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L'omicidio è il nostro sport nazionale

di Chris Hedges - 22/05/2013

   
   
L’omicidio è il nostro sport nazionale. In Afghanistan e in Iraq uccidiamo decine di migliaia di persone con le nostre macchine della morte industriali. Uccidiamo altre migliaia di persone dai cieli sopra Pakistan, Somalia e Yemen con i nostri droni senza pilota. Ci uccidiamo l’un l’altro con incauto trasporto. E, come se le nostre mani non fossero abbastanza ricoperte di sangue umano, uccidiamo i carcerati – la maggior parte di questi sono persone di colore povere che sono state dietro le sbarre per più di un decennio. Gli Stati Uniti d’America credono nella rigenerazione attraverso la violenza. Per generazioni siamo stati i responsabili di bagni di sangue in terre straniere e nel nostro stesso paese, nella vana speranza in un mondo migliore. E peggio diventa e più a fondo il nostro impero affonda sotto il peso del nostro declino e della nostra depravazione, più uccidiamo.

Ci sono parti della nazione in cui gli elettori, o almeno quelli di pelle bianca, affida gli assassini agli uffici politici, consapevolmente e regolarmente. L’omicidio è un segno di forza. L’omicidio è un simbolo irremovibile. L’omicidio significa legge e ordine. L’omicidio ci tiene in salvo. Fissare il criminale con le cinghie intorno alla barella. Infilare gli aghi nelle vene. Portare via il corpo. E’ il nostro dovere cristiano. Dio benedica l’America! E il prossimo sulla lista per essere ucciso in Florida – uno stato che ha deciso, attraverso il nuovo atto cinicamente chiamato “Timely Justice Act” (Giustizia Tempestiva) che ha bisogno di accelerare il suo tasso di esecuzioni – è William Van Poyck. La sua morte è programmata per il 12 giugno alle 18.00 nella Prigione di Stato della Florida attraverso iniezione letale. E’ uno scrittore che ha passato anni a parlare della crudeltà del nostro sistema di incarcerazione di massa. Il 12 giugno, se il Governatore Rick Scott sarà d’accordo, Van Poyck non scriverà mai più. E questo è proprio quello che vuole la nostra classe politica di assassini.

“Solo Dio può giudicare”, ha affermato durante il dibattito Matt Gaetz, un Repubblicano che ha promosso il Timely Justice Act nella Camera dei Rappresentanti della Florida. “Ma possiamo sicuramente posticipare l’ora del giudizio.”

Van Poyck, 58 anni, sa cosa sta per succedere. L’ha già visto molte volte prima. Annota i fatti della sua esistenza nel braccio della morte nel suo blog, postato da sua sorella, Lisa Van Poyck, nel sito deathrowdiary.blogspot.com, dove c’è una petizione al Governatore Scott, in cui si chiede un rinvio.

“Non ero molto sorpreso quando si sono presentati davanti alla porta della mia cella con catene e manette”, ha scritto a sua sorella il 3 maggio. “Più o meno per l’ultimo mese ho avuto un forte presentimento che la mia condanna a morte sarebbe stata firmata, ma questa era una cosa che volevo condividere con te”.

“Sorellina, sai che sono una persona schietta, non mi piace indorare la pillola, quindi non voglio che tu ti faccia illusioni a riguardo”, ha scritto. “Non mi aspetto ritardi o rinvii. E’ così. Entro 40 giorni questa gente mi porterà nella stanza a fianco e mi ucciderà”.

“Dopo più di 40 anni di vita in carcere sono pronto ad abbandonare quest’esistenza senza via d’uscita ed andare avanti”, ha concluso. “Me ne vado con molti rimpianti per le persone che ho ferito e per quelle che ho deluso e per una vita sprecata. Il mio spirito volerà via abbracciando tutte le lezioni che ho imparato in 58 anni sulla “Scuola della Terra” e con un’implacabile determinazione a non ripetere quegli errori alla prossima occasione”.

