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Questo sistema ha un punto debole?

di Enrico Galoppini - 23/02/2014

Fonte: Ideeinoltre

L'ultimo articolo di Maurizio Blondet, pubblicato su Effedieffe.com, dal titolo Totalitarismo: via la maschera democratica (*), lo dovrebbero leggere tutti quelli che ancora s’illudono al riguardo della “democrazia” e delle meraviglie che ci deve ancora riservare.

 Una salutare presa di coscienza del fatto che “il governo del popolo”, teorizzato e poi gabellato come tale, si risolve nella dittatura dei super ricchi. Insomma, un’oligarchia del denaro, come scrisse a suo tempo il compianto John Klevees (alias Stefano Anelli, che l’America, la punta di lancia della “democrazia”, la conosceva bene).

 La “democrazia” a questo punto – conclude Blondet – viene definitivamente accantonata, con tutti gli annessi e connessi di questa finzione, “elezioni” comprese.

 Al suo posto – questo il succo della sua diagnosi – resta il Mercato, con la M maiuscola, una concezione del mondo “scientifica” e perciò “indiscutibile” che della politica non ha più bisogno. Con tanti saluti ad ogni speranza d’inversione di rotta: tutto procede come su un binario predeterminato ed il “bello” dobbiamo ancora vederlo!

 Tra i commenti, un lettore si chiede: “Ma un punto debole, questo sistema che sembra così perfetto, così inattaccabile da qualsiasi opposizione ce lo deve avere!” (parafraso il concetto da lui espresso).

 Di solito, la reazione ad una domanda del genere, che molti oggi si pongono, è la costernazione, mista a sgomento. Si viene assaliti dal vuoto e dal senso d’impotenza.

 Eppure il punto debole di questo sistema apparentemente non scalfibile c’è eccome. Ed è sempre lo stesso, perché i suoi pupari sono sempre gli stessi da quando è stato architettato a partire dalla Rivoluzione Francese. Quindi non c’è bisogno di attenderne i “passi falsi”, perché è il suo primo “passo” ad esser stato intrapreso col piede sbagliato.

Il punto debole del sistema scaturito dalla “filosofia dei Lumi” è il suo ateismo. La sua contravvenzione, la sua palese ed ostentata ribellione alle Leggi che Dio ha istituito e comunicato chiaramente agli uomini affinché essi possano prosperare e “tornare” perciò a Lui.

 Sì perché “l’ateismo”, finché resta una questione “filosofica” per circoli ristretti non è ancora tutto questo gran pericolo. Ma oggi siamo all’ateismo di fatto, di massa, ancor più pericoloso e nocivo, che si traduce in un comportamento, dei singoli e delle comunità, dalle cose più piccole alle più complesse, completamente scollegato da ciò che Dio ha detto di fare e di non fare per bocca e tramite l’esempio dei suoi Inviati. Insomma, la “civiltà moderna” abitua gli uomini a prescindere dall’esistenza di Dio.

 Alla famosa domanda “che fare?”, quindi, la risposta è la seguente: non c'è che da conformarsi all'Ordine che Dio ha stabilito. Nel "foro interiore" così come in quello "esteriore".

 Il resto – dalle manifestazioni di “indignati” alle “rivoluzioni” di piazza, dai “migliori mondi possibili” ad ogni tipo di “alternativismo” - sono solo tentativi destinati al fallimento.

 Questo, nella tradizione islamica - al di là dei fanatici letteralisti e modernisti che oggi pullulano in gran quantità - è molto chiaro e comprensibile.

 Si prenda la questione dell'usura, vero architrave di questo sistema satanico. Il Corano la condanna esplicitamente, mentre rende lecito il commercio. Non è in alcun modo permesso guadagnare soldi dai soldi. Si va all’Inferno.

 Consideriamo la famiglia: il Corano e l’insegnamento del Profeta Muhammad richiamano continuamente alla sua sacralità ed intangibilità. Non c’è alcuno spazio per i “matrimoni gay” e altre “nuove forme di convivenza” o di “genitorialità”. Maschio e femmina uniti in matrimonio, più eventuali figli. E stop.

 Non parliamo delle tasse: la zakât è un’imposta sul tesaurizzato, sui capitali fermi, non sui redditi. Pertanto viene penalizzato – invitandolo a ‘purificare’ la sua ricchezza (questo il senso di “zakât”) - chi accumula beni e denaro, non chi lo rimette in circolazione permettendo a tutti di mangiare e di farsi una vita dignitosa. Alla faccia di chi, pateticamente, raccontava agli italiani di poter uscire dalla “crisi” incitandoli a “spendere”, stante però l’attuale (dis)ordine monetario e fiscale! E anche alla faccia di chi crede che le “imposte progressive sul reddito” siano un fattore di “progresso sociale”.

