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Controshock globale

di Eugenio Orso - 29/05/2013



Premessa

Partiamo da una semplice considerazione: i problemi principali dell’Italia in rapido declino non sono endogeni, ma squisitamente esogeni.

I locali pubblicisti mediatici, politici e accademici del neoliberismo, dell’eurofollia e della globalizzazione economico-finanziaria fanno credere esattamente il contrario, nelle loro funzioni di camerieri e “valvassini” delle élite eurofinanziarie che ci dominano. Insistono quotidianamente sulla questione del debito pubblico, delle dimensioni e dell’inefficienza della spesa pubblica, accusano lo stato di essere pletorico e di avere troppi dipendenti, sparano indiscriminatamente sullo stato sociale, sull’industria nazionale scarsamente competitiva, sui lavoratori del settore privato (molto spesso sottopagati, disoccupati o inoccupati) a causa del loro costo, sulla scarsa propensione alla ricerca e all’innovazione, che altro non sono se non truffaldini slogan neocapitalistici. Vi è poi l’enfatizzazione estrema del “costo della politica”, che diventa la sorgente di tutti i mali nazionali – anche per le forze che dovrebbero essere alternative come m5s – scambiando la causa con l’effetto, al solo scopo di nascondere i veri motivi del degrado economico e sociale italiano, che devono essere cercati altrove per poterli contrastare adeguatamente.

Quelli che seguono i penosi e pilotatissimi talk show televisivi, frequentati dalle comparse politiche, giornalistiche e accademiche del sistema, dovrebbero aver compreso che di euro, di proprietà della moneta e delle banche, di trattati sopranazionali capestro imposti ai popoli e alle nazioni si parla il meno possibile. Al contrario, si privilegiano questioni come le “auto blu” assegnate ai vip, le diarie dei parlamentari, i ristoranti in cui pranzano, gli “sprechi” individuabili in una spesa pubblica sempre fuori controllo, la scarsa propensione all’innovazione e alla competitività globale delle imprese italiane, i “vecchi egoisti”, lavoratori a tempo indeterminato, che sottraggono futuro e risorse ai giovani, le pensioni d’oro concesse ai privilegiati e chi più ne ha più ne metta. Ipocrisia, disinformazione e sviamento sembrano non avere limiti, e tutti gli apparati del sistema, a partire da quello politico e da quello ideologico-mediatico e accademico, danno il loro contributo in tal senso. L’obiettivo dei camerieri e dei “valvassini” del grande capitale finanziario, signore incontrastato dell’eurozona, è occultare sapientemente le vere ragioni del disastro italiano.

Eurozona, neoliberismo e globalizzazione

Prescindiamo dall’ovvia considerazione che fino a vent’anni fa, o poco più, l’Italia era una solida potenza manifatturiera, con pil elevato, paghe decenti nell’industria e disoccupazione relativamente bassa, pur con tutti i suoi difetti, a partire dall’agone politico corrotto e corruttibile. Prescindiamo anche dalla corruzione espressa dal “sistema dei partiti” e dalla conseguente sottrazione di risorse al settore produttivo e alle infrastrutture, che da moltissimi anni caratterizzano l’Italia. Prescindiamo pure dalla fuga dei cervelli all’estero, che fra poco rischierà di assumere le proporzioni di un esodo di massa. Ma non possiamo prescindere, nella ricerca delle vere cause del degrado italiano, dalla perdita totale di sovranità politica e monetaria, dal fatto che l’Italia, come nazione, come modello capitalistico, come sistema produttivo e organizzazione sociale, è stata imprigionata nell’eurozona, assoggetta al privatissimo euro e ingabbiata con i trattati. Per questo, in breve, lo stato italiano ha subito un processo di svuotamento in termini decisionali politico-strategici. Lo stato italiano e i governi nostrani sono diventati sempre di più dei burattini nelle mani dei signori dell’eurozona, proprietari privati della moneta unica, e posti sotto il costante tiro dei mercati finanziari, espressione di una nuova “voluntas dei” che non può essere messa politicamente in discussione. Inoltre, nel passaggio dal capitalismo del secondo millennio a questo nuovo modo storico di produzione, da me definito nuovo capitalismo finanziarizzato, si è provveduto a distruggere progressivamente il vecchio modello capitalistico italiano, d’economia mista pubblica e privata nel compromesso fra stato e mercato, e con lui il tessuto sociale che nei decenni del dopoguerra ha caratterizzato la società italiana. Anche da noi hanno fatto capolino i problemi che caratterizzano la “società aperta di mercato” – in verità, aperta soltanto al mercato e ai grandi capitali finanziari – e la multietnicità imposta da un capitalismo che diffonde la povertà e alimenta come non mai le migrazioni di massa. E’ chiaro che i burattini politici delle oligarchie eurofinanziarie non hanno alcun potere decisionale effettivo, perché devono soltanto applicare, nei tempi e nei modi previsti, programmi politici decisi altrove, e quindi i politici italiani, dopo l’ambigua stagione di mani pulite e tangentopoli, si sono sempre di più dedicati ai loro affaracci privati, al patrimonio di famiglia, ai sollazzi e ai ludi, a soddisfare le esigenze dei loro familiari e dei loro piccoli clan. L’accordo con i padroni euroglobali è che possono continuare a delinquere, a farsi corrompere, a sottrarre risorse al sociale, ma rigando dritto, applicando cioè senza discutere i programmi politici neoliberisti. Se fino a tangentopoli/ mani pulite c’erano ancora tracce di ideali nei partiti, e in molti casi “si rubava per il partito”, con la politica che guidava le danze e l’industria che pagava in nero i politici, dopo la situazione è notevolmente peggiorata, perché si continua a rubare a man salva, ma principalmente per se stessi, per i propri clan e i propri accoliti. Questo è un effetto concreto, un risultato tangibile (e non solo in Italia) dell’imposizione dell’unione europoide, dei suoi trattati, a partire da Maastricht nel 1992, nonché dell’istituzione della bce e dell’introduzione dell’euro. Lo scadimento della “classe politica” italiana è una causa del dominio europoide imposto al paese, sul versante monetario e su quello squisitamente politico.

