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Pulsional gender art

di Valerio Zecchini - 29/11/2012

Da alcuni decenni Vitaldo Conte studia, come storico e critico d’arte, la storia di quella che oggi viene chiamata “arte estrema”, ossia il percorso di tutti quei creatori che non si sono limitati ad eseguire dei lavori estetici, ma hanno tentato di fare della propria vita e spesso del proprio corpo delle opere d’arte (in una parola: il “creare vivendo” di Marinetti); nel contempo, come performer Conte cerca di scrivere nuovi capitoli di tale vicenda, con lo pseudonimo di Vitaldix. Questo suo ultimo libro ha il pregio di analizzare  questa storia in maniera veramente organica e sistematica, e non e’ poco per una materia per sua natura cosi’ frastagliata.

Nell’ottocento i precursori dell’arte/vita furono personaggi straordinari come De Sade, Max Stirner, Nietzsche, William Morris, Rimbaud e Verlaine, Oscar Wilde, che in comune avevano non solo il vitalismo, l’esuberanza e la granitica volonta’ di opporsi all’imperante morale del gregge, ma una forte vocazione al sacrificio e al martirio. Nei primi decenni del novecento, con la diffusione del pensiero incendiario di Nietzsche e dei nuovi impulsi teorici di Henri Bergson sull’arte come “slancio vitale”, vari movimenti e avanguardie di “esteti armati” irrompono sulla scena europea, in particolare in Italia. Qui si produce una vera e propria concentrazione di monellismo collettivo, con il futurismo e le sue sperimentazioni estreme che diventano una vera e propria moda intellettuale, il successo della formidabile violenza catartica impartita dall’arditismo e dallo squadrismo,  l’impresa di Fiume di D’Annunzio che per un paio d’anni richiama l’attenzione del mondo sulla rivoluzione come festa e immaginazione al potere. L’arte insomma non ce la fa piu’ a rimanere negli angusti confini della pagina, della cornice, della statua o del  palcoscenico, vuole fare irruzione nella vita quotidiana per renderla degna di essere vissuta.

Conte prende in esame anche l’opera di figure solo apparentemente minori di questi movimenti, come la futurista Valentine De Saint-Point, autrice del  Manifesto della donna futurista (1912) e del Manifesto della lussuria (1913), nei quali solennemente proclamava che la lussuria e’ una via verso la liberazione spirituale. Un bel po’ di anni dopo, avendo percorso fino in fondo questa via, si converti’ all’islam assumendo il nome di Luce spirituale della religione. Guido Keller, oggi sepolto al Vittoriale, fu un ribelle assoluto che incarnava nel contempo l’esteta sprezzante e l’eroico uomo d’azione, vivendo l’esistenza come un continuo gioco d’azzardo. Poeta, aviatore e combattente audace, fu sempre circondato da un alone leggendario. Era insofferente ad ogni limitazione: libertario e patriota, eretico e dandy, a Fiume pratico’ e diffuse lo yoga, il nudismo e l’animalismo (addestrava gufi e aquile). Fu lui che nel  novembre del 1920 compi’ il mitico volo dimostrativo su Montecitorio, sul quale lancio’ un pitale di ferro smaltato:  sublime atto guascone contro lo squallore del parlamentarismo.

Importante anche il capitolo sul primo Julius Evola, pittore e poeta dadaista, che peraltro Conte ha riproposto qualche anno fa in veste di curatore delle mostre dei suoi magnifici quadri astratti. Evola vedeva il dadaismo come uno strumento per approdare alla trascendenza assoluta, nel 1921 pero’ rinnego’ tutto e annuncio’ il suicidio, poi cambio’ idea e si dedico’ esclusivamente alla filosofia per il resto dei suoi giorni.

Altro personaggio fondamentale nella vicenda dell’arte/vita fu Marcel Duchamp, non solo per aver inventato la pratica del ready made (oggetti di uso quotidiano come la ruota di una bicicletta o un pisciatoio elevati al rango di opera), o della trasformazione identitaria (nel 1921 si converti’ in Rrose Selavy, suo alter ego al femminile), ma perche’ nel  1937 annuncio’: “D’ora in avanti non creero’ piu’ opere d’arte, ma ogni azione della mia vita quotidiana sara’ un’opera d’arte”; e qui e’ evidente una malcelata ambizione di raggiungere la santita’, con la quale inoltre si prende alla lettera la famosa frase di D’Annunzio: “Bisogna fare la propria vita, come si fa un’opera d’arte. Bisogna che la vita d’un uomo d’intelletto sia opera di lui. La superiorita’ vera e’ tutta qui”.