Prima della firma della sua condanna a morte e del suo trasferimento improvviso in una cella a fianco della camera di esecuzione, Van Poyck era uno dei pochi all’interno del sistema a testimoniare ostinatamente l’abuso e l’omicidio dei prigionieri nel braccio della morte.

“La morte di Robert Waterhouse era programmata alle 18.00 di questa sera”, ha scritto Van Poyck a sua sorella nel 2012. “In conformità con il protocollo di esecuzione esecutivo Robert è stato fissato alla barella e gli aghi sono stati inseriti nelle braccia, circa 45 minuti prima dell’ora programmata. Proprio prima delle 18.00 comunque, ha ricevuto un rinvio di 45 minuti che sono diventati un test di resistenza di ben 3 ore poiché è rimasto sulla barella per secondi, minuti e poi per ore che scorrevano molto lente aspettando che qualcuno gli dicesse se la speranza era lì, a due passi da lui, se sarebbe morto o se avrebbe potuto continuare a vivere. Poco prima delle 21.00 ha ricevuto la risposta, le siringhe erano vuote e lui è stato sommariamente ucciso”.

“Qui nel braccio della morte possiamo percepire l’ora approssimativa della morte quando vediamo il vecchio carro funebre bianco della Cadillac che avanza attraverso il cancello di uscita posteriore per prendere il corpo, lo stesso familiare carro funebre degli anni ’60 che ho guardato per quasi 40 anni, che arrivava per recuperare i prigionieri uccisi, il ché accadeva regolarmente quando ero in libertà”, ha continuato. “Ho visto molti ragazzi, amici e non, portati via da quel vecchio carro funebre. Comunque, immagina per un momento di essere sopra quella barella per più di tre ore, con gli aghi nelle braccia. Hai già fatto i conti con la morta imminente, ti sei già riconciliato con la realtà, ovvero che è questo, è questo il modo in cui morirai, che non ci saranno rinvii. E poi, all’ultimo momento, un trucco crudele, ti viene data quella magra speranza, che afferri istintivamente. Alcune corti, da qualche parte, ti hanno dato un rinvio temporaneo. Fissi il soffitto, mentre l’orologio sul muro scorre. Sei completamente solo, nessun amico in vista, sei circondato da uomini con facce arcigne determinati ad ucciderti. Il tuo cuore batte forte, il tuo corpo è galvanizzato e ogni secondo che passa sembra un’eternità come se un caleidoscopio di pensieri selvaggi si infrangesse selvaggiamente nella tua mente schiacciata. Dopo tre ore sei esaurito, esausto, terrorizzato e poi il telefono attaccato al muro suona e ti viene detto che è ora di morire. Per me, questa è una punizione crudele e inusuale secondo ogni definizione”.

Van Poyck è stato condannato a causa della morte di una guardia nel 1987, nonostante lui continui a dire di non aver premuto il grilletto. Ma anche se l’avesse fatto, questo non giustifica l’omicidio nel nome della giustizia. Violentiamo i violentatori? Abusiamo sessualmente dei pedofili? Picchiamo i criminali violenti? Investiamo i pirati della strada con dei veicoli? E se Van Poyck stesse dicendo la verità? E se non avesse ucciso quella guardia? Non sarebbe il primo prigioniero nel braccio della morte a morire per un omicidio che lui o lei non ha commesso, specialmente in Florida. Lo stato ha condannato a morte più persone rispetto ad ogni altro stato negli ultimi decenni. Ne ha giustiziati 75 da quando la pena di morte è stata ripristinata in Florida negli anni ’70. Ci sono stati 24 prigionieri nel braccio della morte che sono stati scagionati – un’assoluzione per ogni tre esecuzioni. Non solo potremmo uccidere un innocente, ma abbiamo ucciso degli innocenti, come tristemente illustrato dai moderni test del DNA che hanno poi scagionato alcuni di coloro che erano già stati condannati a morte.