Da quanto precede consegue che è la prigione dell’eurozona il principale problema che oggi l’Italia dovrebbe affrontare di petto, con urgenza e determinazione. Non a caso uno dei peggiori e più squallidi lacchè politici delle oligarchie eurofinanziarie, l’imbroglione piddino Pier Luigi Bersani, ha minacciato impoverimenti di massa da Sahel africano nel caso di uscita dell’Italia dalla moneta unica, timidamente ed elettoralisticamente prospettata da Silvio Berlusconi. Ciò non sorprende, se si pensa l’infimo grado di servaggio raggiunto dal pd nei confronti dei signori dell’euro e dei mercati. Eppure anche le nuove opposizioni parlamentari su questo punto cruciale nicchiano, si comportano con strana ambiguità. Beppe Grillo, ad esempio, ha promesso un euro-referendum fra un anno, con la motivazione (o la scusa?) che è necessario prendere tempo per un’adeguata campagna d’informazione. A parte il fatto che lo si può accusare di comportamento pilatesco, poiché è un’evidenza che la moneta privata e straniera, che i governi devono comprare svenandosi, è all’origine delle nostre attuali sciagure, un anno, di questi tempi, date le urgenze sociali e addirittura alimentari che funestano l’Italia, diventa lungo periodo e ben sappiamo, con Keynes, che nel lungo periodo saremo tutti morti.

Shock economy

L’unica soluzione possibile, anche se non è comoda, priva di rischi e forse di lutti, è l’uscita dell’Italia, nei tempi più brevi possibili (altro che un intero anno per organizzare l’appuntamento referandario!), dall’euro e da tutte le strutture-lager dell’unione europoide, con la denuncia di tutti i trattati europidi, nessuno escluso, siglati fin dai tempi della comunità, a partire da quelli originari di Roma del 1957 e di Parigi del 1951.

Non basterebbe l’uscita concordata dalla sola moneta unica, per poter almeno sperare di salvarci, perché dovrebbe avvenire alle condizioni forcaiole delle oligarchie euro-occidentali dominanti, sotto il tiro dei mercati, che potrebbero concentrare la loro potenza di fuoco non convenzionale, se non esclusivamente, principalmente sull’obiettivo-Italia. Seguendo la via, pacifica, concordata con i “partner europei” per l’uscita dal solo euro – ammesso che ciò sia veramente possibile – chi ne farebbe le spese sarebbe soprattutto il nostro paese, già martirizzato economicamente e socialmente. “Ammesso che ciò sia veramente possibile”, ho scritto nell’inciso, perché l’Italia, per il peso che ancora conserva, nell’economia europoide e in quella globale, non è paragonabile alla Spagna né, tantomeno, alla piccola Grecia o all’altrettanto piccolo Portogallo, la cui defezione sarebbe molto meno drammatica e non decisiva. In questa fase, per qualche anno ancora, non permetteranno che l’Italia esca dalla prigione dell’euro, se non altro perché il saccheggio delle risorse nazionali, a beneficio del grande capitale finanziario globalista e, in subordine, della germania, deve essere ancora completato. C’è ancora qualcosa da sottrarre al paese, in termini di grandi industrie sopravvissute (Finmeccanica, Eni, Enel, Fincantieri) e di risparmi e patrimoni degli italiani. Ecco che nel caso di una richiesta italiana in tal senso – al momento neppure pensabile – cercheranno di destabilizzare la penisola come hanno contribuito a fare a suo tempo in Libia, e come stanno facendo oggi nella Siria che resiste, con l’infiltrazione di abbondanti quantitativi di armi e migliaia di “attivisti”, cioè di mercenari senza scrupoli al loro servizio. Il paese sprofonderebbe nel caos, nella violenza e in una guerra civile indotta, e a quel punto, per ricondurlo all’ordine, potrebbero far intervenire la nato, occupandolo per un lungo periodo. Dagli assassini euroglobalisti e neoliberali, privi di etica e di senso del limite, possiamo aspettarci questo e altro. In tale ipotesi – per ora fortunatamente soltanto teorica – ci sarebbe, naturalmente, il fattivo e decisivo concorso della potenza militare statunitense (altro che soft power obamiano!). L’Italia è un tassello ancora troppo importante, per la stabilità e la riproducibilità neocapitalistica in questa parte del mondo, e una sua improvvisa “defezione”, onde sottrarsi al saccheggio di risorse e salvare il salvabile, rischierebbe addirittura di destabilizzare gli assetti di potere globali, fino in cina e oltre.