Oggi pero’ potremmo tranquillamente affermare che seguendo questa strada c’e’ anche il rischio di diventare delle macchiette, come dimostrano gli esempi odierni di Sgarbi o Bonito Oliva, e a questo proposito Conte commenta: “Bisogna andare oltre, in quanto potrebbe esserci il rischio di innamorarsi di questo pensiero, al punto di volerlo realizzare solo attraverso la magnificenza esteriore della propria azione. Si deve cercare anche un senso interiore alla ‘creazione’ della nostra esistenza, fino alle esperienze extreme, come quelle del silenzio o della dispersione nell’invisibile che non lasciano tracce. Fare della propria vita un’opera d’arte non deve essere ‘legato’ ai clamori ottenuti o peggio ricercati ‘fuori’ (che espongono alla necessita’ del consenso o del successo che passa attraverso l’altrui ammirazione).  La chiave del nostro viaggio esistenziale e’ nel trovare la liberta’ di una espressione che oltrepassi ogni catalogazione. Cio’ puo’ incarnare un destino altro dell’arte-vita, che puo’ significare anche un ritorno alle origini. Le Altre Sintesi possono passare attraverso questo rapporto tra tradizione e ricerca”. Ha ragione, e a tal proposito c’e’ da dire che attualmente convivono due tendenze apparentemente contrastanti, ma convergenti nella tensione verso la trascendenza cosmica: da un lato, la moda della meditazione zen e della pratica dello yoga, dall’altro la moda del perdersi nel rumorismo elettronico estremo dei rave parties: in entrambi i casi si penetra e si disfa l’individualita’ per approdare all’oceano della pura coscienza – dall’interno con il raccoglimento e col silenzio, dall’esterno con il pulsare ossessivo del ritmo. Non e’ un caso infatti che il grande regista americano David Lynch abbia fondato nel 2011 a Parigi il club Silencio, il quale e’ un luogo dove queste esperienze possono avvenire simultaneamente.

Nei primi anni sessanta, i famosi tagli sulla tela di Fontana furono un esplicito, rinnovato invito ad uscire dai limiti canonici dell’opera, e i rappresentanti dell’arte/ vita si fecero legione: gli azionisti viennesi, il cui capofila Hermann Nitsch divento’ maestro di grandi cerimonie rituali con squartamento di animali a ritmo di musica, La Fura Dels Baus con le sue performances di combattimenti corpo a corpo e di aggressione sistematica del pubblico, la bondage art e la body art di Yoko Ono o di Gina Pane, la quale utilizzava le ferite che si autoinfliggeva per suscitare emozioni indicanti la volonta’ di superamento della dimensione corporea propriamente detta. E poi la poesia sonora, il graffitismo, il body writing, la molteplicita’ incombente e beffarda di Luther Blissett…

Ma anche la cultura punk rock ha viaggiato in questa direzione, e particolarmente interessante in questo contesto e’ la figura di Richey Edwards, chitarrista degli ottimi Manic Street Preachers; nel 1991 divento’ famoso dopo una discussione post-concerto con un giornalista che aveva messo in dubbio l’autenticita’ dei valori del gruppo, preoccupato di un possibile abuso dell’etica punk. Edwards rispose eseguendo una cruenta performance di body art sul posto, incidendosi le parole “4real” su un avambraccio con una lametta che aveva con se’ – la ferita fu suturata con diciotto punti. Nel  febbraio del 1995 Edwards si trasformo’ poi in maestro indiscusso dell’arte bianca della scomparsa, dell’assenza e del silenzio: scomparve infatti senza lasciare alcuna traccia di se’, e a tutt’oggi nessuno ha mai saputo che fine abbia fatto, alimentando quindi ogni sorta di leggende e un morboso culto della personalita’.

Gli esteti armati delle avanguardie storiche furono decisi interventisti e volontari in guerra, pensiamo a D’Annunzio e alla gran parte dei futuristi, ma anche a Celine e Hemingway, solo per fare qualche nome. Per Marinetti il gesto eroico in combattimento costituiva gia’ di per se’ un evento poetico: al riguardo e’ importante citare il siciliano Armando Mazza, futurista della prima ora dalla figura atletica, il quale si distinse fin da subito per il suo coraggio negli scontri di piazza e nelle serate futuriste, che frequentemente degeneravano in rissa. Marinetti lo nomino’ pugile ufficiale del futurismo e praticamente lo costrinse a scrivere e pubblicare un libro in versi paroliberi, “Firmamento”, ovviamente preceduto dal suo “collaudo” – cosi’ il capo chiamava le sue prefazioni. Marinetti partecipo’ a tutte le campagne militari italiane dalla guerra di Libia del 1911 in poi (eccetto la guerra di Spagna, che considerava “una guerra dei preti”). A sessantacinque anni compi’ l’estremo sacrificio e parti’ volontario in Russia, dove si becco’ la polmonite che l’avrebbe poi ucciso nel dicembre del 1944.