“Quando ho sentito della condanna dall’avvocato di Bill, non ce l’ho fatta”, mi ha detto la sorella di Van Poyck, domenica alla guida della sua macchina da Richmond, Virginia, la città dove vive, verso Bradford County, Florida, per vedere suo fratello. “Ero in pausa pranzo. Ho cominciato a singhiozzare e a piangere. Il Governatore Scott ha firmato le condanne per i prigionieri che hanno commesso crimini atroci, persone che hanno ucciso bambini o serial killer. Pensavo che Bill avrebbe potuto essere salvo per un lungo periodo. E’ come se lo vedessi ancora camminare qui in giro. Ed ora è nella cella della morte”.

“Sebbene abbia sicuramente commesso un reato cercando di far uscire un amico da un furgone della prigione, dove il suo complice, Frank Valdes, ha sparato e ucciso una delle guardie, Bill non ha mai avuto intenzione di ferire nessuno, ben che meno uccidere”, ha detto Lisa. “Sento che 26 anni nel braccio della morte con la spada di Damocle che pende sulla sua testa siano stati una punizione sufficiente per il crimine che ha commesso. Ho ricevuto così tante lettere da persone che dicevano che i suoi scritti, specialmente la sua autobiografia “A Checkered Past” (Un passato a scacchi), hanno cambiato la loro vita. Non è più l’uomo che era una volta. Ha subito una profonda conversione spirituale. E’ un’anima stupenda. Merita, di vivere”.

Nella sua autobiografia, Van Poyck descrive la sua adolescenza problematica, inclusa la morte di sua madre per avvelenamento di monossido di carbonio quando lui aveva un anno. Suo padre, che lavorava per l’Eastern Airlines e che perse una gamba durante la Seconda guerra mondiale, affidò i bambini a diverse donne, la maggior parte di loro negligenti e violente. All’età di undici anni Van Poyckera in una casa di rieducazione, insieme a Lisa di 12 anni e il fratello Jeffrey di 18. A 17 anni Van Poyck è stato in prigione per rapina a mano armata. E poi nel 1987 lui e Valdes hanno provato a liberare un amico da un furgone della polizia nel centro città di West Palm Beach. Una guardia è stata sparata mortalmente, apparentemente da Valdes, che una decina di anni dopo morì dopo che otto guardie di prigione lo picchiarono a morte nella sua cella. Il fratello di Van Poyck, malato di cancro ai polmoni, è stato mandato in prigione dal 1992 per una serie di rapine in banca nella California del Sud.

Van Poyck ha scritto due romanzi: “The Third Pillar of Wisdom” (Il terzo pilastro della saggezza) e “Quietus” (Morte). Una delle sue storie brevi, “The Investigation” (L’indagine) sarà inclusa in un’antologia delle scritture della prigione edite da Joyce Carol Oates.

“Ho iniziato a lavorare con Bill [Van Poyck] nel 2007 durante il programma di scrittura ‘PEN’ della prigione”, ha detto Elea Carey, scrittrice di storie brevi di San Francisco, sua insegnante di scrittura per due anni. “C’è un senso di isolamento nelle sue scritture, come se fosse cresciuto solo nella natura. Ha definito la sua esperienza senza che nessuno intorno a lui lo aiutasse a capirla. Spesso sembra che sia precipitato improvvisamente in un paese straniero. La sua sensibilità verso gli altri, la sua compassione, la sua consapevolezza e la sua empatia sono cresciute insieme alla sua capacità di scrivere. E’ passato dalla solitudine all’essere alle prese con le basi delle relazioni umane”.

