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Cos'è il populismo

di Marco Tarchi - 17/04/2013

Foto: Cos'é il populismo  è disponibile il n. 313 di Diorama letterario dedicato al tema  www.diorama.it

 

La repentina ascesa del movimento politico ispirato e capeggiato da Beppe Grillo ha accentuato la proiezione sulla scena messmediale del populismo, al quale il "caso Grillo" viene ascritto. E, con una intensità ancora maggiore di quella già non trascurabile degli ultimi vent'anni, si sono accumulate le analisi, i commenti, le congetture, le aggettivazioni, i distinguo, e soprattutto le invettive polemiche e le messe in guardia — persino nelle massime sedi istituzionali — dedicate al fenomeno.
A chi studia da tempo questa sorta di oggetto misterioso, al quale giornalisti e politici addebitano le peggiori colpe e assegnano i più svariati contenuti, questa nuova fiammata dì attenzioni non può suscitare sorpresa. L'espandersi nella pubblica opinione di sentimenti, umori e giudizi legati ad una mentalità populista, e il correlativo aumento dei soggetti decisi a sfruttare questo ricco giacimento per alimentare i consensi verso i propri progetti e le connesse ambizioni, non è infatti che il frutto, più o meno maturo, delle delusioni che le "promesse non mantenute" dei regimi democratici e delle classi politiche che li hanno guidati da vari decenni a questa parte hanno suscitato. Nello spirito del tempo che si è instaurato dopo il 1945 e consolidato all'indomani del 1989, al disincanto verso la democrazia — che continua ad essere considerata dai più la meno peggiore delle forme di esercizio del potere oggi praticabili — non potevano corrispondere un revival delle passioni ideologiche che si sono accompagnate in passato alle esperienze totalitarie o una nostalgia della prassi paternalistica dell'autoritarismo. Era ed è molto più logico che si sviluppasse una critica interna alla democrazia, volta a rivendicarne le radici autentiche e ad esigerne la messa in pratica, con uno sguardo rivolto a quella restituzione dello scettro al principe dei tempi moderni — cioè al popolo — che da sempre ì teorici democratici promettono e i loro seguaci, una volta raggiunto il potere, dimenticano. E questo è, appunto, il Leitmotiv della predicazione populista: riconoscere concretamente il diritto/dovere dei governati di controllare l'azione dei governanti e piegarla ai propri voleri, dal momento che la formula chiamata a legittimare la "superiorità" del modello democratico si fonda su un esercizio del potere di governo non solo in nome del popolo, ma per il popolo e da parte del popolo.
Sono numerose e note le obiezioni che a questa pretesa di coerenza fra enunciazioni e prassi sono state opposte. C'è chi ha messo in dubbio l'esistenza stessa di una entità collettiva definibile come popolo, sostenendo che nella realtà sociale ad esprimersi e contare sono solo gli individui, e che pertanto la sovranità democratica dovrebbe essere parcellizzata e posta in capo a ciascuno di essi, non ad un ipotetico aggregato che ne dissolverebbe le volontà soggettive. Altri hanno chiamato in causa il principio di competenza, che vieterebbe di affidare le redini di meccanismi troppo complessi a dei dilettanti. Nell'uno e nell'altro caso (e in vari altri, che non possiamo qui neppure accennare per motivi di spazio), le argomentazioni esibite sono servite a legare a doppio filo la democrazia a meccanismi di delega e di rappresentanza, liquidando quelle istanze di partecipazione diretta alla gestione del potere che tutti i populisti, al di là dei loro specifici motivi di distinzione, rivendicano.
Comunque si vedano le cose, è certo che oggi queste rivendicazioni trovano terreno fertile, e che le domande poste dal populismo non possono essere eluse. Il grande successo ottenuto da Grillo, che della mentalità populista è un interprete efficace — si pensi all'idea che la politica possa e debba essere gestita come una cosa semplice, affidabile a una "madre di famiglia", all'esplicita richiesta di un vincolo di mandato che consenta di controllare dal basso gli eletti, alla condanna della politica di professione come inevitabile fonte di corruzione, alle polemiche contro "quelli che stanno in alto" ed abusano del proprio potere (banchieri, burocrati, partitocrati), al non celato disprezzo verso gli intellettuali propagatori di fumisterie e manipolatori, al rifiuto delle mediazioni istituzionali con le loro defatiganti tergiversazioni, all'opposizione dei referendum alle inconcludenti prassi parlamentari, ai richiami (spesso deplorati dai difensori del "politicamente corretto") alla preservazione dei caratteri del "nostro" popolo da prevaricazioni esterne, si tratti di ius sanguinis e ius soli, di moniti riguardo all'americanizzazione culturale o di critiche a taluni effetti negativi dell'immigrazione di massa, alla esaltazione del benessere ottenuto con fatica ed impegno dalle laboriose classi medie, al rifiuto di sottoscrivere il paradigma distintivo sinistra/destra, dichiarato obsoleto —, lo dimostra.

(dal N. 313 di Diorama letterario, dedicato al populismo)