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Diritti sociali

di Davide Parascandolo - 19/05/2015

Fonte: Appello al Popolo

 


 

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Da Appelloalpopolo del 10-5-2015 (N.d.d.)

 

Nel trattare dei diritti, la moderna interpretazione suole ormai distinguerne diverse generazioni. Concentriamoci brevemente sul percorso storico che ha condotto alle prime due, le quali ricomprendono quelli politico-civili e quelli socio-economici, svolgendo una riflessione finale sui secondi e sul loro attuale livello di protezione.

La nozione di diritto non può che connettersi con quella di libertà, dalla protezione e valorizzazione della quale discende la prima. Tuttavia, la libertà di cui noi abitualmente parliamo deve intendersi e declinarsi in maniera radicalmente diversa rispetto alla sua concettualizzazione più arcaica. Nelle società antiche essa era in effetti interpretata in una chiave assolutamente avulsa dall’individualismo che le conferisce la peculiare coloritura assunta in epoca moderna. Queste società si presentano come essenzialmente organicistiche e dominate da una impostazione comunitaristica che mai e poi mai avrebbe consentito al singolo di rivendicare dei diritti contro la sua stessa comunità di appartenenza. Tutto ciò avrebbe comportato un grave rischio per la stabilità della comunità medesima. I diritti attribuiti all’individuo, pertanto, sono funzionalizzati all’interesse collettivo. Visioni del genere, peraltro, sono tutt’oggi rinvenibili in culture quali quelle africane o asiatiche, impregnate di principi solidaristici che permettono a tali società di rinsaldarsi attorno ad un sistema valoriale profondamente diverso rispetto a quello di matrice atomistico-individualista su cui si fondano le società occidentali. Come ci ricorda il politologo nigeriano Claude Ake,

“l’idea dei diritti umani, e di diritti giuridici in generale, presuppone una società atomistica e individualista, una società dal conflitto endemico… Noi invece diamo meno risalto all’individuo e più alla collettività… Siamo più desiderosi di ricordare gli obblighi che ci legano agli altri membri della società piuttosto che inclini a rivendicare diritti che ci contrappongano a loro”.

Parole su cui riflettere e da cui trarre certamente ispirazione.

Il Medioevo, dominato dalla credenza in un ordine divino prestabilito e irriformabile, perpetua da par suo una visione essenzialmente statica della società e degli obblighi dell’uomo in essa inglobato. Occorre attendere l’Umanesimo e poi il fermento rinascimentale per poter addivenire ad un’impostazione diametralmente diversa del rapporto tra uomo e Dio e tra uomo e natura, un rapporto non più di mera soggezione passiva, ma animato da uno slancio proattivo e teso alla manipolazione dell’esistente nel nome di un uomo nuovo, di quel vir faber che diventa artefice del proprio destino. Da qui alle prime richieste di mettere nero su bianco i diritti di quest’uomo nuovo il passo sarà breve. Dal Bill of Rights inglese del 1689 a quello americano costituito dagli emendamenti alla costituzione statunitense apportati nel 1789, fino ad arrivare alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e del cittadino adottata nel contesto della Rivoluzione francese nel medesimo anno, sarà un susseguirsi di elenchi di diritti, proclamati e sanciti solennemente dall’epoca delle rivoluzioni liberali.

I diritti civili e politici, i cosiddetti diritti di prima generazione, entrano così definitivamente nel panorama del costituzionalismo liberale, attraverso un progressivo riconoscimento ed un’inarrestabile estensione. Nel contempo, lo Stato, in ossequio alla concezione liberale, viene costretto a ritrarsi da tutte quelle sfere demandate ad essere terreno fertile per l’esplicazione dell’autodeterminazione dei singoli. Siamo all’apogeo della cosiddetta “libertà da”, quella negativa, ossia la libertà da qualsivoglia ingerenza del tanto bistrattato Leviatano hobbesiano nella sfera privata degli individui.

