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Abbiamo buttato via la religione (civile). E ora avanza il nulla

di Marcello Veneziani - 29/06/2014

Fonte: Marcello Veneziani


C i può essere un punto d'equilibrio tra chi crede e chi non crede, e tra chi crede a religioni e culture divergenti? Dopo il tramonto dell'impero romano che coltivava una religione di Stato ma lasciava libero culto alle diverse divinità, abbiamo vissuto per secoli in una società cristiana che non si poneva il problema perché si era sudditi e cristiani sin dalla nascita, salvo riconoscere zone di tolleranza e margini di libertà ai non appartenenti.

Nella società contemporanea avviene invece sempre più l'inverso: la religione è confinata nell'ambito privato, ogni segno pubblico di religione viene rimosso; l'universalità è garantita sul piano formale dalle leggi, dalle regole e dai codici civili e penali e sul piano pratico dalla tecnica, dallo scambio delle merci e dalla finanza. Ma sempre più si allarga il fastidio e l'intolleranza verso le religioni, a partire dalle proprie o comunque di provenienza, con più indulgenza verso le religioni altrui. La stessa intolleranza si esercita verso chi non riconosce i nuovi valori non negoziabili, legati alle nuove categorie protette: omosessuali, trans, migranti - soprattutto se neri - oltre che disabili, donne e bambini. Vi sono pure reati d'opinione legati a queste categorie e ad alcuni dogmi storici che hanno sostituito i reati di bestemmia o vilipendio alla religione in vigore nel passato.

Ma torniamo alla domanda da cui siamo partiti: è possibile trovare un punto d'equilibrio e di mediazione tra le due posizioni? Ronald Dworkin sembra voler rispondere alla domanda nel suo testo ora postumo -l'autore è morto lo scorso anno - Religione senza Dio (Il Mulino, pagg. 132, euro 13, prefazione di Salvatore Veca). Dworkin esordisce sostenendo che la religione è più profonda di Dio e credere in Dio è solo una delle sue manifestazioni. Poi affronta l'ateismo religioso e il mistero dell'universo. Ma quando affronta la libertà religiosa sostiene che non dobbiamo più riconoscerle un diritto speciale e limitarci a garantire il diritto più generale all'indipendenza etica. La religione diviene così un ramo se non un sottoprodotto dell'etica. Vanno poi rimossi i simboli religiosi in ambito pubblico mentre possono restare in privato, purché non confliggano con le leggi. E quanto alla preghiera nelle scuole pubbliche Dworkin condivide l'orientamento statunitense di consentire un momento di silenzio che ognuno poi riempie come vuole: dall'ora di religione al minuto di vacuità in cui ognuno pensa ai casi suoi... Quanto alla ricerca dell'immortalità che ha tormentato l'umanità, Dworkin la sbriga proponendo una specie di surrogato: eseguiamo bene i nostri compiti e nella soddisfazione che ne ricaviamo possiamo trarre «una sorta d'immortalità». Per lui questo è l'unico modo di figurare l'immortalità e nutrire una convinzione religiosa. Come banalizzare un'aspirazione originaria e strutturale dell'animo umano che ha sorretto religioni millenarie, dottrine, vite e civiltà. A volte anche le menti più sofisticate nascondono un cuore idiota.

In questo come in vari altri casi, non si riconosce in realtà alcuno statuto, alcun valore, alcun significato alla religione, al sacro, alla sfera spirituale. Si ha come l'impressione che alcune facoltà umane si siano atrofizzate e non solo tra gli automi che vivono il presente senza porsi domande, ma anche tra i filosofi; alcune esigenze innate e radicate dell'animo umano sono come disconnesse. Terminali spenti, razionalità opache, ragionamenti senza intelligenza del reale...
Salvo poi restare inorriditi come fa Dworkin se la civilissima Svizzera, forgiata dal protestantesimo e dal pacifismo, si esprime a larga maggioranza in un referendum per vietare i minareti sul suolo elvetico... Non si comprende che le reazioni peggiori nascono quando vengono cancellati o rimossi bisogni originari e profondi come il senso religioso, divino e sacrale; o all'opposto paure ancestrali dell'invasore o del fanatismo religioso. E non si spiega come mai non vi siano argini morali e culturali efficaci da opporre alla criminalità diffusa, dalle violenze sessuali ai delitti domestici, dalla delinquenza gratuita all'odio sociale, dalla corruzione politica alla speculazione finanziaria.

Il problema è che ogni società ha bisogno di principi condivisi e valori comuni, sanzioni morali e religiose per chi sbaglia. Se non vivessimo il delirio della libertà e l'allucinazione dei desideri - l'età dei diritti individuali scissi dai doveri - sapremmo distinguere tra la sfera privata dove vige la libertà e restano intoccabili i diritti individuali nel rispetto altrui e delle leggi; e la sfera pubblica dove invece vi devono essere modelli educativi di riferimento, principi comuni, canoni di comportamento e tradizioni da osservare. Nella vita privata si può vivere come si vuole se non si lede nessuno, unirsi con chi si vuole purché adulto e consenziente, credere a ogni culto o non credervi affatto. Ma alla sfera pubblica tocca tutelare e promuovere la famiglia e le comunità, l'amor patrio e il senso religioso, la solidarietà e le tradizioni, la memoria storica e il rispetto della vita, la bellezza e le arti, la natura e la cultura. Rispettare tutte le religioni a partire da quella da cui deriva: i suoi simboli sono il linguaggio in cui si è espressa nei secoli la visione della vita di quella civiltà. Tutto ciò si condensa in una religione civile che non è alternativa o sostitutiva della religione vera e propria, ma trae linfa dai suoi culti, dai suoi simboli e dai suoi riti per fondare un orizzonte di riferimento per la società. Ogni società attinge alle tradizioni religiose e civiche da cui deriva. Poi, chi è credente sarà libero di professare la sua fede a viso aperto, non di nascosto; e chi viceversa non crede sarà libero di non farlo e di professare altre fedi. La religione civile rende coesa una società, trasparenti i suoi principi ed esorta alla lealtà i suoi cittadini. La sua assenza spiega il generale sfascio. È così inquietante e illiberale pensare e volere questo, promuovere un noi nella sfera sociale, garantendo il tu nella sfera individuale? A me sembra l'unico punto d'equilibrio e la sola via d'uscita dal nichilismo, ossia dal cinismo, la disperazione, il vivere a caso, l'anomia e la distruzione del senso comune. E l'unica via per affrontare il confronto di civiltà e religioni nell'era globale, sia per accogliere che per respingere. Quando la politica e la cultura capiranno che la battaglia più urgente non riguarda la libertà e l'uguaglianza ma la dignità della vita, nell'equilibrio tra diritti e doveri, libertà e motivazioni? Il momento di vacuità proposto da Dworkin al posto della preghiera sembra la vera irreligione del nostro tempo. Fondata sul Nulla.