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Il Progresso è finito: accendiamo la lampada e prepariamoci alla notte

di Francesco Lamendola - 27/05/2013


 


Pare che siano in molti a non averlo ancora capito, almeno a giudicare dai discorsi che si continuano a fare, anche da parte di “autorevoli” uomini politici, economisti e opinionisti: ma il Progresso è finito, è finito davvero. Qualunque cosa si pensi di esso, della ideologia che si è costruita sulle sue promesse, a partire dal “secolo del Lumi” se non prima, diciamo dalla Rivoluzione scientifica del XVII secolo, ora è tempo di prendere atto della sua conclusione. È finito, irrimediabilmente: e non tornerà.

Certo, possiamo sempre contare sugli scampoli della “crescita”, vale a dire sugli ultimi guizzi di vitalità di un sistema economico moribondo; possiamo fare come lo struzzo e ficcare gli occhi sotto la sabbia per non vedere, per non sentire: peggio per noi, ne pagheremo il fio. Perché questo sarebbe, più che mai, il tempo di sentire e di vedere, con tutti i sensi tesi al massimo, con l’intelligenza protesa nello sforzo di capire come siamo giunti a questo punto, e perché. Sembra che molti vogliano proseguire nella politica degli struzzi – come hanno fatto praticamente tutti negli ultimi trent’anni. Pazienza: la notte viene ugualmente, anche se dei pazzi non si peritano di affermare che il sole brilla alto nel cielo. Le persone sagge, invece, accendono la lampada e si tengono pronte, in modo da non lasciarsi sorprendere dal buio.

Dire che il Progresso è finito significa che siamo in presenza di una bancarotta della storia, se per “storia” abbiamo inteso questo tipo di civiltà, basata sul consumo, sulla produzione sempre più ampia di beni e servizi, magari inutili o perfino dannosi, e, naturalmente, basata sullo spreco, sull’inquinamento, sulla distruzione delle risorse e dell’ambiente; significa che siamo in presenza, anche, di una bancarotta dell’uomo moderno, ossia l’esponente caratteristico di questo tipo di civiltà. È tempo di bilanci, di riflessioni: forse qualcuno deve interrogarsi, deve fare i conti con la propria coscienza, deve rendere ragione di quel che ha detto e di quel che ha fatto.

Almeno, le persone intelligenti farebbero così. Davanti a uno scacco, avanti a un fallimento, davanti a una grave malattia, si fermano, s’interrogano, si domandano dove abbiano sbagliato. Fanno il punto della situazione, smettono di raccontarsi frottole: capiscono che anche per loro è arrivato il momento della verità. Non più menzogne, non più maschere, non più finzioni: l’ipocrisia è diventata inutile, l’auto-assoluzione non serve a niente, perché il castigo è comunque arrivato. È il momento del coraggio, ora o mai più. Invece assistiamo al solito, desolante spettacolo di mezze ammissioni, di mezze verità, di balbettanti furberie, di astuzie da quattro soldi, perfino di giochi di parole. Tutto, pur non di non assumersi le proprie responsabilità. Non importa. Il castigo arriva, che piaccia o no: e il mancato riconoscimento della colpa servirà solo a renderlo più amaro, a viverlo come un’incomprensibile ingiustizia, aggravando la sofferenza: perché la sofferenza disgiunta dalla speranza è qualcosa di infernale.

La persona saggia, all’approssimarsi della notte, tira fuori la lampada e l’accende; non continua a vaneggiare che il sole brilla alto nel cielo. Accendere la lampada vuol dire prendere atto che qualcosa è cambiato, che le tenebre stanno per scendere sulla terra: che il Progresso è finito, e dovremo imparare a farne a meno. Dovremo puntare su qualcosa d’altro. Dovremo tornare al fondo di noi stessi, re-imparare ad ascoltarci, riscoprire il giusto modo di capirci e di volerci bene, non più quello drogato e schizofrenico del progressismo. Ci sono dei maestri che possono aiutarci nella via; uno di essi è Nikolaj Berdjaev.