Ma come abbiamo visto e come giustamente affermo’ Nietzsche, in tempo di pace gli individui bellicosi infieriscono su se’ stessi, e cio’ vale soprattutto per gli esponenti dell’arte/vita, i quali in fondo sono fortemente imparentati con la mistica estatica di quei santi e di quelle sante del medioevo che si auto flagellavano e indossavano il cilicio. Secondo Conte (che ha eseguito performances sciamaniche anche con i tarantolati delle Puglie) vanno in questa direzione perfino pratiche ormai molto diffuse socialmente come il tatuaggio, il piercing, la cultura fetish; da queste subculture, fortemente ritualizzate, sono partite e partono, frequentemente, diverse espressioni del corpo estremo come arte. Esse sono ricollegabili alle prove di iniziazione delle culture tribali e allo sciamanesimo rituale. La piu’ notevole delle performances di Vitaldix (ma sarebbe piu’ corretto definirla “ prova d’ ardimento”) rimane quella compiuta nel solstizio d’estate del 2009-anno del centenario del futurismo: volo-poema, ossia un volo nel vuoto da quattromila metri senza paracadute, con l’obbiettivo di portare a terra, intatta,una rosa rossa in bocca, sottoponendola alla prova di un volo estremo.

Memorabile in questo ambito e’ anche l’epica performance della Post  Contemporary Corporation dal titolo “Il corpo dell’eretico” (1998), in cui il cantante, appeso a testa in giu’, veniva flagellato sulla schiena mentre declamava il Manifesto di fondazione del futurismo e di seguito il Rosario, con accompagnamento della musica electro noise del gruppo.

Esiste pero’ un capitolo finale di questa storia che inspiegabilmente l’autore non tratta, un non plus ultra oltre il quale non si va: il suicidio rituale di Yukio Mishima (novembre 1970), epilogo di una vita integralmente vissuta come opera d’arte; l’esteta armato che volge l’arma contro se’ stesso per l’impossibilita’ di realizzare il suo progetto politico e per la precisa volonta’ di non essere testimone del  decadimento del suo corpo perfetto. Qualche anno prima il grande scrittore giapponese si era fatto piu’ volte fotografare nei panni di San Sebastiano trafitto dalle frecce – e anche qui tutto torna, tutto si tiene. Andando ancor piu’ a ritroso con le comparazioni, il suo lo si potrebbe definire un percorso cristologico, che d’altronde ha molto in comune con quello di Pier Paolo Pasolini. Definire Cristo un artista sarebbe offensivo, ma non lo e’ definirlo una”figura d’artista”. E in fondo il sacrificio e il martirio perseguiti  dagli esponenti dell’arte/vita in nome dell’arte come religione, vengono compiuti per indicare a chi rimane “la via, la verita’, la vita”.

Il futur-dada teorizzato da Conte vuole condensare l’insieme di queste esperienze, riattualizzarle e proiettarle nel futuro, un percorso quasi parallelo a quello dei Post contemporanei. Lo affiancano diverse realta’ cultural-creative, come il netfuturismo di Antonio Saccoccio, la biopolitica di Stefano Vaj, le azioni performative di Graziano Cecchini. Per l’autore, mistica e tradizione hanno oggi un volto diverso da quello abitualmente attribuito loro, si riproducono, come ogni cosa in questo tempo ultimo, in modo estremo e con maschere di nomadismo che, apparentemente, non sono loro proprie.

“Pulsional gender art” ha un’unica pecca: quella di sopravvalutare fenomeni piuttosto spregevoli come il sedicente “cybersex” o le modificazioni artificiali del corpo (le chirurgie plastiche multiple della pseudo-artista Orlan) – il corpo e’ un tempio, e va rispettato come sacro; per il resto, e’ un testo imprescindibile per chi voglia capire appieno gli svluppi piu’ recenti  della corrente artistica piu’ importante degli ultimi due secoli. Gli obbiettivi ultimi di Conte sono profondamente radicati nella filosofia di Heidegger: infatti si avventura nella sperimentazione piu’ estrema per ritrovare l’origine; e attraverso la pratica artistica, invoca potenze oscure e prepara l’avvento dei nuovi dei.