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In questa società il vecchio è già morto prima del suicidio

di Massimo Fini - 15/10/2013


I suicidi di Monicelli prima e di Lizzani poi hanno riportato all'attenzione la questione della condizione dei vecchi nella società contemporanea, anche se, per la verità, i due, 95 anni il primo, 92 il secondo, più che dei vecchi erano dei vegliardi 'hors catégorie' inoltre erano degli uomini famosi probabilmente tentati, come spiega il sociologo Domenico De Masi, dall'ambizione inconscia di entrare nel mito, di sopravvivere a se stessi, sottraendosi, in qualche modo, alla morte nel momento in cui volontariamente se la davano. Che è cio' che pensavano i Romani che ritenevano che una morte degna (che, oltre a quella in battaglia, era il suicidio) non solo dava un'identità definitiva all'individuo ma gli permetteva di aspirare alla gloria che, a differenza del successo in vita, era un modo per tramandarsi ai posteri, insomma, molto materialisticamente, la loro trascendenza.

Io intendo pero' qui parlare della vecchiaia delle persone normali. Il fenomeno del suicidio dei vecchi, che va comunque legato alla crescita esponenziale dei suicidi nel mondo occidentale (in Europa a metà del Seicento, un secolo prima del take off industriale, erano 2,5 per 100 mila abitanti, nel 1850 6,8, triplicati, oggi superano il 20, decuplicati) è relativamente recente. In Italia un terzo dei suicidi riguarda gli over 65, che sono il 20% della popolazione, e la metà soffre di depressione come denuncia il geriatra Carlo Vergani. Il che fa piazza pulita su tutte le fole che ci raccontano su «vecchio è bello». Scrive lo storico Carlo Maria Cipolla: «Una società industriale è caratterizzata dal continuo e rapido progresso tecnologico. In tale società gli impianti divengono rapidamente obsoleti e gli uomini non sfuggono alla regola. L'uomo industriale è sottoposto a un continuo sforzo di aggiornamento e tuttavia viene inesorabilmente superato. Il vecchio nella società agricola è il saggio, nella società industriale è un relitto. Nel mondo agricolo d'antan, prevalentemente a tradizione orale, il vecchio è il detentore del sapere, resta sino alla fine il capo della famiglia, conserva un ruolo e la sua vita un senso. Oggi questo ruolo di 'faro' di punto di riferimento lo ha perduto.

C'è poi la tremenda solitudine del vecchio nella società contemporanea. Un vecchio oggi, se è benestante, ha la tv, il cellulare, l'I-pad, l'auto, se è ancora in grado di giudare, e numerosissimi altri gadgets. Ma è solo. Vive da solo. In Germania, in Francia, in Belgio, in Danimarca, in Norvegia, negli Stati Uniti solo il 2% dei vecchi vive con i propri figli e nipoti. Nelle società tradizionali (quelle poche che abbiamo lasciato in vita) il vecchio non possiede nessuna delle bellurie della Modernità, ma, rivestito d'autorità sacrale, vive circondato dai figli, dai nipoti, dalle donne di casa e da esse accudito nel periodo, fortunatamente breve, in cui non è più in grado di badare a se stesso, e da numerosissimi bambini.

A proposito di questi ultimi si assiste da qualche tempo a un fenomeno completamente nuovo: il suicidio dei bimbi. Una cosa che non si era vista mai, da che mondo è mondo.

«C'è del marcio nel Regno di Danimarca». Ma noi, ostinatamente, cocciutamente, cretinamente, vogliamo continuare a credere che sia «il migliore dei mondi possibili».