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Kosovo: ecco dove si addestrano i ribelli siriani

di Marco Marchionni - 25/05/2012

Fonte: eastjournal


foto Associated Press

I miliziani del Consiglio Nazionale Siriano, in arabo al-Majlis al-Watani al-Suri, che si oppongono al regime di Bashar al Assad verranno addestrati in Kosovo. Rivela l’Associated Press che il giorno 26 aprile, di ritorno dagli Stati Uniti, una delegazione del CNS ha fatto tappa a Pristina per prendere accordi in merito col governo kosovaro. Fulcro delle consultazioni è come impiegare in Siria le conoscenze apprese dall’Esercito di Liberazione del Kosovo, più noto come UCK, durante la guerra contro la Serbia negli anni dal ’96 al ’99. Afferma in proposito Ammar Abdulhamid, nato in Siria ma in esilio negli USA dal 2005, “attivista dei diritti umani” e capo delegazione “Siamo venuti qui per imparare. Il Kosovo ha già compiuto questo cammino e possiede un’esperienza che potrebbe esserci molto utile, soprattutto vorremmo sapere in che modo gruppi armati sparsi si sono infine organizzati nell’UCK. Abbiamo un bisogno vitale di azioni congiunte come coalizione di opposizione.

L’accordo sembra essere così serio da far promettere ai rappresentanti dell’opposizione siriana che, qualora prendessero il potere riconoscerebbero immediatamente il Kosovo come Stato.

Immediata la risposta di Mosca, per la quale la questione dell’indipendenza di Pristina dalla Serbia, riconosciuta da 90 nazioni nel mondo tra cui USA e Italia, è una ferita ancora aperta: Trasformare il Kosovo in una base internazionale per l’addestramento di ribelli di differenti formazioni armate potrebbe rivelarsi un grosso fattore destabilizzante con effetti ben al di là dei Balcani”, ha concluso il ministero degli esteri russo che ha chiesto per questo alla Forza internazionale della Nato in Kosovo (KFOR) di adottare “tutte le misure necessarie per prevenire la messa in atto di tali piani”.

Sembra improbabile però che tale appello possa essere ascoltato, stando almeno alle parole del Segretario di Stato USA Hillary Clinton in cui, in seguito ad un precedente incontro avuto a Washington col primo ministro kosovaro Hashim Thaci (indicato nel 2011 dall’europarlamentare del Consiglio d’Europa Dick Marty, come il capo di un’organizzazione mafiosa, responsabile di traffici d’armi, droga, organi e esseri umani) il 5 aprile ha dichiarato che Washington aiuterà il Kosovo ad aderire alla NATO e all’Unione europeaelogiando “i progressi del suo governo nel progredire verso l’integrazione e lo sviluppo economico europeo”.

Curiosa dichiarazione se si pensa che Spagna, Slovacchia, Romania, Grecia e Cipro, tutti membri dell’Unione Europea e della NATO, con l’esclusione di Cipro il cui ingresso nell’alleanza è bloccato dalla Turchia, non hanno ancora riconosciuto il piccolo Stato balcanico. In tal senso, in data 29 marzo, sui suddetti paesi arrivano pressioni dal Parlamento Europeo, in cui si richiede anche un riconoscimento da parte del Comitato Olimpico per “consentire agli atleti kosovari di partecipare ai Giochi olimpici di Londra” si sottolinea inoltre l’importanza di migliorare le relazioni e la rappresentanza del Kosovo nelle istituzioni internazionali che si occupano di cultura e di patrimonio culturale e nelle organizzazioni sportive. Per quanto riguarda poi il progresso economico e l’integrazione europea si veda il apporto annuale dell’ONU sul Kosovo del 14 maggio scorso, in cui lo stesso Segretario generale Ban Ki-moon si dichiara “allarmato” per “il numero di crimini contro le minoranze, in aumento tra febbraio e maggio 2012, rispetto allo stesso periodo dell’anno prima”, sottolineando la considerevole resistenza di Pristina al rispetto degli obblighi di protezione del patrimonio culturale e religioso serbo”; inoltre diversi funzionari delle Nazioni Unite identificano col Kosovo l’epicentro europeo dei traffici di droga e armi.

A “vigilare” sulla situazione e sui “rapporti” tra CNS e le autorità di Pristina restano quindi i circa 6500 militari della KFOR, stanziati nelle diverse basi presenti sul territorio, tra cui 1000 italiani nella base di “villaggio Italia” vicino a Pec, ai quali si aggiunge la formidabile presenza statunitense forte di un contingente di 9000 uomini, di cui 2000  dislocati a Camp Monteith, sede dei servizi segreti americani nei Balcani, e 7000 a Camp Bondsteel,  (Urosevac, vicino al confine macedone) la più vasta e costosa base militare degli Stati Uniti costruita all’estero (1999) dai tempi del Vietnam, il cui compito è quello di “proteggere” due corridoi terrestri ed energetici di importanza strategica: quello progettato dalle imprese tedesche (e lautamente finanziato dall’Agenzia europea per la ricostruzione) che congiunge, via Belgrado, il porto rumeno di Costanza ad Amburgo e l’AMBO, l’oleodotto albanese-macedone-bulgaro che dovrebbe portare il petrolio del Mar Caspio dal porto bulgaro di Burgas, sul Mar Nero, fino a quello albanese di Valona, sull’Adriatico.

In uno scenario così complesso, ma in cui risulta abbastanza evidente chi conduce il gioco, probabilmente le aspettative di Mosca rimarranno disattese, costringendola a dare una risposta di pari intensità su un altro fronte, magari ancora più “caldo” di quello kosovaro.