“Le persone muoiono ogni giorno”, ha affermato Carey quando eravamo al telefono. “Ho perso mio padre a gennaio. Non ho paura della morte. Non penso che Bill abbia paura della morte. Non sono stupita che il Governatore Scott abbia fatto questo. Ma voglio fare tutto il possibile per far sì che questo non accada. Siamo una società dormiente. Anche noi non sappiamo cosa significhi pienamente essere umani. Questo essere “dormienti” faceva una volta parte della vita di Bill. Lo era quando commetteva i suoi crimini e gli sbagli che sa di aver commesso. Ma questa incoscienza non è limitata solo alle persone come Bill, ma anche a coloro che pensano sia giusto commettere questo tipo di danni ad altri essere umani. Voglio che il mio governo sia al di sopra dell’omicidio”.

Van Poyck ha l’occhio per i dettagli, uno stile di scrittura conciso e laconico ed una compassione profonda per chi è intrappolato nel sistema. Esplora il degrado giornaliero della vita della prigione, un mondo cupo in cui circa 50.000 persone sono trattenute in carceri di massima sicurezza o detenzioni speciali e in cui la disperazione e l’angoscia minacciano di annientare chi vi si trova.

“Ieri la prigione è stata chiusa a chiave tutto il giorno per la simulazione standard di esecuzione”, la procedura che avviene una settimana prima dell’effettivo omicidio premeditato”, ha scritto a sua sorella a febbraio 2012. “Per la simulazione dell’esecuzione chiudono la gattabuia, portano una serie di “parrucconi” ed effettuano una prova per assicurarsi che la macchina della morte funzioni correttamente, tutti sono all’erta. I “parrucconi” sono solo dei controllori, qui per uccidere indirettamente qualcuno mostrando però una copertura morale perché in realtà non pugnalano le vittime tra le costole. I loro leccapiedi fanno invece il lavoro sporco, mentre loro possono tornare a casa con la coscienza tecnicamente pulita. Queste finte esecuzioni sono deprimenti quanto quelle vere, perché è orribile vedere un’intera organizzazione (una prigione con tutte le sue parti costitutive) dedicare così seriamente tutte le sue energie e tutto il suo tempo per uccidere un “amico essere umano”, come se fosse una cosa giusta e naturale da fare. Serve una capacità mentale particolare (per non parlare di quella morale) per giustificare ciò a se stessi, ma noi umani siamo diventati dei grandi esperti per quanto riguarda la delusione e l’ipocrisia, soprattutto quando all’equazione aggiungiamo la religione. Siamo molto, molto bravi ad uccidere persone nel nome di Dio. Siamo una specie strana, non è vero? A coloro che pensano che la pena di morte non voglia dire uccidere (o, per usare una definizione legale, semplicemente omicidio) poiché tutto è fatto “secondo la legge”, voglio ricordare che i nazisti hanno fatto tutto “secondo la legge”. I nazisti erano meticolosi nel seguire la legge per tutte le azioni che hanno commesso; hanno trovato rifugio nella legge, seguendo puntigliosi la parola della legge prima di schiavizzare e/o giustiziare le loro vittime. La frase ‘Stavamo solo seguendo la legge’ è una scusa banale quando sei proprio tu in prima persona a scrivere le leggi…”.

In prigione, scrive Poyck, tutto questo si mescola con una monotonia senza fine spesso interrotta da periodiche esplosioni di atti di violenza e tragedia: un’esecuzione o una morte, un accoltellamento con una mazza di metallo, pestaggi da parte delle guardie, esaurimenti nervosi, stupri e suicidi.

