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Uccise dai jet Nato. La strage nel bosco delle donne afghane

di Lorenzo Cremonesi - 17/09/2012


Almeno 9 donne morte ieri tra le montagne delle province pashtun dove operano i talebani, altre 8 ferite. Tra loro anche alcune bambine sui dieci anni. È l'ennesimo errore compiuto dai jet americani inquadrati nel contingente Nato-Isaf in Afghanistan. Per ammissione degli stessi portavoce alleati, il blitz aereo era stato lanciato contro una cinquantina di talebani che stavano assediando una base della polizia afghana nella vallata di Noarlam Saib, nel dedalo di montagne coperte di pinete nella provincia nordorientale di Laghman. Sono aree dove la Nato opera ormai solo con l'aviazione.

Sul terreno dominano i talebani, che oltretutto hanno facile passaggio verso i rifugi amici nelle confinanti «zone tribali» pachistane. A detta del governatore locale, Sulgar Sangarwal, le donne erano nei boschi a raccogliere legna e pinoli. Facilmente i piloti le hanno confuse con i guerriglieri nelle vicinanze e hanno aperto il fuoco.
Nel linguaggio militare queste nuove vittime sono uno dei tanti «danni collaterali» che insanguinano di cadaveri di civili qualsiasi conflitto, specie quelli dove eserciti convenzionali armati con la tecnologia bellica più devastante sono chiamati a operare contro una guerriglia che si muove tra la popolazione. E tutto sommato l'Alleanza Atlantica da tempo ha cercato di limitare le sue operazioni proprio per evitare massacri di questo genere, che oltretutto danneggiano gravemente i rapporti con le autorità locali e lo spirito dell'intera missione. Nei primi 9 mesi del 2011 si calcola che i civili uccisi involontariamente siano stati circa 400.

Durante lo stesso periodo di quest'anno ammonterebbero alla metà. E per giunta i morti tra la popolazione afghana causati dagli attentati talebani sono molti di più.

Pure, il nuovo massacro di innocenti firmato Nato arriva in un momento difficilissimo per gli Stati Uniti e i loro alleati, che complessivamente contano quasi 100.000 soldati nel Paese (l'Italia ha un contingente di circa 4.200 uomini nella provincia occidentale di Herat). Il loro ritiro non è previsto prima della seconda metà del 2014. L'ondata di proteste in tutto il mondo musulmano sollevata dalla vicenda del video anti islamico genera anche qui tensioni e scontri. E nell'Afghanistan dominato da una profonda tradizione religioso conservatrice si somma al risentimento popolare per episodi simili nel passato recente. Solo pochi mesi fa la distruzione di alcune copie del Corano da parte dei soldati Usa nella base di Bagram scatenò violente manifestazioni con morti e feriti. Conseguenza immediata è il crescere dei cosiddetti attacchi «green on blue», come vengono definiti i casi ormai tragicamente continui di uomini delle forze di sicurezza afghane che sparano sui soldati Nato-Isaf loro addestratori. Un fenomeno che rende sempre più problematica la cooperazione alleata con quelle stesse forze che dovrebbero assumere presto il controllo del Paese. Se ne cominciò a parlare come di rischio potenziale nel 2006. Un anno dopo 2 addestratori americani vennero uccisi dai loro allievi afghani. Nel 2011 il numero era salito a 35. Quest'anno supera quota 50. Inclusi 2 soldati inglesi uccisi in una trappola di poliziotti afghani sabato e ieri 4 americani nella provincia meridionale di Zabul.