Tuttavia, le rapide trasformazioni che la società contemporanea porta con sé amplieranno a tal misura i settori di intervento degli Stati che una nuova e diversa concezione si andrà presto affermando nel costituzionalismo, all’indomani delle due guerre mondiali. La concezione di un nuovo tipo di libertà, una “libertà di”, una libertà positiva invocata e garantita proprio dal vecchio nemico dei liberali, quello Stato che ora diviene il garante imprescindibile dei suoi cittadini, offrendo loro i mezzi e gli strumenti per poter costruire ed edificare una società che permetta a tutti di vivere dignitosamente. Fanno il loro ingresso trionfale nei testi costituzionali i diritti di seconda generazione, i diritti sociali ed economici, con lo Stato che, una volta disprezzato senza troppi riguardi, viene ora nuovamente presentato come il tutore buono in grado di garantire a tutti, in nome di una democrazia veramente sostanziale e non soltanto formale, di poter accedere a quegli strumenti tramite cui elevare il tenore di vita e il benessere dell’intera comunità. Nasce lo Stato sociale, ed è un’invenzione straordinaria, grazie alla quale i popoli del mondo occidentale, e segnatamente quelli europei, conoscono dei livelli di benessere mai raggiunti prima in tutta la storia precedente dell’umanità. Per la prima volta, diminuisce il divario tra il profitto capitalista e i salari delle classi lavoratrici, e si intravede una prima forma di redistribuzione della ricchezza, maggiore o minore che sia a seconda dei paesi e delle culture politiche egemoni. Insomma, succede una cosa molto semplice: si comincia a vivere meglio.

E poi? Dagli anni ‘80 ad oggi ecco che si assiste ad una repentina e disastrosa inversione di tendenza. Il capitale non ci sta, bisogna fare qualcosa, recuperare l’antica ed incondizionata egemonia, per tornare a tiranneggiare nuovamente su salari e lavoratori. E la propaganda ideologica del neoliberismo si scatena. Lo Stato torna ad essere individuato come il male assoluto, foriero di sperperi, corruzione, malgoverno, come un pericoloso e irresponsabile padre di famiglia che deve essere ripudiato, ricacciato indietro, annichilito. E con esso occorre eliminare le conquiste dello Stato sociale, ricondurre i cittadini/sudditi a confrontarsi con quella “durezza del vivere” superando la quale essi erano riusciti ad affermare finalmente la loro dignità. Quest’ultima va annientata. Per questo, in maniera feroce e reazionaria, stanno facendo di tutto con lo scopo di riportare indietro le lancette della storia. E ci stanno riuscendo, con l’appoggio incondizionato di schiere di (in)utili idioti.

Ci stanno togliendo di nuovo quei diritti sociali ed economici la cui garanzia è la sola chiave di volta per l’edificazione di una società sicuramente imperfetta (una società perfetta esiste solo nelle utopie), ma almeno fondata su un valore imprescindibile, quello della dignità umana, un valore che ogni potere politico dovrebbe sforzarsi di perseguire e proteggere con ogni mezzo a disposizione.

È per questo che le lotte per i soli diritti civili sono delle lotte miopi e inconsistenti. Perché senza la possibilità di avere un lavoro stabile, senza la possibilità di vivere serenamente la propria vita, senza la possibilità di costruire una famiglia, senza la possibilità di vedersi garantito in futuro un congruo e decoroso sistema previdenziale, senza tutto questo e molto altro, i diritti civili diventano lo specchietto per le allodole (e per gli allocchi) o, se preferite, la merce di scambio di cui il pensiero neoliberista si servirà per trasformarci tutti nei moderni schiavi del terzo millennio. Tra gli allocchi più stolti vi sono stati e vi sono tuttora certamente i partiti di sinistra, nessuno escluso, i quali, dopo la vittoria del modello iperindividualistico americano, si sono riconvertiti in massa alla rivendicazione dei diritti in salsa liberale, dimenticando il fine primario per il quale erano nati, il loro senso storico: la protezione del lavoro e, con esso, la protezione di ciò di cui nessuno di noi può fare a meno, la nostra dignità di esseri umani. Per giunta, non paghi, hanno suggellato tale riconversione contribuendo in maniera determinante a dar vita ad un mostro che non conosce precedenti nella storia, quella Unione Europea che erige proprio i più ferrei e radicali principi neoliberisti a dogmi ideologici indiscutibili.

Riprendiamoci i diritti sociali ed economici sanciti dalla nostra Costituzione.

Riprendiamoceli adesso.