Vale la pena di riportare alcune sue osservazioni su questo tema (tratte da varie sue opere e riportate in: Antonio Gentili, «Quanto manca alla fine? Profezie laiche e religiose  alle soglie del 2000», Torino, S.E.I., 1984, pp. 59-68):

 

«Penso che il progresso, cioè il progresso visibile, accelerati, sia sempre il sintomo della fine. Il ritmo infatti che esso ha assunto, indica che sta avvicinandosi, ne sono convinto, alla sua conclusione. […] In tutti i campi e in tutti i risultati la storia moderna, giunta alla sua fine, esperimenta delusioni profondissime nei riguardi di tutte le sue aspirazioni, illusioni e sogni fondamentali. In ogni linea della storia moderna possiamo leggere questa delusione: nessuna delle sue aspirazioni si è avverata nel settore della conoscenza (scienza e filosofia), nel settore della creazione artistica, nel settore della vita statale, nel settore della vita economica, nel settore di un genuino potere sulla natura. I sogni superbi che misero le ali all’uomo del periodo rinascimentale sono crollati. […] La teoria del progresso è anzitutto assolutamente falsa, ingiustificata dal punto di vista scientifico e morale, è un’adorazione del futuro a spese del presente e del passato. […] Su tutte le vie della storia moderna regna un amaro senso di delusione, una disarmonia straziante tra lo slancio creativo con cui l’uomo pieno di energie e di audacia ha fatto ingresso nella stria moderna e l’impotenza creativa con cui esce dalla storia moderna. Egli ne arrivò alla fine profondamente deluso, spezzato, diviso e esaurito nella capacità creativa. Quest’esaurimento accoppiato alla brama di creare è un risultato molto caratteristico dell’impotenza che ha castigato l’uomo per la sua autoaffermazione nella storia moderna, per l’autoaffermazione umanistica in cui l’uomo, che non aveva voluto sottomettersi a nulla di sovrumano, perde il suo volto umano e dissipa le sue forze. [… Siamo di fronte al ] giudizio provocato non da una determinata epoca storica, ma dalla stessa storia. Ed è per l’appunto secondo questo concetto e affatto in quello della fine prossima del mondo, che noi viviamo un’epoca apocalittica, perché esiste un’apocalisse intima della storia… un giudizio interiore che è attualmente in procinto di pronunciarsi. […] Tutto ciò che accade è molto più che la fine di un’epoca storica, è il processo alla storia. In effetto, la proclamazione del fallimento in essa è per l’appunto divenuta possibile ed inevitabile, perché la nostra epoca ha rivelato i risultati di questo lungo processo storico, che io sto descrivendo, risultati apparsi nella vita nazionale politica economica, nella cultura spirituale, nella letteratura e nella filosofia, perché in questi campi ugualmente l’immagine dell’uomo è stata deformata e noi assistiamo alla decomposizione della pienezza della esistenza umana… Tutti gli elementi del nostro tempo sono già esistiti nel passato, ma questi elementi si generalizzano, si realizzano definitivamente, ed è per l’appunto nella nostra epoca, tutta permeata dall’agonia del mondo, che noi sentiamo con maggior acutezza che viviamo in un universo decaduto, tormentato, dilaniato da contraddizioni inconciliabili. E notevole in ciò è che questo decadimento del mondo è accompagnato da una diminuzione e non da un accrescimento di coscienza del peccato. […] Sì, il mondo attraversa un’agonia simile a quella del mondo antico. Ma, attualmente, la situazione è più tragica ancora, poiché allora nel mondo apparve il cristianesimo come una forza nuova, piena di giovinezza, mentre al presente, secondo l’età della terra, il cristianesimo è invecchiato, stordito da una lunga storia, nel corso della quale i cristiani hanno commesso molti peccati e molti tradimenti. […] è vero: il cristianesimo nella storia non ha avuto successo così come nulla ebbe successo nella storia, i compiti dettati dalla fede cristiana e della coscienza cristiana non furono mai realizzati nel corso di 2000 anni e non lo saranno mai nell’ambito del tempo e della storia umani, perché possono esserlo soltanto con la vittoria sopra il tempo, con il passaggio all’eternità, con il superamento della storia passando a un processo meta-storico. L’insuccesso del cristianesimo si presta meno di qualsiasi