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2012: l'anno in cui abbiamo fatto del nostro meglio per abbandonare la natura

di George Monbiot - 03/02/2013

   
   
Le emissioni stanno aumentando, il ghiaccio si sta sciogliendo e nonostante ciò la risposta dei governi è fare finta che niente di tutto ciò stia accadendo

E' stato l'anno della vita a rischio. Nel 2012 i governi hanno voltato le spalle al pianeta vivente, dimostrando che nessun problema cronico, per quanto grave, avrà la priorità su un qualsiasi interesse contingente, anche banale. Non credo che per il mondo naturale ci sia stato un anno peggiore di questo in tutta la seconda metà del secolo scorso.

Tre settimane prima che si toccasse il minimo assoluto, lo scioglimento del mare Artico ha superato il record precedente. Superstiti della megafauna globale – come i rinoceronti ed i tonni pinna blu – sono stati portati con violenza verso l'estinzione. Le malattie dei nuovi alberi hanno cominciato a seminare devastazione tra i continenti. Il numero degli uccelli e degli insetti ha continuato a crollare, la barriera corallina si è ritirata, la vita nei mari è diminuita. E coloro che hanno il compito di proteggere noi ed il mondo in cui viviamo hanno fatto finta che nulla di tutto ciò stesse accadendo.

La loro indifferenza è stata distillata in una grandiosa alzata di spalle collettiva nel corso del Summit sulla Terra tenutosi in giugno. Si pensava che il primo summit, che aveva avuto luogo 20 anni prima, avrebbe inaugurato una nuova era di responsabilità nei confronti dell'ambiente. Da allora, grazie soprattutto all'aumento del potere nelle mani delle corporations e dei grandi capitalisti, il risultato ottenuto è la radice quadrata di nulla. Lungi dal mobilitarsi in questa direzione, nel 2012 i leaders di alcuni dei governi più potenti del mondo – gli Usa, il Regno Unito, la Germania e la Russia – non si sono nemmeno presi la briga di presentarsi.

Ma hanno mandato i loro rappresentanti a sabotare. L' amministrazione Obama ha persino tentato di fare marcia indietro sugli impegni presi da George Bush senior nel 1992. La dichiarazione finale è stata la parodia di una non azione. Nello momento stesso in cui la sottoscrivevano esprimendo il loro “profondo interesse” nei confronti delle crisi mondiali in aumento, i 190 paesi firmatari non hanno stabilito nessun nuovo traguardo, nessuna scadenza e nessun impegno, con una sola eccezione. Sedici volte hanno parlato di “crescita sostenuta”, espressione utilizzata interscambiabilmente con il suo esatto opposto, ovvero “sostenibilità”.

L'incontro sul clima tenutosi a Doha a fine anno ha prodotto un'analoga combinazione tra inconsistenza e contraddizione. I governi hanno cominciato ad ammettere, senza tuttavia dimostrarsi particolarmente preoccupati, che nel corso di questo secolo non sarà possibile rispettare l'obiettivo del non superamento dei 2 gradi centigradi di riscaldamento globale. Addirittura ci stiamo già avviando verso il raggiungimento di una temperatura che oscilla tra i quattro ed i sei gradi. Per scongiurare il collasso climatico la combustione del carbone dovrebbe subire un brusco rallentamento. Niente di più lontano: l' Ente Internazionale dell'Energia riporta che l'utilizzo globale di combustibile ad alta concentrazione di carbone fossile è in aumento (quasi 200.000 tonnellate l'anno). Ciò aiuta a spiegare per quale motivo le emissioni globali stiano crescendo così rapidamente.

I nostri leader trattano il cambiamento climatico come una colpa segreta. Persino dopo la devastazione dell'uragano Sandy, le siccità da record e gli incendi a macchia d'olio che hanno devastato gli Stati Uniti, i due maggiori candidati alla Casa Bianca si sono rifiutati di toccare l'argomento, fatta eccezione per una frase buttata lì da entrambi. È mai accaduto che una questione di così grande importanza ricevesse meno attenzione nell'ambito di una corsa presidenziale?