La dominazione neocapitalistica procede generando continui shock economici, per imporre politiche che vanno contro gli interessi vitali dei popoli. Dimostrazioni di shock and awe che ci riguardano direttamente sono l’innalzamento improvviso dello spread, con attacchi virulenti dei mercati contro il paese-obiettivo, il ricatto del debito pubblico con obbligo tassativo di rientro al di sotto di basse percentuali del rapporto deficit/ pil, la minaccia di difficoltà insormontabili nel piazzare emissioni di titoli del debito pubblico, per finanziare l’indispensabile spesa dello stato. Lo shock che consente di far passare le politiche neoliberiste è provocato ad arte con lo scopo di dominare gli stati e le popolazioni, imponendo le politiche gradite alla classe globale dominante. Tutto ciò è stato ben descritto da Naomi Klein nella sua celebre opera The Shock Doctrine (Shock economy), anzitutto in rapporto alla diffusione delle idee liberiste di Milton Friedman nel mondo (e in particolare nel Cile di Pinochet, trasformato dai “Chicago boys” friedmaniani in una cavia da laboratorio). I successi ottenuti dal nemico di classe e di civiltà, creando eventi scioccanti o approfittando di situazioni critiche, sono molti ed evidenti e altrettanto evidente è la brutalità dei metodi impiegati, concretatisi, secondo la Klein, in guerre, torture, instabilità economica, peste inflattiva. Basti pensare a ciò che è successo, in Europa, alla Grecia in una manciata d’anni (un quinquennio), con la disoccupazione, la fame e la disperazione che oggi dilagano, mentre la vita media della popolazione rischia di ridursi. E’ chiaro che un simile nemico deve essere combattuto con determinazione e coraggio, assumendosi grandi rischi per destabilizzare il suo sistema di potere. E qui mi allaccio alla necessità e all’urgenza che ha l’Italia di uscire dall’euro e dall’unione europoide, per sperare di salvarsi. Come chiarito in precedenza, è un’ingenuità pensare che possa esistere, per un paese del peso e dell’importanza che conserva ancora l’Italia nell’economia europea e mondiale, una via d’uscita pacifica, concordata, dalla trappola mortale della moneta unica e dei trattati eurounionisti. Sarebbe necessario, piuttosto, un violento controshock globale che investa anzitutto i mercati finanziari (e quelli dei cambi), facendoli impazzire. Un controshock avvertito da Manhattan a Pechino, passando per Londra, Bruxelles e Francoforte.

Controshock

Controshock potrebbe diventare la parola "magica" che prelude la liberazione definitiva. Nel regno della pura ipotesi, che non trova alcuna conferma nella nostra realtà, possiamo immaginare un governo italiano ribelle, determinato a salvare il futuro del paese e della sua popolazione, a qualsiasi costo, capace di concepire e applicare un programma politico alternativo a quello imposto dai poteri esterni e forte di un vastissimo appoggio popolare (l’esatto contrario dell’attuale esecutivo Letta, per capirci). Questo governo ideale preparerebbe velocemente, e senza troppa pubblicità, il ritorno alla lira, o comunque l’adozione di una valuta nazionale di proprietà del paese e poi agirebbe in fretta, sorprendendo il nemico. Dovrebbe lanciare, in sintesi, un controshock che sorprenda i mercati e consenta di anticiparne la reazione nei confronti dell’Italia ribelle, che esce dall’euro, da tutte le istituzioni europidi e, in generale, dalle alleanze occidentali come la nato sbattendo la porta alle sue spalle.