altro fatto a servire  di argomento contro la sua verità suprema, così come l’insuccesso della storia non ne significa l’assurdità, l’inutilità e la vuotezza interiori. L’insuccesso della storia non vuol dire affatto che la storia sia senza senso, che si svolga nel vuoto, così come l’insuccesso del cristianesimo non vuol dire che il cristianesimo non sia la verità suprema; il tentativo di impiegare questo come argomento contro il cristianesimo non regge, perché ogni tentativo di elevare a criterio della verità e della significanza il successo e la realizzazione storica, la realizzazione immanente, è essenzialmente inconsistente. La storia e lo “storico” possiedono una natura che rende impossibile ogni loro realizzazione perfetta nel cors del tempo. Ma la grande esperienza che viene in luce nel destino storico possiede un grandissimo significato anche a prescindere dalle realizzazioni e dai successi, e diventa chiara oltre i limiti della storia. L’insuccesso quaggiù salta dolorosamente agli occhi e ci colpisce nell’ambito del tempo storico e della realtà terrena temporale, ma non significa un insuccesso definitivo nell’aldilà: significa semplicemente che l’uomo e l’umanità nei loro destini sono chiamati a una realizzazione superiore delle loro potenze., infinitamente trascendente tutte le realizzazioni cui aspira l’uomo nella sua vita storica. […] Si comincia a cercare un centro spirituale al quale collegarsi per poter ripristinare le energie minate della persona. […] Si ripete così la verità paradossale che l’uomo acquista e afferma se stesso se si sottomette a un principio supremo sovrumano e trova in un sacro sovrumano il contenuto della propria vita. […] La gioventù del mondo intero cerca un ordine novello e noi assistiamo ad una rivoluzione mondiale, senza tuttavia pregustare la gioia della nascita di un mondo nuovo. L’ombra è discesa sulla terra e noi siamo entrati in un ciclo di cataclismi storici e cosmici. Ora, appunto per i cristiani questa convinzione non trascina con sé la sfiducia; essa non deve impedire loro di realizzare la verità nella vita, e di servire questa verità; poi che noi partecipiamo ad un ritorno alle sorgenti, ad una discesa nelle profondità! […] Soltanto la pienezza della Verità in tutta la sua purezza può combattere la disumanizzazione e pervenire la perdita irreparabile dell’uomo. Il consorzio ha tentato di opporre l’uomo contro il cristianesimo ed è pervenuto alla negazione dell’uomo. Fuori dal cristianesimo e dal Cristo non vi  alcuna salvezza per l’universo minacciato. È il cristianesimo rigenerato che si assume oggi la difesa dell’uomo, della sua dignità, della sua libertà, della sua creazione, delle sue relazioni; soltanto la spiritualità cristiana può creare una società giusta, mentre i movimenti sociali non fanno che organizzare il consorzio esteriore. La scristianizzazione ha causato la disumanizzazione, la quale a sua volta ha scatenato la pazzia, perché essa ha offeso l’immagine stessa dell’uomo divenuto accessibile da tutte le forze demoniache ed invaso da tutte le potenze cosmiche infuriate. E l’uomo ha creduto che la sua libertà consistesse nella facoltà di sottomettersi interamente a queste forze demoniache, cosmiche e sociali, e di confondersi con esse. La disumanizzazione sottopone l’uomo alla demenza, egli diviene un demoniaco e, fatto caratteristico della nostra epoca, questa demenza, questo stato di demonismo sono organizzati. Allorché lo spirito cessa di sorreggere l’uomo carnale e psichico, questi perde il proprio equilibrio interiore e la propria integrità. […] Si avvicina l’ora nella quale, dopo una lotta terribile, dopo una profonda scristianizzazione di tutto il mondo, il quale ha esaurito le sue risorse, il cristianesimo sarà visto rifiorire in tutta la sua purezza. Allora noi conosceremo chiaramente ciò che il cristianesimo difende e ciò cui si oppone: esso apparirà come l’ultimo rifugio degli uomini; sapremo che esso esiste per l’uomo e per il vero umanesimo, per il valore e la dignità della persona, per la libertà e la giustizia sociale; per la franchigia dei popoli e del singolo, per l’inspirazione e la trasfigurazione, per la creazione di una vita nuova; infine, noi sapremo che soltanto il cristianesimo li difende.»

