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Migliori di quello che siamo

di Michele Vignodelli - 18/08/2013


 

“A farsi una chiacchierata sulla natura degli esseri umani con un antropologo, prima o poi viene fuori la solita storia: “Considera che il 99 per cento della storia umana si è svolto nelle savane aperte, in piccole bande di cacciatori-raccoglitori”. E’ un classico luogo comune della scienza, ed è la verità. In effetti, quegli ancestrali milioni di anni hanno prodotto molte nostre caratteristiche, per esempio postura eretta e grande cervello. (…) Il mondo che abbiamo inventato – da pochissimo tempo, nello schema generale delle cose – è estremamente diverso da quello a cui sono adattati il nostro corpo e la nostra mente. Invece di corrergli dietro, il pranzo ce lo facciamo portare a casa (dal ragazzo delle pizze); invece di passare accanto a loro la maggior parte della giornata per tutta la vita, per interagire con le persone più vicine e più care ci colleghiamo a Facebook. Qui però finisce l’utilità del luogo comune usato dagli antropologi per spiegare la condizione umana.

La ragione di questa discrepanza tra il contesto a cui l’evoluzione ci ha adattati a vivere e quello che incontriamo nell’epoca moderna ha origine da un altro dei caratteri che definiscono la nostra specie, il più importante, si potrebbe dire: l’impulso a superare i limiti imposti dall’evoluzione, grazie allo sviluppo di strumenti che ci rendono più veloci, acuti e longevi. Uno di questi strumenti è la scienza: un’invenzione che richiede di rompere con la nostra mentalità dell’Età della Pietra, cioè “vedere per credere”, in modo da poter superare il prossimo ostacolo, che sia una pandemia influenzale o il cambiamento climatico. Si potrebbe dire che è l’espressione ultima della singolarissima spinta umana a essere migliori di quello che siamo.”

(Robert M. Sapolsky, da “Le Scienze” – novembre 2012, pag. 36) 

 Delle circa 6.000 culture umane esistenti fino a qualche secolo fa a malapena una trentina erano impegnate in quella che secondo Sapolsky (che esprime il nostro fondamentale pregiudizio culturale) sarebbe l’attività “che definisce la nostra specie, la più importante, si potrebbe dire: l’impulso a superare i limiti imposti dall’evoluzione, grazie allo sviluppo di strumenti che ci rendono più veloci, acuti e longevi.” Tutte le altre sembravano molto più concentrate a mantenere un rapporto equilibrato con il proprio ambiente naturale e sociale, e a venerare la Tradizione, reinterpretandola in risposta alle continue oscillazioni ambientali per restare sempre all’altezza dei propri Antenati, e della loro profonda saggezza. Appena 10.000 anni fa tutte le popolazioni umane erano devote a questa religiosità, che permeava ogni aspetto dell’esistenza. Contrariamente a quello che ci viene inculcato fin dalla più tenera età, vellicando la nostra arroganza, diventare più “veloci, acuti e longevi” non è mai stata una priorità per gli esseri umani moderni, eccetto gli appartenenti a una manciata di culture devianti originatesi a seguito di un trauma climatico catastrofico, tutte basate sulla cerealicoltura totalitaria e (quindi) sull’espansionismo militare-commerciale-tecnologico.

La priorità era invece un percorso di crescita personale verso la saggezza: essendo molto più saggi di noi, i nostri antenati non vedevano la Natura come una specie di gabbia che ci ha imposto dall’esterno dei limiti oppressivi, a cui bisogna sottrarsi. Avendoci generato, i limiti assegnati (e non imposti) all’uomo dalla Natura sono costitutivi, definiscono cioè la nostra stessa forma, la nostra possibilità di sentire, capire, amare in modo tipicamente e pienamente umano. I nostri occhi, le nostre braccia e la nostra lingua sono le forme, i termini, i limiti che definiscono il modo umano di essere e ne concentrano tutto il potenziale espressivo, come gli argini per un fiume. Le  espressioni umane nell’ambito di questi limiti costitutivi, essenziali, sono le sole che rispettano e definiscono la nostra armonia complessiva, e quindi sono le sole che contano veramente.

Volare a mille km all’ora, collegarsi in continuo con migliaia di persone o vivere duecento anni senza patire alcuna sofferenza fisica sono forzature che deturpano l’equilibrio, l’integrità, la sapienza umana, la nostra possibilità di vivere armoniosamente integrati alle altre forme viventi in una nicchia ecologica definita all’interno della Biosfera, realizzando il potenziale espressivo umano nella sua pienezza. E’ proprio perché ci siamo allontanati dalla mentalità dell’Età della Pietra che ora dobbiamo correre per restare dove siamo, fronteggiando minacce sempre più catastrofiche come pandemie influenzali, collassi finanziari o incidenti nucleari. E’ il sogno di diventare “migliori di quello che siamo” che ci ha portato a questo risultato, sogno a cui peraltro ben pochi credono ancora seriamente, a parte pochi tecno-entusiasti. Solo un cretino potrebbe credere di essere “migliore” degli ignoti autori dei dipinti di Altamira solo perché sa che la Terra gira attorno al Sole o perché ha il frigorifero. Essere bombardati, drogati da un diluvio di nozioni ossessivamente “esatte”, per non parlare dei ronzanti trabiccoli che ci trastullano separandoci dagli altri e dal resto della vita, ci toglie una conoscenza ben più profonda, rappresentata in modo emozionante su quelle pareti, che ci incutono un sentimento di inettitudine e soggezione. Quelle persone sapevano cose fondamentali del mondo e di loro stesse che noi abbiamo dimenticato.

Noi non siamo migliori di animali o piante. Gli animali non evolvono per diventare “migliori”: a volte, raramente, diventano più grossi, sofisticati e longevi, accumulando una complessità che altrettanto spesso li condanna all’estinzione, mentre i più semplici e “arcaici” sopravvivono. La semplicità di un batterio può essere più perfetta e sapiente della sofisticata complessità di un mammifero; tutto dipende dalle circostanze.

Accumulando protesi si incrina l’intima connessione diretta con la Biosfera: mettiamo in un vaso ben irrigato e concimato le radici che prima si estendevano nella Terra. Purtroppo sappiamo che il gigantesco impianto di irrigazione, essendo un complesso sistema nuovissimo e non collaudato, prima o poi si guasterà a livello globale. Allora scopriremo concretamente quanto siamo diventati migliori.