L’esecutivo in carica, che ha verificato preventivamente un ampio consenso popolare (anche senza il rito elettorale liberaldemocratico), annuncerebbe come un fulmine a ciel sereno l’uscita dalla moneta unica e dalla prigione unionista, denunciando (come si è già scritto) tutti i trattati ed espellendo dalla costituzione il mortale pareggio di bilancio. Oltre a presentare la nuova valuta nazionale, che potrebbe chiamarsi lira o avere altro nome, provvederebbe a nazionalizzare con un “colpo di mano” l’intero sistema bancario a partire da bankitalia (che ora è privata e diminuita nelle sue competenze), per averlo saldamente in mani pubbliche. Ciò costituirebbe un passo essenziale per ripristinare la sovranità monetaria e quella politica, ma non il solo passo da compiere. In previsione dei contrasti internazionali che nascerebbero e delle rivalità che l’evento scatenerebbe, dovrebbe richiamare l’ambasciatore italiano a Berlino per consultazioni, dando un preciso segnale alla germania, nel senso della rottura della sudditanza italiana che oggi è fin troppo evidente. In futuro, potrebbe diventare necessario chiudere l’ambasciata italiana in germania (e negli staterelli satellite, come il ricco lussemburgo), affidando a un paese amico la rappresentanza degli interessi nazionali. L’ipotetico governo ribelle dovrebbe annunciare il congelamento della partecipazione italiana alla nato, comunicandolo formalmente con grande risonanza mediatica, assieme all’intenzione di ritirare in tempi brevi tutte le truppe italiane impegnate nelle missioni all’estero. E’ ovvio che il passo successivo, compiuto in tal senso, non potrà che essere l’uscita definitiva del paese dall’alleanza militare globalista-occidentale e la chiusura delle basi militari americane-nato in Italia, riguadagnando la sovranità su tutto il territorio nazionale. Infine, convocherebbe d’urgenza gli ambasciatori del Venezuela, dell’Argentina, della Federazione Russa e (provocatoriamente) dell’Iran, per importanti e amichevoli consultazioni, proponendo a questi paesi una stretta collaborazione su vari piani, compreso quello militare, attraverso trattati internazionali (per la prima volta dal dopoguerra non imposti) da stipulare con i nuovi alleati.

In tal modo, si assesterebbe un colpo di maglio improvviso ai mercati mondiali, oltre che all’eurozona, che potrebbero impazzire, non riuscendo a concentrare il fuoco di rappresaglia su un'Italia isolata e circondata da un “cordone sanitario”, ma distribuendolo anche su paesi nostri nemici e concorrenti, asserviti ai globalisti occidentali e orientali. Paesi chiave per la stabilità dell’”ordine globale” come la germania, gli usa e la cina, che subirebbero finalmente notevoli danni. Il controshock consentirebbe, in altri termini, di danneggiare i capisaldi nemici e di minacciare seriamente i meccanismi riproduttivi neocapitalistici. Da un punto di vista geopolitico, l’effetto rilevante sarebbe la destabilizzazione dell’ordine mondiale che ci opprime, a partire dal lager-eurozona in cui siamo imprigionati, mettendo in discussione il sistema di alleanze vigente. Per incrementare l’”effetto scioccante” si potrebbe dichiarare la solidarietà del governo e del popolo italiano nei confronti del popolo siriano e del regime di Assad, assediati dai mercenari occidentali, sionisti e salafiti, promettendo appoggio politico e aiuti alla Siria e al legittimo governo di quel paese, non esclusi gli aiuti militari.

Mi rendo perfettamente conto che quanto ho scritto appartiene per intero al libro dei (bei) sogni, se consideriamo la realtà politica dell’Italia di oggi. Ma è altrettanto chiaro che per combattere un nemico così feroce, annidato in tutti i centri di potere che ci tengono in pugno, disposto a provocare eventi scioccanti per imporre le sue politiche e i suoi interessi, inconciliabili con i nostri, l’unica via è quella di combatterlo con le sue stesse armi, opponendogli una determinazione e un’intensità di fuoco almeno pari alle sue. Ecco che allora allo shock economy neocapitalistico (ed euro unionista) si può contrapporre un forte e decisivo controshock globale, ma per farlo è necessaria la guida di un governo ribelle, animato da idealità e sorretto dal consenso popolare, che ha ben chiari gli obiettivi da raggiungere: uscire dall’eurozona e da tutte le alleanze occidentali, ripristinare la piena sovranità e impedire che le controffensive nemiche possano avere successo, anticipandole.