 

Accendere la lampada, dunque, e prepararsi per la notte: una notte di veglia, non una notte di sonno; una notte in cui il padrone potrebbe ritornare dopo una lunga assenza, e non deve trovarci addormentati, ma vigili e attenti.

La fine del Progresso è la fine della storia moderna, ma è anche, in un certo senso, la fine della storia: della storia come l’abbiamo conosciuta, come l’abbiamo concepita, come l’abbiamo vissuta e come ce la siamo, finora, rappresentata. La storia lineare, che progredisce dal meno al più, dal male al bene, dalla barbarie alla civiltà, è finita per sempre. Quel che sta per cominciare, nessuno lo sa: potrebbe essere la catastrofe, oppure la rinascita; o forse entrambe le cose insieme.

Questi sono i tempi dell’apocalisse. Non bisogna aver paura delle parole: “apocalisse” è svelamento di ciò che giace ancora nascosto, dunque rivelazione delle cose che non si vedevano e che adesso vengono poste in piena luce, sotto gli sguardi di tutti. Il profeta è allora, essenzialmente, colui che spinge lo sguardo più lontano degli altri e incomincia a vedere la realtà nascosta, prima che essa appaia in piena luce: è uno che sa cogliere i segni dei tempi, che ha occhi per vedere mentre gli altri non si accorgono di nulla. I tempi apocalittici sono caratterizzati da segni, ma da segni che, pur essendo visibili a tutti, non vengono scorti quasi da nessuno: tranne, appunto, dai profeti. Questo accade perché le persone comuni, le persone distratte e superficiali, guardano, ma non vedono; odono, ma non intendono: la realtà è lì, davanti ad esse, ma non si lascia cogliere veramente, non si lascia interpretare se non da chi ha mantenuto aperta la comunicazione con la dimensione dell’assoluto.

L’assoluto si sta rivelando, e si sta rivelando per emettere un giudizio. Per parlare più propriamente: siamo noi stessi che abbiamo emesso un giudizio contro di noi; l’assoluto non fa che ratificarlo. Noi stiamo ricevendo le conseguenze del nostro agire, eppure, incredibilmente, la maggior parte delle persone non lo vede, non se ne accorge, non lo immagina neppure. Per fare un esempio: il clima è impazzito, piove e fa freddo alla fine di maggio come se fosse inverno, i fiumi sono gonfi come a novembre, le montagne sono imbiancate di neve come a dicembre. Questo è un segno, un segno dei tempi: i tempi della fine. La terra è stanca, non sopporta più il cemento e l’incuria; i boschi abbandonati non trattengono l’acqua, le montagne spopolate non imbrigliano le piogge; l’aria, satura di esalazioni micidiali, di piombo, di mercurio, di anidride carbonica, respinge i raggi solari, mentre il buco nello strato di ozono lascia filtrare le radiazioni ultraviolette: si moltiplicano le piogge acide, dilagano i tumori della pelle e perfino le mutazioni del DNA.

Anche la crisi economica che stiamo vivendo è un segno: il segno che un ciclo è finito e non ritornerà. Gli anni dell’abbondanza e dello spreco sono finiti, appartengono al passato: bisognerebbe pensare qualcosa di nuovo; reinventare una sana economia, a misura d’uomo e non a misura delle banche. Tutto questo lo sappiamo, ma non vogliamo vederlo: preferiamo illuderci che passerà, che verrà la ripresa e si porterà via i nostri problemi. Ci dicono che basta stringere i denti e aspettare: il treno giusto, prima o poi, tornerà a passare dalle nostre parti e si porterà via la crisi. Intanto la gente perde il lavoro, ruba il cibo nei supermercati o si ammazza: sono tutti segni. Segni inequivocabili: eppure facciamo finta di non vederli. Le nostre cosiddette classi dirigenti fanno finta per prime: ciechi che conducono altri ciechi. E noi continuiamo a dare fiducia a simili guide. Anche questo è un segno: il segno del nostro traviamento, della nostra vigliaccheria.

Possiamo seguitare ad auto-ingannarci, ma prima o poi dovremo fare i conti con la realtà. È scesa la notte e non ci si vede più. Chi non possiede una lampada, brancola nel buio, va a sbattere contro gli spigoli. Il padrone sta per ritornare, e noi non siamo pronti. Siamo addormentati, rapiti in un sogno voluttuoso che si sta trasformando in un incubo; eppure non vorremmo svegliarci e malediciamo chi tenta di riscuoterci, lo insultiamo, lo scacciamo lontano.

Abbiamo adorato degli idoli: il denaro, il potere, il piacere, la tecnica; e quello che li riassume tutti: il Progresso. Siamo arrivati nudi alla meta, gravati dal peso di cento menzogne e d’infinite ipocrisie. Ci siamo raccontati la verità a modo nostro, calunniando i pochi che erano svegli: i profeti, coloro che scorgevano i segni. Li abbiamo derisi, chiamandoli pazzi e disturbatori della nostra quiete. Ora anche noi incominciamo a vedere, e quello che vediamo non ci piace. Non ci piace quello che vediamo fuori di noi e meno ancora ci piace quello che scorgiamo dentro di noi: debolezza, falsità, opportunismo.

Aveva ragione Berdjaev: ora si rivela chiaramente come, di tante ideologie che hanno furoreggiato nella modernità, una sola era ed è capace di difenderci, di proteggerci, di far sì che ritorniamo a volerci bene: il cristianesimo. Tutte le altre hanno tradito, ingannato e deluso amaramente l’uomo, una dopo l’altra.

Troveremo la forza di ammetterlo e l’umiltà di confessare i nostri errori, la nostra presunzione? Di rimboccarci le maniche, per cominciare a ricostruire in mezzo alle rovine? Di perdonarci e di tornare ad aver stima di noi stessi, con l’aiuto della Grazia?