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L’Uomo come Dio: il folle desiderio di varcare i limiti

di Ippolito Emanuele Pingitore - 27/04/2014

Fonte: L'intellettuale dissidente


Galvanizzato dalle conquiste tecnico-scientifiche della modernità, l'essere umano può affermare di non aver bisogno di una divinità intelligente, che l'intelligenza è una conquista dell'uomo e che questo può fare a meno di credenze superstiziose e superflue.

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Se volessimo rintracciare una polarità dialettica nella storia, potremmo certamente identificarla con la seguente: Uomo – Dio. Sin dall’antichità l’uomo si è sempre posto una domanda relativa al senso ultimo della vita. Esiste un Dio Intelligente? Cosa c’è dopo la morte? Sono domande forti, crude e sadiche allo stesso tempo, poiché destinate a non trovare risposta. Ma l’uomo non si è mai arreso nella speranza di poter contemplare l’Assoluto attraverso varie forme, di considerarlo come artefice e architetto dell’universo. Ogni cultura ha visto svilupparsi all’interno di essa fenomeni religiosi, ritualità simboliche che da una parte costituivano l’unico modo per avvicinarsi al Dio, dall’altra invece rispondevano ad un’esigenza più strettamente sociale, di unità collettiva. Ma al di là di questo il rapporto tra Dio e l’uomo è sempre stato un rapporto tra la superiorità e l’inferiorità, tra la causa e l’effetto, tra la somma intelligenza e l’intelligenza. Che si faccia ricorso a dèi o ad una divinità poco importa; importa invece fare attenzione al rapporto singolare tra gli uomini e la divinità. L’uomo ha sempre progettato – nella storia della cultura – di avvicinarsi alla divinità: l’uomo nuovo è colui che rigenerato dall’esperienza divina riscopre la sua nuova identità contemplandolo e avvicinandosi a Lui. Non parliamo di precisi fenomeni religiosi, ma dell’esperienza individuale.
Invece oggi l’uomo guarda con diffidenza all’esistenza di un Dio. Galvanizzato dalle conquiste tecnico-scientifiche della modernità, l’essere umano può affermare di non aver bisogno di una divinità intelligente, che l’intelligenza è una conquista dell’uomo e che questo può fare a meno di credenze superstiziose e superflue. Un’idea di questo genere la troviamo in Cartesio; non che il filosofo facesse a meno di Dio, ma nel suo pensiero si rintracciano gli elementi germinali della modernità.

In un punto particolare del suo sistema egli paragona il pensiero tradizionale ai borghi cittadini. Il filosofo immagina all’opposto delle casupole cittadine costruite da artigiani, uno spazio aperto in cui non vi siano più le vecchie e diroccate case, ma degli spazi regolari e delle costruzioni solide. È necessario costruire sulla roccia, non sulla sabbia: questa è opera da ingegneri, come ha sostenuto Francesco Remotti, noto antropologo italiano nel suo ultimo libro “Fare umanità. I drammi dell’Antropo Poiesi”. L’ingegnere opera meglio perché opera da solo rispetto agli altri ma in compagnia della ragione. Liberarsi dai costumi, dalle tradizioni, l’ingegnere è colui che calcola, usa la ragiona, quell’organo universale che si trova nel cuore della natura umana, il vero fondamento roccioso. Non a caso Cartesio è il padre della modernità. Sul campo di battaglia vi sono la ragione e il mondo, la coscienza e il mondo, l’Io e la tradizione. L’idea fondamentale del filosofo è che si possa finalmente costruire una nuova umanità, non più imprigionata nei costumi e nelle tradizioni, ma libera, che costruisca in maniera solida utilizzando la ragione come unica garanzia.
Francesco Bacone aveva l’idea che con la scienza e la tecnica ci si potesse liberare da questo insieme di tradizioni fallaci per costruire il regno dell’uomo, il regno dell’uomo nuovo, un uomo che finora nella storia non c’è mai stato. Questa ideologia giunge fino a noi ma affonda le sue radici nelle origini del cristianesimo. È lì che troviamo esplicitamente l’idea dell’uomo nuovo con Paolo di Tarso. Paolo è colui che usa il messaggio di Cristo per progettare l’idea della nuova umanità. L’uomo nuovo è colui che interpreta la venuta di Cristo, la sua morte e resurrezione, come un passaggio da una umanità vecchia e condannata ad una umanità nuova, redenta, che vince la morte, una morte il cui pungiglione non spaventa più l’uomo . <<Morte, dov’è il tuo pungiglione?>> scrive Paolo.

Ma con la modernità in fondo si viene a realizzare la deificatio cioè il progressivo avvicinamento della condizione umana alla condizione divina. Siamo stati fatti ad immagine e somiglianza della divinità. E la divinità domina, scrive Bacone. Se l’uomo si avvicina alla condizione umana, sostiene Remotti, allora l’uomo può dominare. Diventare simili a Dio significa esercitare il nostro dominio sulla natura. Diventeremo sempre più simili a Dio, sempre più Dèi.
In realtà gli effetti di questa concezione nella storia furono nefasti. Bacone arriva al punto di legittimare lo sterminio delle popolazioni delle Americhe. Gli storici delle Americhe parlano di olocausto americano e tali storici sono coloro che non indugiano a notare una continuità nell’olocausto della Shoah. Quella dell’uomo nuovo diventa una ideologia che non solo alimenta il progresso, ma che addirittura si impasta con la guerra. Tutti i regimi totalitari, così come le grandi rivoluzioni inneggiano alla costituzione dell’uomo nuovo. Il nazismo costruisce l’uomo nuovo puntando sul concetto della razza. L’unione sovietica puntava al lavoro come mezzo di realizzazione della nuova umanità.

Uomo nuovo, uno dei sogni più affascinanti, molto spesso irrealizzabile, come la storia ci ha insegnato. Forse perché in realtà l’uomo non vuole solo avvicinarsi a Dio, ma superarlo? Una domanda a cui ci riserviamo di dare risposta. La strada che l’uomo sta costruendo è quella della progressiva liberazione da Dio. E anche ammesso che Dio non esista, perché l’uomo avverte il famelico desiderio di porsi come una divinità, di andare al di là dei propri limiti? Gli antichi padri ci hanno avvisato: una mela ci è costata il peccato; ad Ulisse invece le Colonne d’Ercole sono costate l’inferno.