Le stesse mancanze caratterizzano le altre forze della distruzione. Nel 2012 ai governi europei è stata bocciata la riforma da loro proposta sulla Politica Agricola Comunitaria, studiata nei minimi dettagli per massimizzare il danno ambientale. In base ad essa i sussidi alle aziende agricole potrebbero essere elargiti solo previa la distruzione delle colture (e quindi dell'intero ecosistema) da parte degli stessi contadini. Spendiamo 55 miliardi di euro l'anno per gettare nell'immondizia il mondo naturale.

Tutto ciò contribuisce a quella che a me pare essere una sorta di “pulizia globale”: una rimozione di ecosistemi e di schemi naturali attraverso l'intensificazione dell'agricoltura, della pesca, delle attività estrattive e di altre industrie. Se si getta lo sguardo su ciò che è accaduto negli ultimi decenni ci si rende conto di quanto la distruzione messa in atto sia molto più grave di qualsiasi altra questione da cui i media sono ossessionati. Come i governi, l'industria mediatica ha abbandonato la natura.

Nel 2012, nel Regno Unito, le chiavi della galleria d'arte sono state consegnate a dei vandali. Le politiche ambientali sono ora nelle mani di gente – come George Osborne, Owen Paterson, Richard Benyon e Eric Pickles – che non ha a cuore la natura più di quanto i Puritani avessero a cuore le belle arti. Tutto il loro daffare sta nel deturpare i maestri del passato e nel distruggere le statue antiche.

Se ne sono infischiati delle norme ambientali, hanno paralizzato enti come Inghilterra Naturale e l'Agenzia per l'Ambiente e si sono assicurati che la campagna diventasse molto più che un luogo di ricreazione per gli ultraricchi, esentati da ogni restrizione sulla caccia del gallo cedrone, l'uso di pallottole di piombo, l'uccisione di uccelli da preda e l'utilizzo di pesticidi che stanno annientando le nostre api ed altri invertebrati.

Sulla stessa linea il governo ha ridotto la lista delle possibili zone destinate alla conservazione marina da 127 a 31. E persino queste 31 saranno protette solo nominalmente: l'industria della pesca avrà il permesso di scatenarsi al loro interno. Due settimane fa il Regno Unito ha – con successo - fatto delle pressioni affinché le quote delle specie di pesci sfruttabili oltre il limite massimo fossero alzate, nel totale disprezzo delle prove scientifiche che mostrano come tutto ciò sia follia. George Osborne ha fatto la stessa cosa con le politiche di cambiamento climatico per il Regno Unito. Nonostante l'opposizione persino dei colossi dell'energia, egli sta cercando di rottamare o almeno di spostare più avanti nel tempo il nostro obiettivo di ridurre le emissioni di carbone e di rimanere agganciati al gas naturale come fonte primaria. La banca d'investimento verde che avrebbe dovuto finanziare il passaggio alle nuove tecnologie è l'unica in Europa a cui sia proibito chiedere un prestito. A questo punto potrebbe anche non esistere.

Se c'è una speranza, questa è nella gente. I sondaggi d'opinione mostrano che i votanti non appoggiano l'inazione di chi li governa. Persino una maggioranza di Conservatori crede che entro il 2030 il Regno Unito debba iniziare a generare la maggior parte della propria energia da fonti rinnovabili. Negli Stati Uniti l'80% delle persone intervistate finora dice che il cambiamento climatico sarà un problema serio per il loro paese se non ci si decide ad intervenire: un aumento significativo dal 2009. Il problema è che la maggior parte delle persone non è preparata a tradurre in azione queste convinzioni. I cittadini, esattamente come i governi e i media, hanno distolto lo sguardo dal problema più grave dell'umanità.

Per evitare un altro anno terribile come il 2012 dobbiamo tradurre questi interessamenti passivi in una mobilitazione di massa. Gruppi come 350.org mostrano come si potrebbe fare. Se c'è una cosa che questo annus horribilis ci insegna è che se non ci si mobilita l'azione, semplicemente, non avviene. I Governi si interessano solo nella misura in cui i cittadini li obbligano ad interessarsi. Nulla cambia se non siamo noi i primi a cambiare.



Fonte: www.guardian.co.uk
http://www.guardian.co.uk/commentisfree/2012/dec/31/year-abandon-natural-world