA volte a mettere in guardia dai pericoli di un attacco preventivo contro la Repubblica Islamica.

Alla vigilia del vertice, i giornali americani avevano previsto che Netanyahu avrebbe chiesto a Obama di stabilire una serie di punti fermi che Teheran non dovrebbe oltrepassare per non incorrere in un’aggressione militare. I paletti richiesti sembra invece non siano stati fissati in maniera ufficiale dalla Casa Bianca, così come Netanyahu non ha incassato la promessa americana di intervenire militarmente prima che l’Iran sia in grado di acquisire la capacità di costruire un ordigno nucleare.

Se pure alcune divergenze di natura tattica tra USA e Israele rimangono irrisolte, Obama e Netanyahu hanno riaffermato la sostanziale sintonia tra i loro governi, rafforzata dal coordinamento tra i rispettivi vertici militari e dell’intelligence. Si sono inoltre accordati per cercare di abbassare i toni e le minacce verso l’Iran, così da evitare che ogni uscita pubblica si traduca in una nuova impennata del prezzo del greggio. Netanyahu, tuttavia, ha tenuto a sottolineare come Tel Aviv continui a tenere aperta la strada di un attacco unilaterale anche senza il via libera di Washington, poiché, come ha confermato successivamente all’AIPAC il primo ministro israeliano, sulle questioni che riguardano la propria sicurezza, “Israele ha il diritto di decidere autonomamente”.

Le dichiarazioni relativamente blande seguite al meeting della Casa Bianca contrastano in maniera evidente con quelle a tratti ben più accese fatte da una serie di politici americani - tra cui Obama - di fronte alla stessa convention dell’AIPAC. Al raduno dell’influente lobby, che detta praticamente la politica del Congresso statunitense sulle questioni mediorientali, si è assistito ad un avvilente spettacolo nel quale i vari ospiti, a pochi mesi dalle elezioni, hanno fatto a gara nel mostrare tutto il loro servilismo verso Israele.

Ai membri dell’AIPAC, domenica scorsa Obama ha così annunciato la ferma intenzione del suo governo di impedire all’Iran di diventare una potenza nucleare e, per raggiungere questo scopo, “ogni opzione rimane sul tavolo”, compresa quella militare, se necessaria. Martedì, poi, il Segretario alla Difesa, Leon Panetta, ha dichiarato che gli USA continueranno ad assicurare, “con qualsiasi supporto necessario”, la superiorità militare di Israele sui suoi avversari. Il leader dei repubblicani al Senato, Mitch McConnell, ha invece criticato la posizione di Obama sull’Iran, a suo dire troppo poco incisiva, mentre l’ex candidato alla vice-presidenza con Al Gore nel 2000, il senatore Joe Lieberman, ha ancora una volta confermato come il Congresso USA sia pronto ad assecondare completamente le richieste del governo israeliano.

Una delle differenze nell’approccio all’Iran tra USA e Israele era emersa dalle dichiarazioni di Netanyahu prima del summit con Obama durante una visita in Canada. Il premier conservatore ha affermato che la comunità internazionale dovrebbe porre delle chiare condizioni prima di iniziare qualsiasi negoziato con Teheran, tra cui lo smantellamento dell’installazione nucleare sotterranea di Fordow e lo stop all’arricchimento dell’uranio. Simili condizioni verrebbero poste precisamente per ottenere un rifiuto dall’Iran, come riconosce anche la Casa Bianca, e giustificare quindi un’aggressione militare.

Inoltre, come ha sostenuto Obama in un’intervista rilasciata settimana scorsa al magazine The Atlantic, gli Stati Uniti sono per il momento più cauti circa un intervento militare in quanto ritengono non solo che l’Iran non disponga ancora di armi nucleari, ma che la leadership di Teheran, in base ai risultati delle valutazioni dell’intelligence americana del 2007 e del 2010, non abbia nemmeno preso alcuna decisione in questo senso. A ciò va aggiunto, anche se ufficialmente ignorato dal governo americano, il discorso della settimana scorsa della guida suprema della Repubblica Islamica, l’ayatollah Seyyed Ali Khamenei, il quale ha nuovamente escluso categoricamente che il suo paese sia interessato a sviluppare un programma nucleare a scopi militari.

Le parole di Netanyahu e svariate altre dichiarazioni provenienti negli ultimi giorni dagli ambienti filo-israeliani intendono in ogni caso fare pressioni sull’amministrazione Obama per dare l’OK ad un intervento militare preventivo contro la Repubblica Islamica nei prossimi mesi. Israele, in particolare, al di là della retorica, non sembra avere le capacità per infliggere danni permanenti al programma nucleare iraniano e deve perciò contare sull’appoggio militare statunitense.

L’intenzione di Israele è d’altra parte quella di colpire l’Iran per prevenire anche solo la possibilità che Teheran possa giungere a disporre del know-how per costruire un’arma nucleare, così da conservare la propria supremazia militare nella regione. Un’eventuale aggressione preventiva e non provocata per fermare un programma nucleare per il quale non è stata finora presentata una sola prova concreta che sia a scopi militari, va ricordato, avverrebbe ad opera di un paese che, al contrario dell’Iran, non è firmatario del Trattato di Non Proliferazione e che possiede centinaia di testate nucleari non dichiarate.

Una tale operazione corrisponderebbe ad una nuova colossale violazione del diritto internazionale. Tuttavia, come hanno dimostrato le parole di Obama negli ultimi giorni, nonostante possibili dubbi e perplessità, essa verrebbe con ogni probabilità giustificata o, più probabilmente, appoggiata in pieno dagli Stati Uniti e dai loro alleati in Occidente, senza riguardo alcuno per le conseguenze catastrofiche che implicherebbe per l’intera regione.

L’insistenza con cui questi governi perseguono tale obiettivo e, in ultima analisi, il cambio di regime a Teheran con il pretesto della questione nucleare è tanto più dissennata quanto è vista con diffidenza dall’opinione pubblica. Malgrado la propaganda dei politici e dei principali media occidentali racconti quotidianamente di un Iran intento a sfidare la comunità internazionale e ad un passo dalla bomba atomica, una serie di recenti sondaggi negli Stati Uniti e in Israele hanno mostrato un sentimento ben diverso tra la popolazione.

L’impopolarità di un nuovo conflitto in Medio Oriente non ha comunque impedito ai falchi filo-israeliani di Washington di stringere le fila e di sfruttare la visita di Netanyahu per chiedere un’ulteriore escalation delle pressioni su Teheran dopo le minacce, le sanzioni e le operazioni segrete di stampo terroristico che già hanno caratterizzato la strategia anti-iraniana di Stati Uniti e Israele in questi ultimi mesi.