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Il ripudio del passato sta disintegrando i lineamenti specifici della identità italiana

di Antonio Carioti - 04/12/2013

Non capita tutti i giorni che Ernesto Galli della Loggia e Alberto Asor Rosa firmino lo stesso testo. Ma nel forte intervento a favore della cultura umanistica, sottoscritto anche da Roberto Esposito, che la rivista «il Mulino» pubblica sul fascicolo in uscita domani, i due noti studiosi, molto distanti sul piano politico, mostrano di nutrire le stesse apprensioni per la sorte dell’istruzione italiana e della stessa identità nazionale. L’allarme nasce dal «ripudio dell’umanesimo» e dalla «crescente tecnicizzazione» dell’insegnamento, che configurano una «rimozione del passato» destinata — secondo Asor Rosa, Esposito e Galli della Loggia — a compromettere in prospettiva il futuro dell’Italia, ma con gravi ripercussioni già nell’immediato. Se si trascura la dimensione storica, per esempio, «la rovina del patrimonio artistico e paesistico» non può stupire. D’altronde un tratto essenziale delle materie umanistiche consiste nel loro nesso con le diverse tradizioni nazionali e la loro evoluzione nel tempo. Al contrario le discipline scientifiche, osservano i tre autori, «sono dovunque le medesime» e tendono a esprimersi su scala globale «in una medesima lingua: l’inglese». Se a queste ultime viene assegnata una priorità assoluta, i lineamenti specifici di una cultura rischiano di affievolirsi fino alla cancellazione. A ciò si aggiunge la dequalificazione degli studi umanistici nell’università di massa, con discipline che si frantumano e moltiplicano all’infinito, il carico didattico che si riduce «a misure spesso ridicole», l’adozione di criteri meramente quantitativi in sede di valutazione dei docenti o aspiranti tali. Ormai, denuncia l’appello, dilaga incontrastata una visione aziendalistica dell’università, per cui il merito viene inteso solo «come prestazione in vista di un utile». E più in generale si delinea un panorama tale da far temere, si legge nell’appello, «la disintegrazione dei saperi dell’uomo così come sono stati elaborati in secoli di storia italiana e non solo». Le ricadute, per i tre studiosi, sono devastanti anche sul terreno politico, perché l’emarginazione dell’umanesimo indebolisce «lo sguardo critico sulla realtà» e depaupera le risorse necessarie per elaborare alternative a un modello sociale fondato sulla «omologazione ai parametri globalizzati dell’attuale idolatria ideologica del mercato». Così finisce per venir meno, nonostante tutta la retorica spesa circa l’esigenza dell’«apertura all’altro», anche la capacità di confrontarsi con le diversità linguistiche, religiose, antropologiche sullo scenario mondiale. Questi problemi di portata generale, oggetto di un intenso dibattito anche all’estero (l’appello cita le posizioni della filosofa americana Martha Nussbaum, che il prossimo 14 dicembre terrà l’annuale Lettura del Mulino), si presentano poi in forma particolarmente acuta nel nostro Paese. Asor Rosa, Esposito e Galli della Loggia invitano a riflettere sul fatto che per lunghissimo tempo l’identità italiana, in assenza di uno Stato unitario, è vissuta nella condivisione della cultura storica, letteraria e filosofica: da Dante a Manzoni, da Machiavelli a Vico. Quel patrimonio, concludono, «fino ad oggi ha rappresentato una premessa indispensabile per ogni impegno politico». E appare evidente come il suo declino, che sta assumendo i tratti di un vero e proprio abbandono, minacci da vicino le basi stesse della coesione nazionale. La rivista diretta da Michele Salvati lancia insomma con questo appello un autentico grido di dolore, peraltro in controtendenza rispetto alle molte voci che lamentano invece lo scarso rilievo riservato nel nostro Paese alla cultura scientifica e alla ricerca, spesso addossando la responsabilità più remota proprio alla tradizione idealistica di cui Asor Rosa, Esposito e Galli della Loggia rivendicano l’originalità e il valore. Ci sono tutti i presupposti per aprire una discussione forse polemica, ma certamente utile. Perché il peggior nemico della cultura, umanistica o scientifica che sia, resta sempre l’indifferenza.