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Ogni cosa ha un limite. Impossibile perseguire lo sviluppo perpetuo

di Massimo Fini - 27/05/2013



In concomitanza col Festival dell'Economia di Trento si svolge a Rovereto un Alterfestival, un controfestival, organizzato da alcune associazioni, per lo più di giovani, cui partecipano alcuni intellettuali, diciamo cosi', 'eterodossi' e al quale sono stato invitato.

Cerchero' qui di anticipare, in estrema sintesi, cio' che diro' stasera. Il modello di sviluppo che ormai solo per convenzione chiamiamo occidentale perchè è nato in Inghilterra con la Rivoluzione industriale a metà del XVIII secolo, ma ha coinvolto da tempo la Russia e più recentemente la Cina, l'India e altri Paesi cosidetti 'emergenti', si basa sull'impossibile: le crescite esponenziali che esistono in matematica ma non in natura. Ogni cosa umana ha un limite. Noi, dal punto di vista economico, ma non solo, lo stiamo raggiungendo. Siamo come una potentissima macchina che, partita appunto a metà del Settecento, ha percorso a velocità sempre crescente due secoli e mezzo, e ora si trova di fronte a un muro. Andare ancora avanti non è più possibile. Ma non si rassegna e continua a dare di gas finchè, prima o poi, fonderà. Fuor di metafora: non si puo' più crescere. Ma le leads mondiali, di destra e di sinistra, per ignoranza o malafede, continuano a parlare di crescita illudendo le loro popolazioni. Certo, per un po' potranno ancora continuare in questo gioco illusionistico immettendo nel sistema enormi quantità di liquido che, proprio per la sua entità, non corrisponde a nulla se non a una scommessa su un futuro cosi' sideralmente lontano da essere inesistente, drogando ulteriormente il cavallo già dopato sperando che faccia ancora qualche passo avanti fino al fatale e inevitabile collasso per overdose. Il che significherebbe il crollo, sanguinoso, del nostro mondo.

Si puo' evitare questa apocalisse? Si', se gli uomini fossero delle creature intelligenti. Si tratterebbe di avere il coraggio di fare qualche passo indietro, di ritornare, in modo graduale, ragionato e limitato, a forme di autoproduzione e autoconsumo, che passano per un recupero della terra (la Madre Terra che ci dà il cibo, l'unica cosa veramente indispensabile insieme a una abitazione e, ma non sempre, al vestire) e per il ridimensionamento dell'apparato industriale, finanziario e ora anche di quel mondo virtuale che ci sta inghiottendo tutti (se c'è una rapina un po' movimentata, come quella avvenuta nei giorni scorsi a Milano nella centralissima via Spiga, chi vi ha assistito dice «sembrava di essere in un film», non è più la fiction che imita la realtà, ma la realtà che imita la fiction).

Abbiamo puntato tutto sull'Economia, emarginando tutte le altre e complesse esigenze dell'essere umano, e l'economia, questa economia, sta clamorosamente fallendo. Abbiamo puntato tutto sulla sua sorella gemella, la Tecnologia, senza capire che la tecnologia, come mi disse Paolo Rossi, filosofo della Scienza, «se risolve un problema ne apre dieci altri ancora più complessi». Ed economia e tecnologia ci hanno svuotato di alcuni elementi e valori essenziali dell'umano: dignità, onestà, onore, lealtà, fraternità, coraggio, istinti e, insomma, la vitalità. Nella rapina di Milano, mentre i passanti si accuciavano come cani sotto le auto, terrorizzati, l'unico a reagire, rischiando la pelle, è stato il proprietario del negozio. Ma era armeno. Siamo diventati, ad imitazione degli americani, una società svirilizzata, femminea senza essere femminile. Diro' la verità fino in fondo: quando leggo di qualche delitto passionale (di un uomo o di una donna) mi riconforto. Perchè vuol dire che in giro c'è ancora della vita. E non solo economia, tecnologia e la morte dell'anima.