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Lettera aperta a Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio

di Alessio Mannino - 26/04/2013

 


 

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Cari Grillo e Casaleggio,

fingiamo che leggerete questa mia, che in ogni caso vi invierò. Il sottoscritto è un giornalista che simpatizza per il vostro movimento perché l’unico su piazza che ha in sé le premesse per far largo ad una vera Liberazione. Con i suoi limiti, difetti ed errori, com’è umano che sia essendo nato praticamente ieri, partito da una sana tabula rasa degli schemi del passato, e composto da persone assolutamente comuni, e perciò prive di preparazione politica. È una forza, quella da voi fondata, al momento rivoluzionaria solo potenzialmente, ma che presenta i presupposti per diventarlo effettivamente: il rifiuto dell’intera classe partitica, una sacrosanta ostilità per i padroni del vapore, la confusa ma forte volontà di riappropriarsi direttamente della cosa pubblica, l’apertura a orizzonti alternativi in economia, il tentativo di conciliare istanze sociali finora considerate opposte (il precario è sia lo schiavo del contratto a tempo che il piccolo imprenditore alla catena della finanza bancaria), l’intuizione del primato della vita sulla produzione, la riscoperta del necessario valore della comunità. 

Ma per fare del Movimento 5 Stelle l’ariete della distruzione creativa e ricostruzione radicale non basta l’agenda elettorale, né lanciare suggestioni e richiami senza una rigorosa elaborazione culturale. Occorre alzare il tiro e affrontare, sia pur con la dovuta gradualità, i nodi epocali che tengono l’Italia e l’Europa soggette a mali di fondo che vanno ben al di là dei costi della politica o del livello di tasse. Io mi permetto qui di suggerirvi tre temi di lungo periodo che secondo me dovrebbero essere fatti propri da un movimentismo che non si rassegni ad un’opposizione puramente parlamentaristica, istituzionalizzata e a rischio binario morto nell’inseguire la tattica del giorno per giorno. 

1. Il controllo della moneta è decisivo. Il sistema monetario europeo andrebbe radicalmente rifondato. Non essendo possibile farlo, lo Stato nazionale, attualmente depositario della sovranità popolare, deve poter riprendersi il potere di emissione e circolazione delle moneta. Il ritorno alla valuta nazionale dovrebbe farsi a due condizioni: un’uscita regolamentata e organizzata in modo da alleviare le prime conseguenze negative, e un riassetto radicale della gestione monetaria, a partire dalla proprietà pubblica della nuovo divisa nazionale, con una banca nazionale dello Stato e non in mano alle banche. Riappropriandosi della moneta, togliere alle banche l’esazione occulta dell’interesse rimodulando il circolante: non più liquidità speculativa, ma scambi tramite moneta deperibile e garantita da camere locali di compensazione. 

2. Il metodo di autogoverno preferibile è la democrazia diretta in ambito locale, con una parte di delega rappresentativa limitata all’essenziale (come in Svizzera e più della Svizzera). L’architettura istituzionale, coerentemente con l’aspirazione all’autogoverno più vicino possibile alla dimensione comunitaria, dovrà essere giocoforza federale. Questo anche deriva dal bisogno di rimettere radici, di riscoprire i caratteri ancora vivi e vivificanti delle tradizioni, ridare alla vita del singolo ritmi e condizioni a sua misura e del contesto naturale in cui vive (ottica bioregionale). Un federalismo a democrazia diretta secondo il principio di sussidiarietà: altro che vent’anni di chiacchiere leghiste. 

3. Mettere in discussione l’alleanza-sudditanza agli Stati Uniti e alla sua politica imperiale va di pari passo con lo svincolarsi dalla dittatura dell’austerità germanica. Come non è sopportabile una politica economica ostaggio dei diktat tedeschi, non è più accettabile essere di fatto un protettorato Usa, con basi disseminate sul territorio nazionale ed una politica estera succuba degli interessi di Washington. È vitale porsi l’obbiettivo della riconquista della sovranità, presupposto della libertà di autodeterminazione. 

In sintesi, il nostro già barzellettesco Stato non batte moneta, di fatto non ha autonomia fiscale, è privo di indipendenza geopolitica e si è consegnato mani e piedi ad una tecnostruttura sovranazionale schiava della speculazione: tecnicamente, non è più in nulla uno Stato sovrano, libero. Una colonizzazione avvenuta in modo indolore, sottile, mascherato, coperta dai falsi ideali dell’atlantismo, del libero mercato e della mistica europeista. Non a nostra insaputa, sia chiaro, ma col nostro consenso o con la nostra indifferenza. Ne stiamo pagando amaramente il fio, che si chiami Napolitano bis, dittatura dei mercati, Mes, Esm, tassazione usuraia, schiavitù salariata, immigrazione senza controllo, oblio della storia e paesaggio sbranato. In una parola: disumanizzazione.

Ma per tutto ciò, il blog, i meetup e la rete da sole non bastano. Serve una palestra d’idee per addestrare i cittadini che sognava Monicelli in un suo appello prima di morire: che non si affidino alla trappola della speranza, ma lottino per la sovversione dell’ingiustizia. Massimo pragmatismo sul qui e ora, ma nessuna concessione su scopi finali che andrebbero definiti con chiarezza, senza fretta ma anche senza indugio. Creiate, creiamo un giornale online della rivoluzione futura, che coinvolga menti giovani e non più giovani, ma ferventi di pensieri coraggiosi. E si strutturi il movimento privilegiando le competenze, con un’opera di formazione culturale e politica istruendo eletti e candidati. Fatelo, o il presente vi schiaccerà. E con esso, la nostra fiducia nel vostro movimento.