 Potrebbe già bastare questo a rimettere in sesto la destabilizzante – perché disumana - situazione che viviamo.

 Ma non è finita. Cosa dicono le primarie fonti islamiche al riguardo della “democrazia”? È presto detto: non dicono nulla, semplicemente perché il “potere del popolo” è un non senso. Un non senso perché è il moltiplicatore esponenziale dei disastri che può combinare un ego lasciato al suo fallace e personale “punto di vista”. Un’anima non rettamente educata si crede un padreterno, così come un popolo al quale si fa balenare l’idea di detenere il potere non fa altro che scavarsi la fossa. Com’è facile farsi ingannare da ‘qualcuno’ che sussurra che non si ha bisogno d’una guida illuminata…

 Che poi le librerie siano piene di saggi su “Islam e democrazia” è un dato del tutto irrilevante. Anzi, vergogna su chi li scrive e chi li fa studiare a chi, sprovveduto ed indifeso, andrebbe piuttosto indirizzato verso ben altri saperi e conoscenze capaci di elevarlo. Ma non scherziamo, oggi la scuola e l’università devono “far ragionare”! A volte non pare: nessuno sembra accorgersi che mentre qua ci convincono dell’opportunità di abolire di fatto le consultazioni elettorali (in nome della “stabiltà”), quando si passa al resto del mondo, quello proverbialmente “indietro”, dovremmo trepidare per le varie “rivoluzioni colorate” e “primavere arabe” al culmine del quale si tengono delle… “elezioni democratiche”!

 Si potrebbe andare avanti per un bel po’ enumerando le “questioni di principio” disattese dagli stessi ceti dominanti occidentali e proponendo esempi dell’antitesi radicale tra la prospettiva genuinamente islamica e il cosiddetto “mondo moderno”, di cui la “democrazia” ed il “libero mercato” sarebbero i più fulgidi risultati.

 Ma proponiamo un ultimo esempio: cosa c’è di più assurdo, per la mentalità moderna, che pregare?

 Per carità, “sono già a posto così”, “non ne ho bisogno”, “la mia coscienza è la mia guida”. Già, chi vuol atteggiarsi a “moderno” ha fatto della propria “coscienza” (un coacervo d’illusioni e d’inganni, assieme a qualche buona intuizione) il proprio maestro. Insomma, ciascuno è “il Dio di se stesso”!

 Qualcuno ha definito la preghiera come “il cibo dell’anima”. Ma non è ancora tutto. Pregare significa anche “chiedere”.

 E se gli uomini, da soli, non riescono a cavare le gambe da questa situazione, a chi, più che a Dio, possono rivolgersi affinché Egli li tragga d’impiccio?

 Tutte le disgrazie e le “crisi” trovano qui la loro radice. In un certo senso, chi si dimentica del proprio Signore viene da lui dimenticato, ma chi se Ne ricorda è oggetto del Suo ricordo.

 Certo, il mondo, questo “mondo”, è solo un’infinitesimale manifestazione di quella che è la Realtà, ovvero non è altro che una sua pallida sembianza. Eppure, un uomo rettamente orientato, che si fa educare e mettere sulla “retta via” da chi, solo, ha i titoli per farlo, possiede qualche speranza di vedersi mandare un uomo che ristabilisca una situazione conforme all’Ordine divino, oltre che di uscire da questa vita senza aver scambiato la parte per il tutto, l’apparenza per la sostanza.

 A maggior ragione questo vale per un popolo, una nazione. Se non “chiedi” nella direzione giusta non ricevi nulla di buono. Al contrario, ciascuno spera un vantaggio per sé, o per la sua piccola fazione. Si spera di restare a galla mentre gli altri affondano. Ma solo un ardente brama di veder ristabilita una giustizia divina anche qui, espressa da un intero popolo, può avere la possibilità di essere esaudita con l’invio di chi rimetterà le cose a posto.

 A quel punto, una volta palesatasi questa “personalità d’eccezione”, tutte quelle energie positive che, in una situazione di caos, erano costrette o a girare a vuoto o ad intristirsi nell’inedia, si dinamizzano e collaborano.

 Per questo, “chiedere”, oltre che lecito, è anche un dovere. Non è stato forse detto “chiedete e vi sarà dato?”. Certo, si tratta di eminentemente di realtà spirituali, ma chi può dire che anche qui, in questo “mondo”, un ordinamento rispettoso delle Leggi divine, guidato da un uomo a sua volta mosso da timor di Dio, non sia una richiesta che valga la pena d’essere elevata?