“Il gruppo di ricerca è arrivato la scorsa settimana e hanno distrutto la mia cella”, ha scritto a gennaio 2012. “E’ stato un colpo basso e strategico (sono infatti venuti per me solo) e mi è stato detto dopo che ‘qualcuno’ aveva scritto una lettera su di me incolpandomi (ingiustamente) di avere un’arma nella mia cella. Sono piuttosto convinto che quel ‘qualcuno’ fosse una persona che cercava di ottenere un rapporto disciplinare facendo una soffiata su di me nel tentativo che trovassero qualcosa, qualsiasi tipo di merce di contrabbando e la spia ne avrebbe quindi avuto il merito. Ma non ne avevo alcuna e quindi la lettera è stata eliminata. Se l’amministrazione avesse un minimo di integrità, scriverebbe un rapporto disciplinare alla spia per ‘false asserzioni al personale’. Ho passato diverse ore a rimettere in ordine la mia cella, era come se fosse passato un uragano, tutti i miei averi erano sparsi ovunque. Questo è il tipo di stronzate con cui devi fare i conti in prigione, la natura della bestia. Anche se, bè accidenti, accade anche per le strade. Gli informatori sono maestri manipolatori e la polizia fa regolarmente il loro gioco anche se sanno che le spie si inventano spesso storie ed indizi a loro piacimento…”.

Ha scritto prima quest’anno riguardo il rapido declino di un altro prigioniero, Tom, che “solo quattro mesi fa era robusto e in salute ed ora è solo un insieme di carne mangiata dal cancro e ossa”. “E’ stato rimosso dalla sua cella con una sedia a rotelle, poiché troppo debole per opporre la minima resistenza ed è stato trasferito nell’unico posto in cui temeva di andare: la nostra sudicia cella clinica piena di schizzi di sangue ed è stato consegnato a una morte isolata e molto dolorosa. L’immagine di lui, incapace di biascicare due parole, che debole mi dava l’addio, con i suoi occhi infossati e fissi in cui si poteva leggere l’accettazione di morire in quel modo, sarà per sempre impressa nella mia memoria”.

“Confesso che è faticoso essere circondati da così tanta morte – la morte vera e propria e quella che deve ancora avvenire –in questi ultimi due decenni c’è stata dentro di me una lotta che non deve affondare nella negatività e ho poco per attenuare le mie delusioni”, ha scritto. “Ogni giorno compio un grande atto di volontà nello svegliarmi ed impormi uno scopo, per credere che questa vita mortale sia più di un semplice gioco d’ombre in una scatola d’ombre…”.

“Il mio vecchio amico Tom è morto venerdì 8 febbraio alle 16.10, solo, nella cella clinica di isolamento”, ha scritto a sua sorella poco dopo. “Odio il fatto che sia morto da solo, chiuso in una cella minuscola senza una radio o una televisione che potessero distrarre la sua mente e nessuno che potesse parlare con lui, o qualcuno che potesse semplicemente vegliare su di lui al suo capezzale, ma lui era solo a fissare il soffitto, aspettando la fine. I suoi familiari, in grado di viaggiare dal Texas e dalla Carolina del Nord per andare a visitarlo per tre ore solo due giorni prima che morisse, mi hanno scritto che era molto debole e magro, che non poteva ingerire cibo ed acqua ma era abbastanza lucido per una visita significativa, anche se per poco. Sebbene sapessi che la sua morte era imminente ed inevitabile, mi sorprende quanto mi abbia colpito. Ho visto tanti orribili morti durante i miei anni in prigione (veramente troppa morte, in tutte le sue varianti), incluse anche quelle di alcuni amici, ma la morte di Tom mi ha tolto il respiro. Mi ritrovo spesso a pensare a lui quando leggo qualcosa di interessante o vedo qualcosa in televisione che potrebbe piacergli e giuro che a volte sento la sua voce chiamarmi. Una parte di me è felice per lui perché so che è finalmente libero, ma non posso mentire: mi manca molto”.

Chris Hedges, la cui rubrica viene pubblicata ogni lunedì su Truthdig, ha passato quasi due decenni come corrispondente estero in America Centrale, Medio Oriente, Africa e Balcani. Ha lavorato da più di 50 paesi e lavorato per il The Christian Science Monitor, per la National Public Radio, per il Dallas Morning News e il New York Times, del quale è stato corrispondente estero per 15 anni.

Fonte: www.informationclearinghouse.info
Link: http://www.informationclearinghouse.info/article34929.htm
13.05.2013

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di GIULIA PERINO